In questa nuova destinazione vennero assegnati alcuni ambienti del piano terra ai ''Bersaglieri Municipali-Guardie Daziarie''. Mentre nel [[1878]] il primo piano venne assegnato al liceo classico Umberto I, assegnazione che mutò ulteriormente l'aspetto interno dell'edificio.
A causa del terremoto del [[1968]] l'edificio, al momento in ristrutturazione, venne dichiarato inagibile nonostante nessuna grave lesione o dissesto strutturale supportasse tale provvedimento. Il complesso conventuale veniva abbandonato nell’aprilenell'[[aprile]] del [[1996,]] dataquando diiniziarono inizio deii lavori di restauro curati dall'Ufficio del Centro Storico e si basavano su una progettazzione della Società ITALTER s.p.a.
Questi curati dall'Ufficio del Centro Storico si basavano su una progettazzione della Società ITALTER s.p.a.
A dirigere i Lavori furono chiamati gli architetti Mario Li Castri e Carmelo Bustinto e l'ing. Giuseppe Letizia. L’attivazione del cantiere fece riscoprire anche il rifugio antiaereo –dimenticato- risalente al secondo conflitto mondiale, posto al di sotto della pavimentazione del chiostro e che le indagini geognostiche già redatte non avevano rilevato, provvedendo altresì ad una nuova campagna di saggi per ottenere una dettagliata conoscenza del terreno di fondazione, sia attraverso trivellazioni che tramite indagini soniche effettuate sulle murature. ▼
Con l’amara consapevolezza dell’inadeguatezza delle indagini conoscitive preliminari al progetto effettuate, i lavori di restauro iniziarono nel 1996 avviando due fondamentali interventi: la dismissione dei recenti (anni 50)intonaci esterni, effettuata con le cautele del caso, e la demolizione delle evidenti superfetazioni non storicizzate che, oltre a compromettere la lettura dell’edificio, ne mutavano i comportamenti strutturali.
▲A dirigere i Lavori furono chiamati gli architetti Mario Li Castri e Carmelo Bustinto e l'ing. Giuseppe Letizia. L’attivazione del cantiere fece riscoprire anche il rifugio antiaereo –dimenticato- risalente al secondo conflitto mondiale, posto al di sotto della pavimentazione del chiostro e che le indagini geognostiche già redatte non avevano rilevato, provvedendo altresì ad una nuova campagna di saggi per ottenere una dettagliata conoscenza del terreno di fondazione, sia attraverso trivellazioni che tramite indagini soniche effettuate sulle murature.
Soprattutto la dismissione degli intonaci e le indagini conoscitive sulle strutture murarie hanno consentito di riportare alla luce il partito architettonico di pregio appartenente all’antica facies della fabbrica rinascimentale.
Il “cantiere della conoscenza” si rivelò così una fase imprescindibile di collazione di dati utili per nuovo indirizzo progettuale da mettere in atto, ben differente da quello in precedenza appaltato; in particolare, tale mutato atteggiamento fu motivato anche dal ritrovamento di alcune porzioni dell’originario Palazzo Bonet, che sinteticamente enumeriamo:
- il loggiato su pilastri ottagoni con archi ogivali, che era stato tamponato e già comunque individuato dai precedenti progettisti;
- l’accesso alla corte dal vicolo dei Corrieri descritto dai documenti d’archivio;
- le bifore del piano nobile e, ritrovamento del tutto insperato, anche una delle snelle colonne in marmo di Carrara con capitello e base perfettamente integra e completa;
- un portale con cornice archiacuta, di cui il progetto originario non teneva conto prevedendo la demolizione dell’edificio di appartenenza per la realizzazione di una palestra. Questo ed altri edifici elencali limitrofi, ai piani terra erano costituiti da una maglia chiusa di archi in pietra da taglio ed ai piani superiori risultavano parte integrante dell’impianto conventuale; la ricerca storica confermava la loro alienazione dalla proprietà francescana solo in tempi recenti, e pertanto passibili di recupero e valorizzazione;
- le finestre “alla catalana” di piano terra con cornice a bastone e decorazione floreale;
- le bifore del piano nobile “alla pisanisca” lungo la fronte settentrionale della corte, più piccole rispetto a quelle reperite sulle fronti esterne e l’arco a tutto centro in pietra da taglio utile ad uno degli accessi al piano terra;
- l’apparecchio murario in pietra da taglio costituito da massicci cantonali che incorniciano campi murari con tessitura muraria di minore qualità materico-costruttiva;
- un pregevole pavimento maiolicato in corrispondenza di un pianerottolo di disimpegno al di sotto della scala con struttura voltata di mattoni pieni, realizzata –come peraltro in precedenza precisato- alla fine dell’Ottocento per consentire l’accesso autonomo al liceo Umberto I;
