Giovanni Presta: differenze tra le versioni
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In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente, la qualità dell’olio non cambiava. L’autore continua raffigurando le macchine utilizzate per la spremitura delle olive. Dai [[Greci]] era stato inventato il “''Frantoio''”, ritrovato negli scavi di [[Stabia]]. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “''frantoio''” non era molto ampia e doveva essere svuotata e poi riempita diverse volte, quindi questo lavoro richiedeva molto tempo. Nel periodo illuministico la macchina utilizzata per spremere le olive era la “''Macina verticale''”, ma sia con il “''frantoio''” sia con “''le macine''”, si notò che dal nocciolo non usciva olio, quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. L’errore che era stato fatto in passato era di spremere prima le olive senza il nocciolo e successivamente quelle con il nocciolo, la colpa del sapore differente fu data alla presenza del nocciolo, in realtà la qualità dell’olio dipendeva dal grado di maturazione dell’oliva. In fine, Presta dichiara che l’uso del frantoio antico era stato dismesso in quanto riusciva a ridurre in farina anche il nocciolo e questo “''trasmettea l’infezion dell’Olio dei semi all’Olio di polpa''”.
=='''Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l'olio'''==
“Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio” è l’opera più importante di Giovanni Presta sia per la ricchezza dei riferimenti letterari, sia per la lingua, sia per la descrizione delle sue esperienze. L’autore pubblicò questo libro nel 1794, anche se finì di scriverlo due anni prima
==='''Lingua'''===
Presta rispetto ai suoi colleghi usa un linguaggio molto più elaborato, un lessico selezionato e con precisi intendimenti stilistici. L’autore fa uso di espressioni letterarie, di termini dotti, di parole toscane ma riporta anche termini dialettali accompagnati dalla spiegazione e dal loro significato. La complessità della materia richiede massima attenzione anche dal punto di vista linguistico.
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La lettera dedicatoria fu scritta a [[Gallipoli]] nel 1793. Come aveva promesso nella seconda opera, l’autore dedicò anche questo lavoro a Ferdinando IV, re delle Due Sicilie. Nella lettera dedicatoria Presta affermò di riuscire a produrre dell’olio che sarebbe riuscito a far tornare il prestigio per la sua alta qualità al territorio e scrisse al re che qui avrebbe riportato le tecniche di produzione dell’olio. In quest’opera egli affrontò gli argomenti che aveva presentato nelle famose lettere a Marco Lastri.
Presta all’inizio dell’opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poiché basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. Nella prefazione l’autore parlò un po’ della sua vita, fece un accenno alle accademie di quel tempo che affrontavano discorsi riguardanti la produzione agricola, poi parlò dell’ulivo come l’albero preferito da [[Minerva]] divinità della guerra, tutto ciò per conoscere meglio la pianta che egli stava studiando e per dare dignità alla propria ricerca. Egli, anche in quest’opera, confrontava tutti i suoi studi sulle tecniche del passato e su quelle moderne alla sua esperienza, tutto doveva essere verificato. ▼
==='''Prefazione'''===
▲Presta all’inizio dell’opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poiché basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. Nella prefazione l’autore parlò un po’ della sua vita, fece un accenno alle accademie di quel tempo che affrontavano discorsi riguardanti la produzione agricola, poi parlò dell’ulivo come l’albero preferito da [[Minerva]], divinità della guerra
[[Immagine: Uliveto.jpg|thumb|300px|left]]
Il Salento era considerato tra i migliori produttori di olio,
==='''Dell'ulivo'''===
Il tema scelto nella prima parte dell’opera è l’olivo. Presta aprì il trattato con un’accurata descrizione di questa pianta, dicendo che per quanto riguarda la sua utilità sicuramente tra tutte l’olivo era il migliore: “''di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re''”. In questa prima parte c’era un riferimento ai tempi antichi dove si confermava la sua tesi, infatti i [[Greci]] consideravano l’ulivo una pianta “''divina''”. L’ulivo, diceva Presta, era una delle piante che vivevano più a lungo, sicuramente alcuni secoli e riporta diverse tesi sulla sua propagazione:
* la “''propaggine''”, tecnica rifiutata da [[Teofrasto]], antico botanico greco. Approvata da [[Catone]] che in uno degli incontri agricoli di Teofrasto affermò che gli ulivi potevano essere sottoposti a questa tecnica. Presta dice di non aver mai utilizzato questo metodo, in quanto vi erano mezzi molto più facili ed economici.
* la “''talea''”, metodo molto usato, “''facilissimo veramente, e di poca spesa''”;
* i “''piantoni''”, preferiti dai Romani;
* i “''Curmoni''”, voce che deriva dal [[greco]];
* gli “''uovoli''”, già accennati da [[Lucio Giunio Moderato Columella]] e usati dai calabresi con il nome di “''topparelle''”;
* “''gli ulivastrelli o nati spontaneamente, o fatti nascer dal seme, e innestati''”, considerato da Presta il metodo migliore.
