Giosuè Carducci: differenze tra le versioni
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Carducci teneva inoltre in casa una civetta, un falco e un lupo. Quando il padre ammazzò il falco e regalò a un amico il lupo, il figlioletto passò giorni di grande dispiacere vagando per lunghe ore in lacrime nei boschi.<ref>F.Flamini, p.4</ref>
A Bolgheri nacque il terzo figlio, Valfredo ([[1841]]), in ossequio alle inclinazioni romantiche del padre. Michele disponeva di una discreta biblioteca, in cui vi si riflettevano le predilezioni classico-romantiche e quelle rivoluzionarie. Qui Carducci poté voracemente impegnarsi nelle prime letture, e scoprire l'<nowiki></nowiki>''[[Iliade]]'', l'<nowiki></nowiki>''[[Odissea]]'', l'<nowiki></nowiki>''[[Eneide]]'', la ''[[Gerusalemme liberata (poema)|Gerusalemme liberata]]'', la ''Storia romana'' di [[Charles Rollin]] e la ''Storia della Rivoluzione francese'' di [[Adolphe Thiers]].<ref>R.della Torre, ''Invito alla lettura di Carducci'', Milano, Mursia, 1985 pp. 13-15</ref>
[[File:Bolgheri Castello 001.JPG|thumb|left|200px|Il castello di Bolgheri]]
=== Gli studi ===
Nei dieci anni a Bolgheri la famiglia visse in povertà e non era possibile per Giosuè frequentare le scuole; il padre incaricò così il sacerdote Giovanni Bertinelli di dargli lezioni di latino durante il giorno, mentre la sera era direttamente Michele a impartirgli l'insegnamento di questa lingua che il giovane amò profondamente sin dall'inizio.<ref>F.Giannessi, pp.8-10</ref> Già in questi anni cominciò a cimentarsi nella composizione di qualche verso, la ''Satira a una donna'' ([[1845]]) e l'appassionato ''Canto all'Italia'' ([[1847]]), entrambi in [[terzina (metrica)|terzine]]. Il [[1848]] è l'anno del [[sonetto]] ''A Dio'' e del racconto in ottave ''La presa del castello di Bolgheri''. Il progetto didattico paterno prevedeva la lettura dei classici latini (si dice che il ragazzo sapesse a memoria i primi quattro libri delle ''[[Metamorfosi (Ovidio)|Metamorfosi]]'') ma anche del [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] e del [[Silvio Pellico|Pellico]], che il figlio obbedientemente studiava, pur covando una vena antimanzoniana che andrà acuendosi negli anni appresso.<ref>M.Saponaro, pp.28-30</ref>
Le idee politiche di Michele Carducci, intanto, cominciarono a rendergli la vita impossibile in paese,<ref>L'eccessiva irruenza gli aveva attirato le antipatie di alcuni facinorosi che spararono colpi di fucile contro la sua abitazione il 21 e il 23 maggio 1848; cfr. R.della Torre, p.16</ref> tanto che dovette migrare dapprima a Castagneto (oggi [[Castagneto Carducci]] ingloba gli antichi borghi di Castagneto e Bolgheri) e poi a [[Lajatico]], dove in breve si ripropose lo stesso problema, che convinse il dottore a cercar rifugio nella grande città.<ref>M.Saponaro, pp.32-33</ref>
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Oltre all'amore e alla contemplazione rugge nell'irruente spirito carducciano un patriottismo impregnato di motivi [[Giuseppe Parini|pariniani]], [[Ugo Foscolo|foscoliani]] e [[Giacomo Leopardi|leopardiani]], in una convinta condanna della situazione politica attuale. Accanto al tema della morte, ''leitmotiv'' che sarà ricorrente nell'intera vicenda artistica del Nostro, vi è un senso autentico e profondo del religioso, un lancinante e post-manzoniano arrovellarsi attorno all'esistenza di Dio (nel sonetto ''Il dubbio'' per esempio), una spiritualità nobile che si tramuterà in anticlericalismo negli anni a venire, certamente per lo scontro con la mentalità bigotta con cui venne frequentemente in contatto.<ref>N. Busetto, ''Giosuè Carducci nel suo tempo e nell'età che fu sua'', Milano-Genova-Roma-Napoli, Società Anonima Editrice Dante Alighieri, 1935, pp.34-46</ref>
Alla scuola fu ammesso per l'anno 1851-1852 al corso di scienze, dove la [[geometria]] e la [[filosofia]] gli furono impartite da padre [[Celestino Zini]], futuro [[arcivescovo di Siena]]. In quel periodo il Carducci, che si dava anima e corpo allo studio anche a prezzo di grandi sacrifici (d'inverno si recava a scuola senza mantello e senza sciarpa a causa delle ristrettezze economiche), andava rafforzando una predilezione per i poeti classici dell'antichità, sprone morale e patriottico per l'età presente. Tuttavia, la sua indole passionale lo portò a contatto anche con i romantici, soprattutto [[Friedrich Schiller|Schiller]] e [[Walter Scott|Scott]], mentre si entusiasmò per [[Leopardi]]<ref>Nencioni glielo procurò nella vecchia edizione Piatti.</ref> e [[Ugo Foscolo|Foscolo]].<ref>G.Chiarini, pp.18-22</ref>
