Socrate: differenze tra le versioni
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→La scoperta dell'anima umana: L'io con la maiuscola è l'Io assoluto di Fichte |
→La scoperta dell'anima umana: Che Socrate parlasse di anima immortale è dubitabile |
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Mentre gli Orfici e i Pitagorici consideravano l'anima ancora alla stregua di un demone divino, Socrate la fa coincidere con l'[[io (filosofia)|io]], con la coscienza pensante di ognuno, di cui egli si propone come maestro e curatore.<ref>Cfr. Platone, ''Protagora'', 313, e 2.</ref> Non sono i sensi ad esaurire l'identità di un essere umano, come insegnavano i sofisti, l'uomo non è corpo ma anche [[ragione]], conoscenza intellettiva, che occorre rivolgere ad indagare la propria essenza.<ref>«Socrate: ''L'anima è quella che governa. Colui dunque che ci esorta a conoscere noi stessi ci invita ad acquistare conoscenza della nostra anima''» (Platone, ''Alcibiade maggiore'', 130 e, trad. di E. Turolla).</ref> Non solo [[Platone]] in diversi passi dei suoi [[dialoghi (Platone)|dialoghi]], ma anche la cosiddetta tradizione "indiretta" testimoniano come Socrate, al contrario dei sofisti, riconducesse la cura dell'anima alla conoscenza dell'intima natura umana nel senso su indicato.<ref>Cfr. F. Sarri, ''Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima'', Vita e Pensiero, Milano 1997.</ref>
{{Quote|Il termine greco che designa l'anima (''psyche'') indica in origine più genericamente la vita. Quando l'anima «se ne va», «se ne va» la vita; la morte è dunque un fuggire della vita o dell'anima. Si può parlare di una sopravvivenza dell'anima in qualche forma, proprio perché l'anima «se ne va», ma si tratta comunque di una sopravvivenza in forma diminuita; l'anima del defunto è solo un'immagine (''èidolon'') sbiadita, che ha perso il suo vigore vitale, cioè, in generale, le facoltà nelle quali consiste propriamente il vivere, dalla volontà alla coscienza.<ref>Platone, ''Fedone'', traduzione di Manara Valgimigli, a cura di Bruno Centrone, Biblioteca Filosofica Laterza, Bari 2005, p.8</ref>}}
Con la scoperta di Socrate
{{quote|La scoperta comportava qualcosa di più della semplice semantica del vocabolo ''psyché''. Anche i pronomi greci, quelli personali e i riflessivi, cominciarono a trovarsi situati in nuovi contesti sintattici, ad essere usati per esempio come oggetti di verbi conoscere, o posti in antitesi col "corpo" o col "cadavere" in cui si riteneva che l'ego abitasse. Ci troviamo qui di fronte a un mutamento nella lingua greca [...] parte di una più ampia rivoluzione intellettuale che investì l'intero orizzonte dell'esperienza culturale della Grecia.|E. A. Havelock, ''Cultura orale e civiltà della scrittura'', pp. 161-162, Laterza, Roma-Bari 1973}}
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