Dei metodi di propagazione dell’olivo elencati dal Presta, due sono quelli oggi utilizzati dai vivaisti:
* la talea (autoradicazione di talee semilegnose);
* l’innesto (propagazione per seme e successivo innesto).
Presta continuava analizzando il comportamento dei contadini e riportando le cause dei danni che l’ulivo poteva subire:
* “''la seccagione pel freddo''”, considerato il più grande nemico dell’olivo;
* “''il mal della Brusca''”, che colpiva solo gli ulivi “''Ogliaroli''” tipici del Salento;
* “''la Rogna, che suole infestare gli Ulivi''”;
* “''i Gozzi, o Gobbe dai Greci appellate Gongri, da noi Testuggini''”, che nascono sul tronco dell’albero;
* “''la Ragia''”, che esce o da qualche ramo o da qualche forellino;
* “''il Musco''”, presente sul tronco e sui rami dell’albero.
Le malattie dell’ulivo possono, anche, essere causate da numerosissimi insetti ma l’autore ne riporta solo alcuni esempi:
* le “''Cantarelle''”, che si trovano anche sulle Querce ma prendono soprattutto di mira l’olivo di cui rovina le foglie e i fiori;
* il “''Verme roditore''”, che nasce nel midollo dei rami e lo logora;
* morbo “''Araneum o Bombacella''” , che impedisce l’apertura dei fiori;
* il “''kermes''”, piccolo insetto che nasce sulla parte inferiore della foglia e in seguito si attacca al ramo dell’ulivo, di conseguenza la pianta è molto debole;
* il “''bruco minatore''” .
==='''Dell'ulive'''===
Nella seconda parte l’autore riporta un elenco dei vari tipi di olive scoperti nel Salento: "''così da anno in anno in questi nostri uliveti osservando mi è riuscito di rinvenircene non meno di cinquanta sorte diverse, e le anderò qui ad una ad una or dicendo, e parlerò poi di molte delle medesime, alloracchè di preciso esaminerò quali siano le ulive fornite di maggior quantità di olio, e quali il versar più delicato, e più fine, il chè è stato uno dei più importanti miei scopi''".
Le varietà di olive illustrate vengono descritte per peso lunghezza e colore, ma anche per quantità e qualità di olio prodotto.
* l’oliva grossa ovale detta “uliva grossa” o “uliva di Spagna”, chiamata dai Greci e dai Latini “Orcas, Orchis, Orchitis”. La sua polpa è “soda”e produce un olio molto delicato.
* “L’uliva grossa di punta tronca” chiamata dai Tarantini “Uliva Cazzarola”, mentre dal resto dei salentini “uliva grossa da cazzare bianco”.
* L’uliva grossa ovale detta “sanguinesca” che differisce dalla prima in quanto ha la punta più tondeggiante.
* L’oliva grossa fatta a “pendente”, poco oliosa e chiamata anche “orchite”.
* L’oliva grossa ovale meno lunga delle altre.
* La “Angelica Palmieri”, buona anche cruda. Questa oliva grossa ha la pelle macchiata e le macchie sono presenti anche sul nocciolo. Essa è ovale ed è chiamata angelica per il suo squisito sapore.
* “L’uliva grossa fatta a pendente chiamata a Taranto “Uliva di Spagna” utilizzata per la salamoia.
* “L’uliva grossa “cordiforme” detta “Permezana”, che è la più grossa di tutte,piena di polpa e proviene da Monopoli.
* “L’uliva in forma di limoncello” detta a Monopoli la “Limoncella”.
* L’oliva chiamata dai tarantini la “Mennella”e dal resto dei salentini “minna o minnedda”. Essa non produce troppo olio.
* La “piccola Mennella” presenta una varietà molto più piccola che l’autore chiama “piccolla mennella”, che ha un sapore quasi dolce.
* “L’uliva dolce”, la cui forma è simile a quella di una pera.
* L’oliva “Cerasola” di Tricase, la quale matura è di colore rossastro ed ha un forma a pendente. Essa scarseggia di olio.
* L’oliva dolce di “Barbarano” che ha poca polpa e produce poco olio.
* L’oliva chiamata da Presta “uliva albicocca” in quanto è composta da due metà formate a cucchiaio come un’albicocca. Questa oliva non è adatta per produrre olio in quanto sarebbe di scarsa qualità.
* “L’uliva Baresana”, così chiamata perché giunse la prima volta da Bari. E’ molto nera, tenerissima e piena di polpa. Produce molto olio come “l’ogliarola”.
* La “Pasola”, anticamente “Pausia, Posia, e Posea”. Si divide in tonda dolce, tonda amara, ovale dolce e ovale amara.
* La “”Cornolara, o Corniola” che si divide in maggiore,minore e piccola “Cornolara”. Scarseggia di olio però il suo olio mantiene un buon sapore per molti anni.