Siccome vicino a via Romana viveva lo stampatore [[Emilio Torelli]], riuscì a far comparire in forma anonima un sonetto [[Arcadia (poesia)|arcadico]] alla maniera di [[Angelo Mazza]], mentre sempre nel [[1852]] compose la novella romantica ''Amore e morte'', in cui combinando confusamente assieme vari metri raccontava di un torneo in [[Provenza]] e della fuga del vincitore, un cavaliere italiano, con la bella regina della manifestazione; un ratto che dovette tragicamente concludersi a [[Napoli]] dove il fratello dell'avvenente tolosana uccise l'amante e la costrinse alla monacazione. L'abate [[Stefano Fiorelli]] che curava allora una rivista letteraria non gliela volle tuttavia pubblicare, e Carducci gliene sarà riconoscente, avendo evitato di farsi passare per poeta romantico.<ref>G.Chiarini, pp.23-26</ref>
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Il [[2 luglio]] [[1856]]<ref>Cesare Segre, Clelia Martignoni, ''Guida alla letteratura italiana - Testi nella storia - 3 Dall'unità d'Italia a oggi'', a cura di Gianfranca Lavezzi, Clelia Martignoni, Rossana Saccani, Pietro Sarzana, Milano, Mondadori editore, 1996</ref> conseguì la laurea in filosofia e filologia, con una tesi intitolata ''Della poesia cavalleresca o trovadorica'', inno, vi si legge, al «risorgimento intellettuale (il risorgimento della letteratura e dell'arte in Italia sul finire del medio evo)», lode a [[Cielo d'Alcamo]], ai poeti dello [[stilnovo]], a [[san Francesco d'Assisi]] e naturalmente a [[Dante]], nell'esaltazione dei modelli classici latini imprescindibile modello anche per la letteratura presente.<ref>G.Chiarini, pp.50-52</ref>
Nel periodo universitario Carducci era solito recarsi nei giorni liberi a Firenze, per trascorrere del tempo in compagnia degli amici, tra cui spiccavano [[Giuseppe Torquato Gargani]] ([[1834]]-[[1862]]), Giuseppe Chiarini ([[1833]]-[[1908]]), [[Ottaviano Targioni Tozzetti (poeta e scrittore)|Ottaviano Targioni Tozzetti]] ([[1833]]-[[1899]]), [[Enrico Nencioni]] ([[1837]]-[[1896]]) ed altri. Assieme a Nencioni e Chiarini cominciò a stampare, a partire dal [[1855]], dei versi nell'<nowiki></nowiki>''Almanacco delle dame'' edito dal cartolaio Chiari, e nel [[1856]] Giosuè fece uscire nell'<nowiki></nowiki>''Appendice alle Letture di Famiglia'' (diretta e fondata ancora dal Thouar) una traduzione e un commento dei versi 43-71 della prima ''Georgica'' e dell'''Epodo VII'' di [[Orazio]].<ref>G.Chiarini, pp.57-61</ref>
Con gli amici fiorentini diede anche vita al gruppo antiromantico - e di strenua difesa del classicismo - degli ''[[Amici pedanti]]'', assieme ai quali attaccò la corrente "odiernissima" dominante in città, appoggiando il Gargani nella stesura della sua ''Diceria'' e curando una ''Giunta alla derrata'' in cui replicava alle sprezzanti critiche piovute addosso agli ''Amici'' dai periodici locali, primo fra tutti il [[Pietro Fanfani|fanfani]]ano settimanale ''Il Passatempo''.<ref>Per approfondire vedi la voce [[Giuseppe Torquato Gargani]]</ref>
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«Tu solo, o Satana, animi e fecondi il lavoro, tu nobiliti le ricchezze. Spera ancora, o proscritto»,<ref>P.J.Proudon, ''De la Justice dans la révolution et dans l'église'', Paris, Frères Garnier, 1858</ref> scriveva Proudhon. Michelet produceva le prove storiche dell'ingiustizia perpetrata ai danni di Satana, identificato con la scienza e la natura, sacrificate alla mortificazione cristiana. Figura di martire politico in Proudhon, venato di riflessi scientifici in Michelet, Satana diveniva emblema del progresso e «del prodigioso edificio ... delle istituzioni moderne»,<ref>J.Michelet, ''La sorcière'', Paris, Garnier-Flammarion, 1966</ref> simbolo di una verità brutalmente calpestata o occultata dal clero.
