Lorenzo Bucci: differenze tra le versioni

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== Biografia ==
Appartenente all’antica dinastia dei [[conti degli Atti]], rimase attratto in età giovanile dalle idee giacobine in linea con il padre [[Bernardino]], dottore in legge e già membro del [[Consiglio degli anziani]] della municipalità della [[Repubblica Romana (1798-1799)]] di [[Montecarotto]] nel [[1798]] guidato dall'[[edile]] [[Domenico Baldoni]]. Primo erede maschio alla titolarità comitale, restò orfano del padre a soli 5 anni di età. A ciò si aggiunse un cospicuo debito contratto dalla famiglia a fronte del quale, sotto la tutela dello zio, il canonico [[Vincenzo]], chiese ed ottenne nel [[1834]] l'intervento degli [[Aria]] di [[Bologna]], una ricchissima famiglia di origini non nobili, abile nei commerci e nell’attività creditizia, approfittatrice della decadenza che aveva investito l’[[aristocrazia]] emiliana sul finire del [[Settecento]].
 
Dopo il matrimonio con [[Celestina Aria]] – primogenita della famiglia emiliana –, avvenuto il [[16 aprile 1842]] nella chiesa di [[San Giovanni in Monte]] a [[Bologna]], si trasferì ad [[Ancona]], lasciando al consigliere [[Giuseppe Capretti]] (vedi [[Sindaci di Montecarotto]]) la gestione economica della famiglia.
Aprì un negozio di seterie in [[via della Loggia]], in società con [[Gustavo Baldesi]], in un momento particolarmente propizio per l’effervescenza dei commerci nella città dorica. Strinse amicizia con il [[patriota]] anconetano [[Antonio Giannelli]] che lo introdusse negli ambienti carbonari della città. I due assunsero la guida di una [[setta]] segreta dalle sfumature mazziniane, votata alla preparazione di un piano insurrezionale per l’abbattimento del governo di [[Gregorio XVI]]. Ad insurrezione avviata, la strategia dell'organizzazione confidava sulla fedeltà della parte più umile e disprezzata dell’esercito, la [[gendarmeria]], acquisita anche mediante azioni corruttive, ma la reazione pontificia giunse in anticipo, con arresti efficaci tra aprile e maggio del [[1846]] che neutralizzarono piano e impianto settario. Arrestato dai [[carabinieri]] di [[Ancona]] il [[28 maggio 1846]] e rinchiuso nelle carceri di [[Treia]], venne sottoposto ad un duro interrogatrio da parte del commissario-giudice [[Pietro Piselli]] che lo ritenne tra i principali finanziatori della causa sovversiva e co-regista della macchinazione per la sollevazione di [[Ancona]].
 
Mentre iniziava a crescere tra i [[liberali]] della città il sospetto che la [[setta]] fosse stata vittima di un tradimento interno – i timori maggiori caddero in seguito su [[Antonio Giannelli]] –, giunse l’[[amnistia]] per i reati politici di [[Pio IX]] il [[16 luglio 1846]] che interruppe l’iter di un [[processo inquisitorio]] prossimo al dibattimento. Restituito alla libertà, iniziò a confidare nella stagione riformistica timidamente avviata dal [[pontefice]], divenendo ufficiale delle [[Guardie Civiche]] di [[Ancona]] e di [[Montecarotto]] – da qui l’appellativo di ''Capitano bello'' per i suoi stimati due metri di altezza –, desideroso di assumere il duplice ruolo politico secondo il principio liberale e riformista del cittadino-soldato.
 
La crisi agricola che stava attraversando l’[[Europa]] ricadde pesantemente anche sul territorio pontificio, stretto in una morsa alimentare senza tregua, soffiando su manifestazioni di protesta che indebolirono gli inziali entusiasmi verso [[Pio IX]]. L’irrompere nelle piazze di un popolo desideroso di più incisive riforme scatenò la bufera del [[1848]], impulsiva e devastante anche in Italia. Le prediche di [[Ugo Bassi]] ad [[Ancona]] lo spinsero ad armare una compagnia da dirigere sui campi del [[Veneto]], combattendo a [[Badia]], [[Vicenza]], [[Mestre]] e [[Treviso]]. Sempre più stretto dai debiti, decise di disfarsi di tutti i suoi beni.
 
Fece nuovamente ritorno in [[Veneto]] e dopo la [[battaglia di Mestre]] ([[27 ottobre 1848]]) restò fino ai primi di febbraio dell’anno seguente con i suoi uomini sul confine settentrionale dello Stato romano. Con la morte del ministro [[Pellegrino Rossi]] il [[15 novembre 1848]], la fuga di [[Pio IX]] a [[Gaeta]] il [[24 novembre 1848]] e la diffusa iniziativa dei [[democratici]] dei [[Circoli popolari]], il suo ruolo di servitore della patria divenne ancora più esplicito e, rivolgendosi adal [[ministro dell'Interno]][[Carlo Armellini]] il [[24 gennaio 1849]], chiarì personalmente la sua disponibilità a lottare con tutti i mezzi per l’[[indipendenza italiana]].
Arruolatosi nella [[Legione Italiana]] di [[Garibaldi]], da poco giunto in Italia in soccorso del movimento liberal-democratico, si aggregò alle forze guidate da [[Pietro Roselli]] in guerra nell’[[Ascolano]] contro la rivolta [[sanfedista]] dei capibanda [[Giovanni Piccioni]] e [[don Domenico Taliani]] sostenuta dal [[cardinale Filippo De Angelis]] di [[Fermo]], irremovibile nel contrastare la neonata [[Repubblica Romana (1849)]]. Lo sbarco delle truppe francesi a [[Civitavecchia]] il [[25 aprile 1849]] lo costrinse a lasciare la soluzione della crisi ascolana nelle mani di [[Felice Orsini]], valutando come prioritaria la convergenza verso il territorio laziale di tutte le forze militari sparse nel territorio repubblicano.
 
Dopo la battaglia di [[Velletri]] il 19 maggio 1849 contro le forze napoletane e spagnole (costrette a ripassare la frontiera sotto la forza dei soldati di Garibaldi), spostò la sua compagnia a [[Porta San Pancrazio]], sul colle gianicolense, la cui caduta avrebbe assicurato alle forze francesi del generale [[Nicolas Charles Victor Oudinot]] il controllo di [[Roma]]. Nella battaglia del [[3 giugno 1849]] a [[Villa Pamphili]], dopo ripetuti assalti di baionetta, cadde a terra colpito da fuoco nemico alla coscia destra. Ricoverato al [[Santo Spirito]] gli venne amputato l’intero arto inferiore, accrescendo il pericolo di nuove infezioni. Il [[6 giugno 1849]] [[Garibaldi]] lo decorò con il grado di maggiore e nove giorni dopo ricevette in ospedale la visita di due [[triumviri]] mentre il comando delle truppe passò al tenente [[Francesco Negozi]]. Si spense il [[27 giugno 1849]], a poche settimane dalla nascita del suo quarto figlio, [[Lorenzo Bucci Casari]] (vedi [[Sindaci di Ancona]]), che a soli 17 anni indossò la camicia rossa insieme al fratello [[Attilio]] sui campi del [[Trentino]] nel [[1866]]. Venne successivamente tumulato nel [[Mausoleo Ossario Garibaldino]] nella località [[Colle dei Pini]] insieme agli eroi della difesa di Roma, tra i quali il giovane [[Goffredo Mameli]].