Canzone al Metauro: differenze tra le versioni

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figlio piccolo sì, ma glorïoso
 
e di nome più chiaro assai che d'onde,
 
fugace peregrino
 
a queste tue cortesi amiche sponde
 
per sicurezza vengo e per riposo.
 
L'Alta Quercia che tu bagni e feconde
 
con dolcissimi umori, ond' ella spiega
 
i rami sì ch'i monti e i mari ingombra,
 
mi ricopra con l'ombra.
 
L'ombra sacra, ospital, ch' altrui non niega
 
al suo fresco gentil riposo e sede,
 
entro al più denso mi raccoglia e chiuda,
 
sì ch' io celato sia da quella cruda
 
e cieca dèa, ch' è cieca e pur mi vede,
 
ben ch'io da lei m' appiatti in monte o 'n valle,
 
e per sollingo calle
 
notturno io mova e sconosciuto il piede;
 
e mi saetta sì che ne' miei mali
 
mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.
 
Oimè! dal dì che pria
 
trassi l'aure vitali e i lumi apersi
 
in questa luce a me non mai serena,
 
fui de l'ingiusta e ria
 
trastullo e segno, e di sua man soffersi
 
piaghe che lunga età risalda a pena.
 
Sàssel la gloriosa alma sirena,
 
appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:
 
così avuto v'avessi o tomba o fossa
 
a la prima percossa!
 
Me dal sen de la madre empia fortuna
 
pargoletto divelse. Ah! di quei baci,
 
ch'ella bagnò di lagrime dolenti,
 
cono sospir mi rimembrae de gli ardenti
 
preghi che se 'n portâr l'aure fugaci:
 
ch'io non dovea giunger più volto a volto
 
fra quelle braccia accolto
 
con nodi così stretti e sì tenaci.
 
Lasso! e seguìi con mal sicure piante,
 
qual Ascanio o Camilla, il padre errante.
 
In aspro esiglio e 'n dura
 
povertà crebbi in quei sì mesi errori;
 
intempestivo senso ebbi a gli affanni;
 
ch'anzi stagion, matura
 
 
l'acerbità de' casi e de' dolori
 
in me rendè l'acerbità de gli anni.
 
L'egra spogliata sua vecchiezza e i danni
 
narrerò tutti. Or che non sono io tanto
 
ricco de' propri guai che basti solo
 
per materia di duolo?
 
Dunque altri ch'io da me dev,esser pianto?
 
Già scarsi al mio voler sono i sopsiri,
 
e queste due d'umor sì larghe vene
 
Non agguaglian le lagrime e le pene.
 
Padre, o buon padre, che dal ciel rimiri,
 
egro e mortoti piansi, e ben tu lo sai,
 
e gemendo scaldai
 
la tomba e il letto: or che ne gli alti giri
 
tu godi, a te si deve onor, non lutto:
 
a me versato il mio dolor sia tutto.