Alasdair MacIntyre: differenze tra le versioni
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Il metodo da seguire è genetico, genealogico: non costruire una teoria astratta o avalutativa ma una storia filosofica valutativa, che permetta di far riaffiorare dall'oblio diffuso questa condizione e di ricostruire/immaginare le tappe che vi hanno condotto.
Il discorso morale contemporaneo è descritto da MacIntyre come il luogo di dissensi incompatibili, incommensurabili, il luogo di dissensi interminabili su questioni di pubblico e pressante interesse. Nella ricostruzione delle
Quello che è stato descritto come l'io emotivista, che accompagna la condizione contemporanea di frammentazione e arbitrarietà della morale, sostiene MacIntyre, è stato reso possibile da alcuni precisi espisodi della storia sociale e della storia della filosofia insieme. Il periodo storico cruciale da considerare è quello che va dal 1630 al 1850, che coindice con quello che MacIntyre chiama il progetto illuminista.
«In quel periodo "morale" divenne il nome di quella sfera particolare in cui a regole di condotta che non siano né teologiche, né giuridiche né estetiche è concesso uno spazio culturale autonomo»<ref> Alastir MacIntyre, ''Dopo la virtù. Saggio di teoria morale'', 2007, Armando Editore, pag. 72 </ref>.
In alcuni esponenti di questa ricostruzione l'autonomia si correla con una concezione individualista, in altri con una universalista, in alcuni si ritiene fondata sul sentimento morale ([[David Hume|Hume]]), in altri sulla ragione ([[Immanuel Kant|Kant]]), in altri ancora sulla scelta ([[Søren Kierkegaard|Kierkegaard]]) ma il rendersi autonomo, lo specializzarsi della morale, è il vero punto: tutti gli autori in questione, pur nelle loro enormi diversità, intendono fondare le regole morali senza ricorrere a criteri rintracciabili altrove che nell'attore morale. È proprio
La crisi diviene pienamente visibile nel Kierkegaard di ''Enten-Eller'', in cui la morale sembra avere uno statuto preciso almeno quanto in Kant, come morale del puro dovere, ma manca completamente di “buone ragioni”, si fonda unicamente sulla scelta individuale. La scelta in favore del dovere non è l’unica nè la migliore, così come la scelta di fede (quella di Abramo, il cavaliere della fede) non è fondata su ragioni morali, anzi, se valutata secondo criteri morali appare come crimine.
Andando a ritroso,
Continuando a risalire a ritroso,
L’utilitarismo, prima di Bentham e poi di Stuart Mill, rappresenta per
Il tema delle regole, in questo excursus, sembra il vero scopo della riflessione morale. Ma le regole si rivelano in ultima istanza infondate. Ci si può chiedere se invece non sia proprio questo il problema, aver ridotto la morale a una questione di regolamentazione quando probabilmente per le regole sarebbe sufficiente il costume. Invece la vocazione della morale potrebbe essere quella di affrontare l’eccezione, il caso di insufficienza delle regole. La situazione della morale potrebbe essere più simile a quella dell’arte, che dà luogo a forme il cui valore deve poter essere giustificato e condiviso, ma che non possono essere l’esecuzione precisa di regole a priori. Le forme riuscite, nell’arte come nella morale, sono modelli, non regole. La stessa nozione di responsabilità, che ha il suo habitat nel discorso morale, non può reggersi se si appella a un’universalità a priori, eppure guarda all’universalità. Essa riguarda un fare che dà realizzazione a un principio assoluto, ma il principio non è evidente se non nell’atto realizzato.
Dal momento in cui il centro della riflessione morale diviene la regola si fa sempre più difficile cogliere la differenza fra la riflessione morale e l’ingegneria sociale. La ragione, che si inibisce dalla modernità in avanti dall’occuparsi dei fini, delle essenze, dei valori in sé e ne diviene di conseguenza incapace, si auto-riduce all’ambito dei mezzi, dei modi per ottenere risultati, dell’how to do it, dell’efficienza e dell’efficacia. La seconda e non meno importante conseguenza dell’abbandono da parte della ragione dell’ambito dei fini e delle essenze, considerate qualità occulte, o ipotesi metafisiche improprie, è che i valori ultimi, che orientano e che occupano il posto dei fini, decadono a oggetti di scelte arbitrarie, individualissime, libere ma di una libertà non giustificabile. Ciò non toglie che il linguaggio morale rivesta continuamente quella inquietante arbitrarietà di più rassicuranti abiti pseudorazionali. Proprio di questi pseudoconcetti è fatta la storia della filosofia morale/politica dopo la crisi del progetto illuminista. Sono finzioni come i concetti di utilità, di diritto, di efficienza, di fatto empirico, di competenza.
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