Controtenore: differenze tra le versioni
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Nella prima [[polifonia]] medievale, il ''contratenor'' era una parte aggiunta al ''[[tenor]]'', derivando il suo significato dal latino ''contra''. Intorno alla metà del Quattrocento, con la diffusione della scrittura polifonica a quattro voci, il ''contratenor'' si trovava più in alto (''contratenor altus''), o più in basso (''contratenor bassus'') rispetto al ''tenor'', ma comunque più bassa rispetto al ''discantus''. L'odierno contralto, così come il basso, derivano l'etimologia del termine da questa antica pratica. Colui che cantava la parte del ''tenor'', chiamato ''tenorista'', non era assimilabile al tenore moderno, quanto piuttosto a una voce maschile che canti su un registro centrale, normale. Chi cantava una parte di ''altus'' (o di ''contratenor altus'', detto perciò analogamente ''contratenorista'')<ref>Cfr. ad es. i lemmi presenti sul ''Diffinitorium musice'' di [[Johannes Tinctoris]], del 1472 ca..</ref> sfruttava le note acute della voce maschile molto più del ''tenorista'', ricorrendo al [[falsetto]] proporzionalmente all'altezza della parte.
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Dalla polifonia rinascimentale alla monodia del periodo barocco, il ''
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Varie categorie di cantanti emersero nell'affollato panorama musicale italiano tra la fine del Cinquecento e il primo Seicento; i cantanti di sesso maschile - di gran lunga più numerosi delle colleghe di sesso femminile - comprendevano nelle loro fila anche i [[castrati]]. Ognuno di questi esecutori poteva usare sia il registro di petto che quello di falsetto<ref>Il falsetto è impiegato da tutti i cantanti, sia uomini che donne, che abbiano necessità di cantare su tessiture acute; il passaggio al registro di falsetto si trova all'incirca alla stessa altezza sia negli uomini che nelle donne.</ref>; inoltre non era raro il caso in cui uno stesso cantante coprisse ruoli vocali molto differenti. Il nuovo repertorio 'barocco' sfruttava sempre più le tessiture acute, rendendo il ricorso al falsetto necessario e, nel caso dei sopranisti, quasi esclusivo.
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Una menzione a parte riguarda i cantori evirati pontifici. I castrati usavano il registro di petto e di falsetto, come si può ascoltare nelle incisioni storiche di [[Alessandro Moreschi]], ultimo evirato della Cappella Sistina che registrò all'inizio del Novecento sui primi supporti fonografici. Questi cantori, a causa della mutilazione a cui erano sottoposti, conservavano l'estensione acuta della voce prepuberale, senza sviluppare le note profonde del maschio adulto; cantavano perciò il soprano o il contralto (ma i termini che definivano queste due categorie erano all'epoca diversi da quelli attuali) usando normalmente il falsetto per le note acute e la [[voce di petto]] per le note basse.
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I contralti della Cappella Sistina erano solitamente tenori acuti, e uomini integri; «questa tesi è supportata, tra l’altro, dalle dimissioni volontarie presentate dal contralto Lorenzo Sanci. Risulta infatti dal diario della Cappella "che [il 10 dicembre 1626] il Signore Iddio lo chiamava ad altro stato essendosi risoluto di pigliar moglie"»<ref>Antonella Nigro, ''Considerazioni sulla tecnica del canto italiano dal sec. XVI ai giorni nostri'', in Claudio Dall'Albero, Marcello Candela, ''Celebri arie antiche'', Milano, Rugginenti, 1998, p. VII. Cfr. anche la prefazione di [[Raffaele Casimiri]] de ''Le Opere complete di [[Giovanni Pierluigi da Palestrina]] secondo la ristampa del 1590'' – per cura e studio di Raffaele Casimiri, vol. III e altri curati da Casimiri, Roma, Fratelli Scalera, 1939, in cui si legge: «Soltanto la parte o voce del ‘cantus’ era affidata – e sarà quindi da affidare – ai ‘putti cantori’ o fanciulli, sia pur sorretti da qualche voce-guida di falsetto. La parte o voce dell’altus dovrà essere sostenuta – come anticamente – da giovani tenori acuti. Di conseguenza […] è necessario ‘intonare’ le composizioni in modo che la parte o voce dell’altus non superi mai nella regione acuta la nota ‘la’ del nostro attuale corista (la - 870)».</ref>. Viceversa le fonti sono prodighe di notizie su eunuchi al servizio delle cappelle musicali o presso munifiche famiglie aristocratiche, che cantavano come soprani<ref>La pratica della castrazione con finalità di canto, è documentata dalla fine del XVI secolo. Il periodo aureo per questi autentici virtuosi delle scene teatrali fu però dal XVII al XVIII secolo. Come è noto, il primo trattato ufficiale sulla tecnica del canto, ''Opinioni de’ Cantori Antichi e Moderni'', pubblicato a Bologna nel 1723, fu scritto da [[Pier Francesco Tosi]], celebre castrato. Una fonte ricca e interessante sui cantanti del Seicento, falsettisti, donne ed eunuchi, è costituita dal famoso 'Discorso' di [[Pietro della Valle]], ''Della musica dell'età nostra'', del 1640.</ref>; infine poteva darsi il caso di un cantore evirato, ad esempio [[Giovanni Francesco Grossi]], detto ‘Siface’, che ricopriva ruoli da contralto sulle scene, pur cantando come soprano nella Cappella Sistina<ref>Il Grossi fu ammesso in Sistina il 10 aprile 1675; cfr. Enrico Celani, ''I Cantori della Cappella Pontificia nei secoli XVI-XVIII'', «Rivista Musicale Italiana», 1907, vol. XIV, pag. 87, e 1909, vol. XVI, pag. 65.</ref>. I primi castrati arruolati nella cappella pontificia come contralti risalgono alla fine del Seicento. Anche da particolari come questo, si capisce quanto si dovrebbe interpretare con flessibilità il termine 'soprano' o 'contralto' per questi cantori del passato.
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Il termine ''controtenore'', comunemente usato al giorno d'oggi, è una traduzione corrotta dell'inglese<ref>Cfr. anche la voce ''Contratenore'' riportata nel «Dizionario della Musica e dei Musicisti», Il Lessico, vol. 1, p. 671.</ref>; in Inghilterra infatti si usa modernamente denominare ''countertenor'' il contralto (''alto'' o ''male alto'') uomo, in seguito alla diffusione degli esecutori britannici di cui [[Alfred Deller]] fu l'esponente di spicco, imponendosi come modello a livello internazionale dalla seconda metà del XX secolo.
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