Questione meridionale: differenze tra le versioni

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===Il ventennio fascista===
Il [[fascismo]] si presentò nel Mezzogiorno come una forza in grado di realizzare obiettivi ambiziosi in tempi brevi e che gli potessero assicurare una forte visibilità. Lo Stato fascista era infatti interessato ad allargare il proprio consenso mediante una crescita economica che sostenesse la sua politica espansionista. A tal fine promosse una serie di opere pubbliche attraverso vari organismi quali l'[[IRI]] (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e l'[[IMI]] (Istituto Mobiliare Italiano), per dotare di infrastrutture i territori più depressi del Meridione. Vennero migliorati due [[Porto (struttura)|porti]] ([[Napoli]] e [[Taranto]]), costruite alcune [[Strada|strade]], [[Ferrovia|ferrovie]] e [[Canale artificiale|canali]], intrapresa la costruzione di un grande [[Acquedotto|acquedotto]] (quello del [[Tavoliere delle Puglie|Tavoliere Pugliese]]) e, soprattutto, ideato un ambizioso piano di [[bonifica idraulica|bonifica integrale]]. Tuttavia si trattò di investimenti che soddisfacevano solo in minima parte le esigenze locali, con una ricaduta modesta sull'occupazione e distribuiti secondo criteri volti a produrre o consolidare il consenso verso il regime da parte delle popolazioni interessate e, nel contempo, a non ledere gli interessi di quei ceti, (latifondisti e piccolo-borghesi), che costituivano lo zoccolo duro del fascismo nel Meridione. Ciò fu particolarmente evidente nell'attuazione dell'imponente piano di bonifica, dove non si riuscirono ad armonizzare gli interessi contrastanti dei contadini, che richiedevano un trasferimento delle terre bonificate a loro favore, e dei vecchi proprietari terrieri, timorosi di venire espropriati. Si cercò invano di limitare l'influenza di questi ultimi e così «...la bonifica si arrestò nel Mezzogiorno alla fase delle opere pubbliche, mentre tutti i fermenti che la miseria e i permanenti squilibri suscitavano, furono incanalati, in quegli anni, verso il mito dell'Impero.»<ref>Citazione da: {{cita libro |cognome= Villari |nome= Rosario |wk autore= Rosario Villari| titolo= Il Sud nella Storia d'Italia |anno= 1981 |editore= Laterza |città= Roma-Bari |pagine= pag. 520}} {{NoISBN}}</ref>
 
Anche le politiche messe in atto in epoca fascista per incrementare la produttività nel settore primario non furono coronate da successo: in particolare la politica agraria voluta da Mussolini danneggiò profondamente alcune aree del Mezzogiorno. La produzione si concentrò infatti soprattutto sul grano ([[battaglia del grano]]) a scapito di colture più specializzate e redditizie che erano diffuse nelle aree più fertili e sviluppate Meridione. Per quanto riguarda l'industria, questa visse durante il "ventennio nero" un lungo periodo di stagnazione nel Sud, rilevabile anche sotto il profilo occupazionale. Gli addetti al settore secondario nel Mezzogiorno costituivano infatti, nel [[1911]], il 20% sul totale nazionale e, quasi trent'anni più tardi, tale percentuale non aveva subito mutamenti di rilievo. Nel [[1938]] i lavoratori dell'industria erano scesi infatti al 17,1% <ref>I dati si riferiscono al totale di quelli relativi all'Abruzzo e Molise, alla Campania, alla Puglia, alla Basilicata, alla Calabria, alla Sicilia e alla Sardegna e sono stati ottenuti da una tabella (n. 45) compilata da Albert Carreras che sta in: AA. VV., ''Storia d'Italia'', Torino, Einaudi 1999, ed. speciale il Sole 24 Ore, Milano, 2005 vol. 21 (''L'Industria'') p. 265»</ref>, ma, tenendo conto del minor peso demografico del MezzogiornoMeridione e delle [[Italia insulare|Isole]] rispetto alle altre due macroaree economiche del Paese a quella data, il rapporto fra costoro e quelli operanti nel resto d'Italia era rimasto praticamente invariato (nello stesso arco temporale la popolazione del Meridione e delle IsoleMezzogiorno era scesa dal 38% circa al 35,5% circa su quella totale dello Stato)<ref>Tale decremento fu dovuto sia all'emigrazione che dell'incorporazione all'Italia centrosettentrionale del [[Trentino Alto Adige]] (1918) della [[Venezia Giulia]] ([[1918]]) e di alcune aree campane e abruzzesi ([[1927]]), solo in parte compensate dal maggior tasso di accrescimento naturale della popolazione del Mezzogiorno rispetto a quello del resto d'Italia</ref>.
 
Sul finire degli anni trenta il fascismo diede nuovo impulso al suo impegno economico nel Meridione e in Sicilia, ma si trattò di un'iniziativa tesa ad accrescere gli scarsi consensi che il Regime godeva nel Mezzogiorno e a rendere più popolare, nel Sud, la guerra mondiale che di lì a poco avrebbe travolto l'Italia.<ref>{{cita |Rosario Villari |p. 521}}</ref>