Giovanni Presta: differenze tra le versioni
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Tutti i tipi di olio che egli aveva prodotto grazie all’uso delle sue tecniche e di quelle degli antichi, erano stati inviati da Giovanni Presta all’ imperatrice Caterina II. Alla fine del libro, l’autore analizza anche la “ragia” degli alberi di ulivo ottenuta senza alcun tipo d’incisione o di tecnica in quanto usciva da sola dai rami dell’albero. Presta dice che la “ragia” non apparteneva a tutti gli alberi ma negli ulivi era molto presente. Egli subito dichiara che le notizie sulla “ragia” erano state prese dal marchese [[Giuseppe Palmieri]], economista leccese tra le figure più rappresentative del settecento napoletano ma attivo anche nel Salento. Presta fa, quindi, un’accurata classificazione degli oli confrontando anche le sue esperienze con il passato.
==Memoria intorno a sessantadue saggi diversi di olio==
Presta con la sua prima opera riuscì a raggiungere un gran successo, per questo decise di iniziare un nuovo progetto molto più ampio. Questo suo secondo lavoro lo dedicò a Ferdinando IV, re delle due Sicilie.
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Presta iniziò il lavoro con un riferimento al passato “la perfezione dell’Olio fu cosa in vero di non leggiera importanza appo degli Antichi”. Presta affermava che in passato vi era un grande consumo di olio finalizzato all’uso che l’uomo ne faceva sul proprio corpo, quindi era normale che non tutto l’olio fosse di ottima qualità. Dopo la caduta dell’impero romano si andò puntando solo sulla quantità di olio prodotta e fu perso qualsiasi tipo di interesse legato alla sua qualità. In seguito a questa prefazione, nella prima parte dell’opera Presta distingueva i vari tipi di olio secondo il grado di maturazione delle olive. La più comune tra questa era “l’Ogliara” dai latini chiamata “Salentina”. I primi campioni di olio contenevano quello ricavato dalle olive acerbe raccolte a settembre, chiamato “Onfacino”. Questo olio era di coloro verdegiallo e poco fluido ma l’autore trovò il modo per schiarire il suo colore. Dalle olive semiacerbe raccolte a novembre, si ricavava l’olio che in passato era chiamato “strictivum oleum, oleum ad unguenta, oleum viride” ma che Presta definì “Semionfacino”. Nei mesi successivi le olive erano ormai mature e l’olio che si produceva era di scarsa qualità e probabilmente era proprio l’olio che in passato era dato agli schiavi, quello delle olive nere detto “Cibarium Oleum”. Tutti questi tipi di olio appartenevano alla stessa oliva “l’Ogliara” raccolta però in periodi diversi. Nella seconda parte del libro l’autore analizzava la differenza dei tipi di olio dovuta alle varie specie di olive. Egli aveva riconosciuto quarantotto varietà di olive e precisava che, sicuramente, molte li erano oscure. Per analizzare tutte queste varietà egli si fece mandare alcune specie di olive della [[Spagna]], della [[Campania]], di [[Genova]], di [[Firenze]] per controllare almeno la quantità di olio che riuscivano a produrre e non la qualità. Dell’oliva di grandi dimensioni detta “Orchita ed Orchemora” che in Salento era chiamata, semplicemente, “oliva grossa” vi erano sette specie ma Presta ne riuscì ad analizzare solo tre. La prima era ovale con polpa “soda”, la seconda era simile alla prima ma più dolce, la terza oliva grossa era dolcissima. Un altro tipo di oliva era la “Mennella” di polpa tenerissima quasi acquosa ma l’autore ne fece una nuova che chiamò “piccola Mennella” utilizzando l’oliva matura. Poi abbiamo “l’Usciana”, “l’Algiana”, l’oliva che i tarantini chiamavano “uliva dolce”, sempre per i tarantini la “Cerasola” simile alla “Mennella”, la “Pasola” che si distingue in ovale dolce e rotonda dolce, la “Corniola”, la “Cellina”, la “Termetone” chiamata dall’autore “Ulivastrona” che è una pianta che cresce spontaneamente con olive di polpa molto “soda”, ma quella preferita in passato era “l’Ogliara”. Presta di tutte queste specie di olive fece una descrizione accurata, precisando che la qualità dell’olio dipende dal tipo di oliva scelta e dal suo grado di maturazione, non è per niente importante la presenza o meno del nocciolo come spiegherà nella terza parte dell’opera. In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente, la qualità dell’olio non cambiava. Per spremere le olive era stato creato dai [[Greci]] il “Frantoio”, ritrovato negli scavi di [[Stabia]]. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “frantoio” non era molto ampia quindi doveva essere svuotata e poi riempita molte volte. Nel periodo illuministico le macchine utilizzate per spremere le olive erano le “Macine”, ma sia con il “frantoio” sia con “le macine”, si notò che dal nocciolo non usciva olio quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. L’errore che era stato fatto in passato era di spremere prima le olive senza il nocciolo e successivamente quelle con il nocciolo, la colpa del sapore differente fu data alla presenza del nocciolo, in realtà la qualità dell’olio dipendeva dal grado di maturazione dell’oliva.
==DEGLI ULIVI, DELLE ULIVE, E DELLA MANIERA DI CAVAR L’OLIO==
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