* “L’uliva tonda di Galatone”, la quale produce poco olio.
* La “Termetone”, che appartiene ad un ulivo che nasce spontaneamente ed ha una forma tondeggiante, di polpa soda e scarseggia sulla quantità di olio. Presta chiama questa varietà “Ulivastrone”.
* “L’Ulivastrona dolce”, stessa figura tondeggiante della precedente però un po’ più piccola. Ha un sapore molto dolce
* La “Palmierina”, piccola e ovale, di colore prima rosso e poi nero. L’autore la vide la prima volta nell’uliveto di Giuseppe Palmieri.
* “L’uliva a ciocca”, così chiamata in quanto l’albero allega i frutti a ciocche. Questa oliva verso un olio di sapore molto fine.
* L’oliva “Manna”, piccola e di sapore molto dolce, molto simile per il colore e la figura all’oliva “Ogliarola”.
* L’oliva detta “Cellina legittima”, “di un nero vivissimo, e lustro, quandocchè sia perfettamente matura”. Quest’ultima, conosciuta anche con altri nomi, Morella, Saracena, Scuranese, Cellina di Nardò ecc. , insieme all’Ogliarola è la varietà più coltivata oggi nel Salento.
Presta riporta anche altre varietà di olive e tra queste le tre olive di origine toscana, affermando che “l’infrantoia” è la migliore razza di ulivo.
==='''Della maniera di cavar l'olio'''===
[[Immagine: macina.jpg|thumb|250px|right|Macina]]
La terza parte illustra i metodi utilizzati per ricavare l’olio. Scrive il Presta, “la prima maniera dunque di cavar l’olio, par, che sia stata quella di spremere con le mani le ulive schiacciate, a un di presso, come tra noi costumano i contadini, o pur di cavarlo co’ piedi, siccome è di uso non che nel Regno di Marocco, ma in molti Paesi di questo medesimo Regno”. Sembra che in questo modo l’olio sia stato scoperto e che il primo uso che se ne fece fu quello di spalmarlo sulla pelle e di usarlo come condimento per i cibi. In seguito venne molto utilizzato per illuminare le strade accendendo le fiaccole. I Greci, invece, utilizzavano il “Trapetum”, ritenendo che la tecnica sopra descritta richiedeva una grande perdita di tempo. Secondo il Presta il Trapetum dei Greci era il frantoio che nel 1780 fu ritrovato negli scavi di Stabia. “Consiste esso in una gran vasca, o gran mortajo di pietra vulcanica, o del Vesuvio, entro cui pendono perpendicolari, e girano intorno due porzioni di sfera concentriche, infilate pel loro centro, ed acconce in un asse, che gira appoggiato, e sostenuto da un perno di ferro conficcato in una colonnetta, che si eleva dal mezzo del mortajo medesimo”. Il frantoio si diceva riducesse in polvere anche il nocciolo e questo poteva rovinare il sapore dell’olio, in realtà questo non era vero. Il frantoio usato a Firenze era, però, molto difettoso rispetto agli altri paesi che usavano la più efficace macina verticale non solcata: “Tolta Firenze, gli altri noti olearii Paesi si vagliono di un Frantojo a macine verticale non solcata, ma liscia, o piuttosto col dosso un po’ scabro, acciochè le ulive, e i noccioli non sdrucciolino, e non isfuggano di sotto la macine, ma rimangano bene stacciati”. Dice il Presta che “quando la sollecitudine del lavoro, che di esso si vanta, fosse anche vera”, diversi sono i motivi per cui la macina verticale si fa preferire al frantoio. Dopo aver parlato del frantoio antico l’autore si sofferma sul torchio o strettoio “a’ tempi di Plinio inventatosi”, utilizzato per la spremitura della pasta dalla quale si ottiene l’olio. Nel capitolo IV della terza parte egli descrive la struttura e l’uso del torchio, soffermandosi in particolare sulla forza necessaria per azionare il torchio a due viti e il torchio a una vite, concludendo “che fia sempre meglio adoprar l’argano nel torchio a una vite, che al torchio a due, e del torchio a una vite, io dalla ragione, e dalla sperienza ammaestrato mi avvalgo”. Si può tranquillamente affermare, senza paura di essere smentiti che per migliorare la produzione dell’olio è fondamentale l’azione dell’uomo. E’ questo il motivo per cui Presta descrive le macchine e gli strumenti utilizzati per estrarre l’olio in maniera molto accurata. La terza parte è sicuramente la più importante perché ricca di “Avvertimenti intorno al Fattojo, intorno agli ordigni oleari, e intorno alle ulive per fabbricarne dell’olio fine”. Presta, con le sue opere, voleva spronare il lettore ad utilizzare i suoi metodi per dare un contributo allo sviluppo socio-economico del suo territorio.
==Bibliografia==
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