Enore Zaffiri: differenze tra le versioni

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Una delle caratteristiche più qualificanti del nostro artista è la sua capacità di rinnovare costantemente il proprio linguaggio, i mezzi tecnici e l'orizzonte estetico di riferimento. Esaurita la spinta legata alla scoperta di un nuovo sistema linguistico ed esecutivo, Zaffiri non si ferma alla ripetizione accademica di sé stesso, ma è sempre proteso, quasi febbrilmente, alla ricerca di nuove possibilità. Quello che gli interessa è sperimentare le possibilità creative di un linguaggio con spirito esplorativo e analitico, verificandone tutte le condizioni possibili di montaggio e fruizione; alla fine del "circolo combinatorio", egli archivia l'esperienza assumendone tuttavia gli insegnamenti di fondo. <br/>
Accanto alla produzione video, l'ultima decade del secolo è segnata dal ritorno del nostro musicista alla ricerca di una nuova interpretazione del linguaggio musicale classico. Coi primi sintetizzatori Zaffiri aveva iniziato ad esplorare la possibilità di una rilettura del Settecento e di [[Johann Sebastian Bach|Bach]] con i colori e le dinamiche del trattamento elettronico del suono; ma i risultati avevano comunque il significato di un'esperienza irripetibile e personale venata da una certa ironica malinconia. Non dimentichiamo che, quasi contemporaneamente, uscivano gli LP di Walter Carlos con le prime esecuzioni di opere bachiane sul Moog Synthesizer.<br/>
Ma le nuove interpretazioni zaffiriane dei classici – che oggi compongono un catalogo con centinaia di titoli – assumono subito un significato completamente diverso, sia per le attuali tecnologie (le cosiddette "tastiere campionate") che permettono una resa del suono più "realistica" ed esteticamente compatibile con lo spirito dell'originale, sia per gli intenti con cui il nostro musicista mette in atto questa immensa operazione di re-visione del pianoforte classico-romantico. Ciò che Zaffiri ricerca, nelle [[sonata|sonate]] di [[Ludwig Van Beethoven|Beethoven]] come nei preludi di [[Fryderyk Chopin|Chopin]], non è la ripetizione di un evento fin troppo "consumato" dal mercato discografico, ma la dimostrazione che il fruitore intelligente e preparato di musica può trasformarsi a sua volta in esecutore ed interprete, semplicemente capovolgendo il rapporto che la legge del consumo impone tra prodotto e fruitore: non dev'essere il mezzo elettronico a imporre le sue caratteristiche, ma il fruitore a cercare di realizzare sé stesso con le grandi potenzialità che l'elettronica oggi offre. Sullo slancio di questa nuova stagione creativa, Zaffiri ritrova pubblico e "palcoscenici" – soprattutto il palcoscenico di oggi: il web – tra cui far circolare il suo nuovo messaggio. Le nuove occasioni d'incontro sono con il pubblico del Circolo degli artisti di Torino nel [[1990]], presso il prestigioso [[Politecnico di Torino|Politecnico]] del capoluogo piemontese nel maggio dello stesso anno, e al Teatro Juvarra nel dicembre successivo.
 
L'ultima proposta, in ordine di tempo, che la creatività multiforme del maestro ha saputo realizzare, a settant'anni compiuti, rappresenta la sintesi perfetta del suo lungo cammino artistico: la '''ComputerArt''' costituisce infatti l'esatto punto d'incontro dell'antica poetica strutturalista e del suo spirito pionieristico di "ricerca", con le più avanzate tecnologie digitali dedicate al trattamento dell'immagine. I "quadri digitali" che il nostro artista ha esposto in alcune gallerie d'arte italiane e presso la [[Biblioteca Nazionale di Firenze]], nascono infatti, come le antiche composizioni di musica elettronica dello SMET, da progetti geometrico-combinatori che forniscono la matrice comune al trattamento dei suoni - ricavati dalle tastiere campionate – e delle immagini, elaborate dal calcolatore elettronico. Leggiamo come Zaffiri stesso descrive il suo ultimo progetto "visivo" Tr/e/27 – il titolo stesso è un'autocitazione, una sorta di "ruota del tempo" che riporta un discorso che sembrava concluso alle proprie radici, permettendogli così di rinascere in forme moderne:<br/>