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=== Secondo attacco ===
==== Ritirata verso le rovine di Stalingrado ====
Il [[17 gennaio]] si incontrarono al quartier generale del Fronte del Don i comandanti delle armate con i generali Voronov e Rokossovskij; dopo accese discussioni venne respinta la proposta di sospendere l'offensiva per alcuni giorni per colmare le perdite e riorganizzare lo schieramento; i generali Voronov e Rokossovskij decisero di continuare subito l'offensiva in direzione di Gumrak per occupare l'ultimo importante aeroporto a disposizione del nemico. In realtà nei quattro giorni successivi i combattimenti rallentarono mentre le armate del Fronte del Don si riorganizzavano per l'attacco finale; nelle retrovie tedesche intanto cresceva la disorganizzazione a causa soprattutto del fallimento logistico, della mancanza di cibo, della mancanza di equipaggiamenti e riparti contro il freddo, della carenza di cure sanitarie<ref>A.Beevor, ''Stalingrado'', pp. 400-401.</ref>.
 
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Il [[20 gennaio]] l'Armata Rossa aveva dato inizio al nuovo attacco generale contro la sacca della 6ª Armata ormai ridotta a meno della metà delle sue dimensioni iniziali; la 65ª Armata del generale Batov avanzò in direzione dell'aeroporto di Gumrak e la notte occupò la cittadina di Gončara; nella serata succesiva i sovietici si avvicinarono a Gumrak e i lanciarazzi ''Katjuša'' aprirono il fuoco scatenando il caos negli aerodromi<ref>A.Beevor, ''Stalingrado'', pp. 406-407.</ref>.
==== Ultima resistenza ====
 
=== Disgregazione delle truppe tedesche accerchiate ===
All'aeroporto di Pitomnik si verificarono episodi drammatici di confusione e di riottosità delle migliaia di sbandati, disertori e feriti leggeri che tentavano di salire sugli aerei che decollavano con a bordo feriti gravi, ufficiali e specialisti selezionati secondo una rigida procedura stabilita dal comando d'armata. I soldati della ''Feldgendarmerie'', i temuti "cani alla catena", ebbero grande difficoltà a frenare le masse di sbandati completamente disorganizzati; in alcune occasioni si ricorse al fuoco delle armi. Dopo la caduta dell'aeroporto e dell'ospedale di Pitomnik il 16 gennaio, gli sbandati e i feriti marciarono penosamente a piedi per tredici km fino all'aeroporto di Gumrak dove si verificarono altri episodi di panico e di terrore incontrollato con assalti agli aerei, represse dalla ''Feldgendarmerie''. In questo secondo aereoporto era anche situato un ospedale campale dove le condizioni dei numerosissimi feriti erano tragiche e la mortalità altissima, i cadaveri erano sparsi lungo le strade e molti soldati erano completamente privi di cure. Nelle cosiddette "caverne della morte", i tunnel scavati nei fianchi delle iregolarità del terreno, erano assistiti sommariamente altri feriti.
 
Nell'ultima fase della battaglia tra gli ufficiali e le truppe tedesche si diffussero sempre più numerosi fenomeni di apatia, depressione, disperazione e paura per il proprio destino e per l'eventuale prigionia in mano nemica. La maggior parte dei soldati si rassegnarono alla fine e furono catturati dai sovietici, numerosi si batterono fino all'ultimo e preferirono morire in battaglia, alcuni intrapresero disperati tentativi di uscire individualmente o in piccoli gruppi dalla sacca ma furono uccisi o si dispersero nella steppa flaggellata dal clima invernale. Nessun soldato delle truppe accerchiate nella ''Festung Stalingrad'' riuscì a raggiungere in salvo le linee tedesche sempre più lontane a ovest.
 
Il [[22 gennaio]] il generale Paulus per la prima voltà prospettòaveva prospettato in una sua comunicazione all'OKH l'eventualità di una capitolazione: il comandante dell'armata tracciò un quadro drammatico delle condizioni delle sue truppe ed evidenziò la presenza dei primi segni di disintegrazione pur confermando che "il comando gode ancora della fiducia dei soldati". Nello stesso giorno il feldmaresciallo von Manstein arrivò a prospettare l'irrealistica possibilità di aprire negoziati con l'Armata Rossa sui termini della resa e sulle condizioni della prigionia<ref>AA.VV., ''Germany and the second world war'', vol. VI, pp. 1162-1163.</ref>.
=== Ultima resistenza ===
Il [[22 gennaio]] il generale Paulus per la prima voltà prospettò in una sua comunicazione all'OKH l'eventualità di una capitolazione: il comandante dell'armata tracciò un quadro drammatico delle condizioni delle sue truppe ed evidenziò la presenza dei primi segni di disintegrazione pur confermando che "il comando gode ancora della fiducia dei soldati". Nello stesso giorno il feldmaresciallo von Manstein arrivò a prospettare l'irrealistica possibilità di aprire negoziati con l'Armata Rossa sui termini della resa e sulle condizioni della prigionia<ref>AA.VV., ''Germany and the second world war'', vol. VI, pp. 1162-1163.</ref>.
 
La propaganda di [[Joseph Goebbels]] aveva limitato al massimo le informazioni in patria subito dopo l'inizio della offensiva sovietica di novembre; per molte settimane la battaglia di Stalingrado, ritenuta in precedenza di decisiva importanza per la vittoria della Germania, venne volutamente esclusa dai resoconti dei comunicati della Wehrmacht, anche se alla fine dell'anno iniziarono a circolare nella popolazione lugubri voci sull'accerchiamento della 6ª Armata. Solo il [[16 gennaio]] il popolo tedesco apprese ufficialmente per la prima volta che le truppe a Stalingrado erano impegnate in una "eroica lotta difensiva contro un nemico che attaccava da tutte le parti". Il 23 e il [[24 gennaio]] [[Otto Dietrich]] diede finalmente comunicazione alla stampa di prepararsi alla disfatta e affermò che compito della propaganda era ormai quello di trasformare la sconfitta in un "grande e commovente sacrificio delle truppe per la salvezza della nazione tedesca" ed in una "epopea eroica di Stalingrado".