Economia romana: differenze tra le versioni

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Il futuro decadimento dell'economia imperiale fu conseguenza anche della graduale decadenza dell'agricoltura, che pian piano perse la capacità di rifornire i mercati cittadini.<ref>Le cause del dissolversi del tessuto agrario furono identificate, con straordinaria lungimiranza, dal maggiore agronomo latino del I secolo d.C.: [[Lucio Giunio Columella]] (Antonio Saltini, ''Storia delle scienze agrarie'', vol. I ''Dalle origini al Rinascimento'', Bologna 1984, pp. 47-59).</ref> Le cure dello Stato, infatti, andavano più che alle campagne<ref>Nonostante nelle campagne vivesse l'80% della popolazione totale dell'Impero nel I secolo d.C. (Giorgio Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza'', Einaudi, 2004, p. 28).</ref> alle città, dove risiedevano anche i proprietari terrieri, che usavano le ville di campagna solo per le vacanze. Del resto, poiché l'agricoltura consentiva minori guadagni del commercio e del prestito ad usura, i grandi [[latifondismo|latifondisti]] erano poco invogliati ad investire denaro per migliorare la produttività delle proprie terre<ref>Il merito storico dell'aristocrazia romana non si evidenziò tanto nello sviluppo di un'economia dinamica, imprenditoriale, quanto nel modo in cui seppe amministrare i paesi ed i popoli sottomessi con un minimo uso della forza (fanno eccezione gli ebrei, culturalmente refrattari al dominio romano)(Giorgio Ruffolo, ''Quando l'Italia era una superpotenza'', Einaudi, 2004, p. 69).</ref>
 
La crisi produttiva, i cui sintomi si erano già evidenziati durante l'Alto Impero, si manifestò in tutta la sua virulenza dal [[crisi del III secolo|III secolo d.C.]] in poi con l'accentuarsi dell'instabilità politica. Le [[guerre civili romane|guerre civili]] e le [[Invasioni barbariche|scorrerie barbariche]] finirono per devastare anche le regioni più fertili e le campagne cominciarono a spopolarsi (fenomeno degli ''agri deserti''),<ref>Gli imperatori furono costretti, specialmente nelle province danubiane, a chiamare popolazioni barbariche per ripopolare le campagne</ref> anche perché i piccoli proprietari terrieri, che già non se la passavano bene, dovevano affrontare da una parte i costi dovuti al mantenimento di interi eserciti che transitavano sui loro territori, dall'altra un peso fiscale diventato sempre più intollerabile (basti pensare all'introduzione da parte di [[Diocleziano]] della [[iugatio-capitatio|''iugatio''-''capitatio'']]<ref>Ogni proprietario fu tassato sulla base di ciascuna persona che impiegava nel lavoro dei campi (''caput'') e per ogni pezzo di terra (''iugum'') sufficiente a produrre quanto necessario in un anno al mantenimento di una persona.</ref>).
 
L'introduzione del ''[[colonato]]'' (i latifondi furono suddivisi in piccoli lotti, affidati a coltivatori o ''coloni'' provenienti dalla categoria degli schiavi o dei braccianti salariati, che si impegnavano a cedere una quota del prodotto al padrone e a non abbandonare il fondo) permise di recuperare alla produzione terreni prima trascurati: lo schiavo era incentivato ad accettare questa condizione giuridica perché aveva qualcosa in proprio per nutrire sé e la famiglia (evitando anche il rischio dello smembramento del nucleo familiare per vendite separate), il lavoratore libero invece ebbe di che vivere, anche se dovette rinunciare a gran parte della propria autonomia perché obbligato a prestare i propri servizi secondo le esigenze del latifondista che gli aveva affidato in affitto la propria terra. Tuttavia, nemmeno il ''colonato'' risolse la crisi dell'agricoltura.<ref>Del resto, legare il colono alla terra mediante la coercizione non era certo un modo per aumentare la produttività o per migliorare la sorte dei lavoratori({{cita|Ruffolo|p. 102}}).</ref> Molta gente, infatti, disperata ed esasperata dalle guerre e dagli eccessi della tassazione, si diede al brigantaggio, taglieggiando viandanti e possidenti ed intercettando i rifornimenti, con grave aumento del danno per l'economia.
 
====Prodotti, produttività e metodi di coltivazione====