Alasdair MacIntyre: differenze tra le versioni
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Dal momento in cui il centro della riflessione morale diviene la regola si fa sempre più difficile cogliere la differenza fra la riflessione morale e l’ingegneria sociale. La ragione, che si inibisce dalla modernità in avanti dall’occuparsi dei fini, delle essenze, dei valori in sé e ne diviene di conseguenza incapace, si auto-riduce all’ambito dei mezzi, dei modi per ottenere risultati, dell’how to do it, dell’efficienza e dell’efficacia. La seconda e non meno importante conseguenza dell’abbandono da parte della ragione dell’ambito dei fini e delle essenze, considerate qualità occulte, o ipotesi metafisiche improprie, è che i valori ultimi, che orientano e che occupano il posto dei fini, decadono a oggetti di scelte arbitrarie, individualissime, libere ma di una libertà non giustificabile. Ciò non toglie che il linguaggio morale rivesta continuamente quella inquietante arbitrarietà di più rassicuranti abiti pseudorazionali. Proprio di questi pseudoconcetti è fatta la storia della filosofia morale/politica dopo la crisi del progetto illuminista. Sono finzioni come i concetti di utilità, di diritto, di efficienza, di fatto empirico, di competenza.
L’utilitarismo: la parabola da Bentham a Stuart Mill a Sidgwick mostra che la morale fondata sulla psicologia dà luogo all’incommensurabilità dei valori e dei fini. La giustificazione della morale su base individuale, ancorché razionale, sfocia nell’impotenza della ragione a universalizzare come principi i moventi individuali, quindi nell’emotivismo.
La teoria analitica, che in campo morale si propone come teoria dei diritti ([[Ronald Dworkin|Dworkin]]), è un altro esempio di tentativo di far sopravvivere il discorso morale al fallimento del progetto illuminista, fondandolo su premesse minime ma perfettamente razionali perché analitiche. Il problema è che il concetto di diritto appartiene all’ambito dell’universale, è indeducibile analiticamente dai bisogni e dai desideri. E’ eterogeneo, richiede un contesto di regole condivise che lo riconoscano e lo stabilizzino.
I personaggi che incarnano gli ideali morali della società emotivista: l’esteta, il terapeuta, il manager. A vario titolo essi incarnano l’emotivismo, ne confermano la base teorica, l’abolizione della differenza fra azioni manipolative e non manipolative, la coesistenza schizofrenica di autonomia (arbitrio) e manipolazione, di individualismo e collettivismo.
Il caso della finzione burocratica: fatti, efficienza, competenza, leggi predittive, il mito della spiegazione. L’esclusione della teleologia dalle spiegazioni scientifiche si estende al comportamento umano, provocando una trasformazione del concetto di fatto che lo priva di qualunque riferimento al valore, il fatto è senza valore, occuparsi di questioni di fatto significa liberarli dal fardello delle credenze, delle valutazioni. Se la fede nel controllo sociale efficiente e giustificato, che si avvale di generalizzazioni sui comportamenti umani è illusoria, la figura del manager burocratico neutro moralmente è una mascherata, c’è in realtà una “perpetuazione del fraintendimento”.
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