- ancora, l’andamento di alcune porzioni superstiti di cornice nelle murature che indicavano la giacitura di una scala che dalla corte del palazzo immetteva allo scalone che invece dal chiostro conduceva al primo piano del convento, come evidenziato e confermato dalla presenza di un portale in pietra da taglio. Questo ritrovamento e l’assenza di murature di fondazione di eventuali collegamenti verticali nella corte facevano ipotizzare che la scala seicentesca in realtà fosse stata realizzata sfruttando parzialmente una struttura precedente, giustificando altresì l’importanza del grande arco posto sulla fronte settentrionale della corte, che segna l’avvio dello scalone monumentale del palazzo. La rimozione selettiva dell’intonaco dello scalone, ha consentito di rinvenire altresì varie bucature di porte e finestre, che per tipologia e materiali sono attribuibili alla fabbrica rinascimentale; ciò confermerebbe l’ipotesi che lo scalone del convento fosse sorto laddove presumibilmente prima esisteva un vicolo di accesso al viridario del palazzo. Questa congettura spiegherebbe, inoltre, l’anomalia costituita da un lato del palazzo non ortogonale agli altri. Si potrebbe sempre ricondurre a tali considerazioni la presenza di una piccola bifora che al piano terra si apre in un angolo della corte, quasi come se un braccio del cortile fosse stato aggiunto successivamente.
Purtroppo, l’esiguità dei riscontri documentari sulle prime fasi costruttive della fabbrica non ci consente di avere certezze sulla sua genesi edificatoria; tuttavia, l’osservazione attenta e diretta ha consentito di giungere alle considerazioni che di seguito si riportano.
Il piano ammezzato risultava chiaramente una evidente superfetazione dei primi del secolo e interferiva con il sistema delle bucature rettangolari di matrice catalana che davano luce alta ai locali di piano terra.
La monofora al piano nobile non costituiva poi “una originaria bifora” come riportato nella relazione storica a corredo del primo progetto redatto dall’ITALTER, bensì un originario accesso spostato e monumentalizzato probabilmente in tempi recenti, ipotesi suffragata dall’utilizzo di un profilato ad I quale architrave.
Il terzo piano era -come dimostrato dai documenti d’archivio, dalla pianta del Lazzara e dal rilievo del Giordano- già esistente sin dai primi del XVIII secolo; la sua edificazione va collocata temporalmente all’epoca dell’accorpamento del palazzo al convento; circa la destinazione d’uso, esso era adibito a lavanderia e stenditoio coperto per i frati, ipotesi questa già sottolineata e confermata dal ritrovamento sul posto di un lavatoio scavato in un blocco di calcare.
L’attenta lettura dei materiali e la potenzialità di ricerca che offre un cantiere di restauro ha inoltre consentito l’elaborazione della seguente ipotesi:
- esistevano già delle case in parte dell’area su cui si costruì la dimora dei Bonet, probabilmente con accesso dal portale con soprastante ghiera rinvenuto nel corpo su vicolo dei Corrieri. I saggi geognostici hanno rilevato al di sotto di questa zona edificata la presenza di un banco di biocalcarenite superficiale, e quindi l’esistenza di aree non alluvionali, costituendo essa stessa il limite del bordo alluvionale del porto interno del Kemonia;
- con i depositi alluvionali, a partire dall’XI secolo circa, il bordo del porto interno si ritira progressivamente sino a scomparire, dando vita al piano della Guzzetta; si rendono così disponibili nuove aree edificabili ed i Bonet -giunti in città al seguito degli Aragonesi - acquistano case e terreni liberi per costruirvi la loro domus magna, accorpando le unità edilizie esistenti o per acquisto diretto o tramite la nota ed utilizzata Prammatica di Re Martino. Gran parte dell’area viene destinata a giardino proprio per la fertilità dei terreni alluvionali; il terreno coltivabile risultava perimetrato da due attraversamenti pubblici, il vicolo su cui i Francescani erigeranno nel ‘600 lo scalone e l’attuale bordo occidentale del chiostro che, anche dopo la realizzazione dello stesso, mantiene ancora oggi l’uso pubblico;
- la successiva evoluzione e trasformazione della fabbrica è nota attraverso i riscontri documentari e passa attraverso l’acquisizione del palazzo ai Francescani, con la trasformazione del viridario in chiostro, la saturazione del vicolo con lo scalone, la trasformazione della torre in campanile, la realizzazione della loggia stenditoio e le manomissioni ottocentesche precedentemente descritte ed enumerate.
==Architettura==
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