Fusione nucleare fredda: differenze tra le versioni

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=== 1989: primi esperimenti italiani svolti dal gruppo ENEA/TIB ===
A poco più di un mese dalla pubblicazione del lavoro sulla Fusione Fredda di Fleischmann e Pons (fine marzo 1989) il Dipartimento FUS<ref>ENEA, il Dipartimento FUS è la sede ufficiale deputata agli studi sulla Fusione Nucleare</ref> fece partire un programma promosso dalla direzione dell'ente che aveva come scopo quello di verificare l'ipotesi di una correlazione tra l'emissione neutronica e formazione di [[Trizio|trizio]] con una corrispondente produzione di calore. Nello stesso periodo, sempre in ENEA, partì spontaneamente dalla sezione di ''[[Criogenia|criogenia]]'' del Laboratorio di Spettroscopia Molecolare del dipartimento TIB (''Tecnologie intersettoriali di Base'') un tentativo di produrre reazioni di fusione utilizzando un differente approccio da quello ''classico'' seguito da Fleischmann e Pons. Il nuovo approccio prevedeva di utilizzare la proprietà di alcuni metalli di assorbire gas di idrogeno/deuterio in opportune condizioni di temperatura e pressione<ref name="ENEA-TIB">S. Martellucci, A. Rosati, F. Scaramuzzi, F. Violante "''Fusione Fredda, Storia della Ricerca in Italia''". ENEA, Focus tecnologie, cap: 2.2 ed. 2008.<br>Il gruppo di Criogenia aveva immediatamente individuato la strada di utilizzare un metallo, ad esempio il [[Titanio|titanio]] capace di assorbire idrogeno/deuterio in quanto negli anni aveva accumulato una grossa esperienza con le pompe [[Getter (tecnologia del vuoto)|getter]] utilizzate al fine di ottenere vuoti estremamente spinti, chetali pompe sono realizzate proprio sfruttando dei metalli assorbitori di idrogeno/deuterio, come il titanio.</ref>. L'esperimento, concettualmente piuttosto semplice, era stato preparato con rapidità in quanto il materiale necessario (trucioli di [[Titanio|titanio]] e gas di [[Deuterio|deuterio]]) era direttamente reperibile in laboratorio. Fu preparato un contenitore in acciaio inox che potesse resistere alle condizioni sperimentali, ovvero alla pressione di alcune decine di [[Bar_(unità_di_misura)|bar]] ed a una temperatura di circa 400 °C. Il contenitore d'acciaio fu allora riempito con il truciolo di titanio e gas di deuterio e quindi posto in un vaso [[Dewar|vaso di Dewar]] nel quale poteva essere versato azoto liquido a 77 [[Kelvin|°K]] (-196 °C)<ref>La necessità di raffreddare il contenitore in acciaio era nata dalla esigenza di generare una condizione di non stazionarietà in quanto tale condizione sembrava essere uno degli elementi fondamentali che potevano portare alla produzione del fenomeno di fusione. Tale condizione poteva essere raggiunta variando, ungo il corso dell'esperimento, un parametro sperimentale (ad esempio la temperatura e/o la pressione).</ref>. In prossimità del dispositivo fu inserito un misuratore di neutroni che nel giro di due settimane rilevò alcune emissioni neuroniche, della durata di diverse ore, che sembravano fortemente correlate alla variazione di temperatura del cilindro di acciaio contenente il truciolo di titanio e il deuterio in pressione.<br>A questo punto il fisico italiano Francesco Scaramuzzi, dell'ENEA di Frascati, presentò una relazione in cui mostrò l'emissione di neutroni da parte di una cella deuterio-titanio sottoposta a pressioni di alcune decine di [[Bar (unità di misura)|bar]], Scaramuzzi fu successivamente convocato per un'audizione parlamentare.<ref>Steven B. Krivit e Nadine Winocur, Psy.D. . ''Prefazione Alla Versione Italiana'', in (Trad. italiana a cura di Antonella De Ninno, Antonio Frattolillo, Antonietta Rizzo) "''[http://newenergytimes.com/Library/2004KrivitS-RapportoSullaFusioneFredda2004.pdf Rapporto Sulla Fusione Fredda]''". Los Angeles (USA), New Energy Times, 2004. p. 4. Continuando la lettura del capitolo, ad un certo punto, viene spiegato il prosieguo della vicenda. La testimonianza riassume alcuni aspetti del dibattito che si aprì successivamente all'annuncio ed alle prime difficoltà nella replicazione dei risultati, difficoltà che portarono ad una accesa divisione tra gli scienziati, generando due distinti gruppi:<BR>Il primo gruppo che affermava la realtà del fenomeno, anche se era costretto ad ammettere che sussisteva una evidente difficoltà di replica e quindi della oggettiva impossibilità di ottenere, in tempi brevi, una dimostrazione scientificamente valida.<BR>Il secondo gruppo, invece, ne negava l'assoluta esistenza e che quindi qualsiasi studio su di esso non meritava un approfondito scientifico.<BR>Poche volte nella scienza si sono avuti due partiti così nettamente divisi su questioni scientifiche tanto fondamentali, ma ciò fu quello che capitò in quei particolari momenti del 1989:<BR>''... Il seguito della vicenda italiana, ricalca fedelmente quello che successe negli Stati Uniti, dopo alcuni mesi di ispezioni al laboratorio dell'ENEA da parte di organismi scientifici internazionali e di società private come la British Petroleum, venne decretato che si era in realtà trattato di una “bufala” e che era meglio non parlarne più. Anche l'ENEA fece marcia indietro, al Prof. Scaramuzzi venne sì concessa la dirigenza, ma al suo gruppo non vennero assegnati che pochi fondi per l'anno in corso e più nulla nei successivi. Molti ricercatori che avevano tentato di salire sul carro dei trionfatori, si affrettarono a scenderne vista la “mala parata” e ritrattarono i loro risultati, unendosi immediatamente dopo al coro dei detrattori.<BR>Questo rapido cambiamento di fronte si realizzò in soli 6 mesi. Già nell'autunno del 1989 era fortemente sconsigliato in ENEA e nel resto della comunità scientifica dire di avere qualcosa a che fare con la fusione fredda.<BR>Da questo momento in poi le notizie che sono filtrate sulla fusione fredda sono state molto scarse e questo ha contribuito al nascere di una leggenda: molti si chiedono se si è trattato davvero di una bufala o se è all'opera una congiura per tenere nascosta una ricerca scomoda.<BR>La gente, si sa, ama le leggende e la scarsità di informazioni ha paradossalmente aiutato la fusione fredda a rimanere viva nell'immaginario collettivo.<BR>Pochi sanno, ad esempio, che già nella primavera del 1989, tre fisici italiani: Giuliano Preparata, Emilio Del Giudice e Tullio Bressani, pubblicarono un articolo sulla rivista Il Nuovo Cimento in cui venivano gettate le basi per una teoria predittiva della fusione fredda.''</ref>
 
=== 1989-2000: gli studi teorici di Preparata ===