Furono dunque questi i prodromi del celebre ''Inno a Satana''. Recatosi a Firenze nel settembre 1863 per la stampa dell'opera sul Poliziano, in una nottata insonne gli ruppe dal cuore l'<nowiki></nowiki>''Inno'', composto da cinquanta [[quartina (metrica)|quartine]] di [[senari]] secondo lo schema ABCB. Lo definì «chitarronata», non riuscito nello stile ma foriero di verità. «L'Italia col tempo dovrebbe innalzarmi una statua, pel merito civile dell'aver sacrificato la mia coscienza d'artista al desiderio di risvegliar qualcuno o qualcosa... perché allora io fu un gran vigliacco dell'arte», scriverà anni dopo.<ref>P.Bargellini, p.151</ref>
Il [[16 ottobre]] pubblicò l'edizione critica delle opere polizianee, che fece molto scalpore e suscitò notevole ammirazione non solo per la dottrina espressa, ma anche perché era la prima volta che il testo di uno scrittore italiano veniva emendato secondo i dettami della moderna critica testuale. Fervente continuava ad essere anche la collaborazione col Barbera; nel [[1862]] pubblicò le ''Poesie'' di [[Cino da Pistoia]] e i ''Canti e Poemi'' di Vincenzo Monti. L'anno successivo si dedicò al ''[[De rerum natura]]'' [[lucrezio|lucreziano]] tradotto dal Marchetti, dandolo alle stampe, sempre per la ''Collezione Diamante'', nel [[1864]].<ref>G.Chiarini, pp.156-157</ref>
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Gli entusiasmi si accesero subito dopo per la spedizione garibaldina su [[Roma]], ma il dolore colse il poeta nel profondo alla notizia della morte di [[Enrico Cairoli]] (e del ferimento di [[Giovanni Cairoli|Giovanni]], che morirà due anni dopo per le ferite riportate nello scontro) a [[Villa Glori]] e della prigionia di Garibaldi alla [[fortezza del Varignano]]. L'ira fu espressa nelle strofe del ''Meminisse horret'', scritto a Firenze ai primi di novembre. Venuto a conoscenza, poco dopo, della morte di Odoardo Corazzini, scrisse in suo ricordo il famoso epodo, pubblicato per il democratico giornale bolognese ''L'Amico del Popolo'' nel gennaio del 1868 e subito stampato presso una tipografia cittadina.<ref>G.Chiarini, p.171</ref> Anche questo testo, come ''Dopo Aspromonte'', attinge a piene mani alla poesia politica di Victor Hugo.
Mentana non piacque alla Massoneria, e il Gran Maestro Fripolli proclamò la chiusura delle logge bolognesi. Il Carducci manifestò allora il proprio spirito mazziniano in modo violento e nel novembre un decreto governativo lo trasferiva per punizione dalla cattedra bolognese a quella di latino dell'[[Università di Napoli]]. Valendosi dell'appoggio del ministro dell'Interno [[Filippo Antonio Gualterio (senatore)|Filippo Antonio Gualterio]] - presso cui chiese al Barbera di intercedere - e promettendo di non occuparsi di politica,<ref>Cfr.G.Barbera, ''Lettere'', Firenze, Barbera, 1914</ref> Carducci riuscì a rimanere a Bologna, anche se una successiva intemperanza gli procurò una sospensione temporanea dall'insegnamento.<ref>P.Bargellini, pp.184-185</ref>
Pubblicò, il 1° giugno [[1868]], presso la tipografia Niccolai e Quarteroni di Pistoia, la raccolta ''Levia Gravia'' con lo pseudonimo di ''Enotrio Romano'', composta da gran parte delle rime samminiatesi e da una ventina di nuove poesie. Ne rimasero esclusi i testi politici, che pure aveva composto e che infiammavano le logge bolognesi. Il poeta volle che ne fossero stampati pochi esemplari, e che fossero regalati ad amici e intenditori.
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Non c'è quindi più furia politica in Carducci, non c'è rabbia né critica sociale. Le odi attaccano il cattolicesimo, esaltano l'impero romano ed esprimono la visione politica carducciana, ma essa perde la carica polemica precedente. Le odi si fissano su un particolare attuale - l'Adda che scorre, il sole che illumina il campanile della [[Basilica di San Petronio|Basilica di san Petronio]], il poeta che contempla le [[terme di Caracalla]] - per rievocare gli eventi storici trascorsi, e si chiudono nuovamente in una contemplazione solenne della natura, mentre il passato ormai andato non è più fonte di angoscia come in [[Leopardi]], ma canto sempre attuale. La storia è regolata da un principio preciso e incontrovertibile.<ref>A.Galletti, pp.30-35</ref>
I modelli non possono che essere [[Omero]], [[Pindaro]], [[Teocrito]], [[Virgilio]], [[Orazio]], [[Catullo]], accanto a cui agiscono [[Dante]], [[Petrarca]], [[Ugo Foscolo|Foscolo]], cui vengono fatti rimandi testuali piuttosto espliciti e seguiti anche nel frequente uso dell'inversione sintattica caro alla lingua latina.<ref>Cfr. D.Ferrari, cit., ampia esegesi delle singole odi approfondite con grande dovizia di particolari.</ref>
Le ''Odi'', all'inizio, si scontrarono con lo scetticismo generale e presso il grande pubblico, voglioso di una poesia "leggera" dopo i recenti duri trascorsi storici, furono offuscate proprio dallo stile lineare e dal lessico semplice di ''Postuma''. Non v'era un'immagine, nelle poesie dello Stecchetti, che non fosse chiara a tutti, né mancava certa licenziosità che attraeva il pubblico. Negli anni compresi tra il [[1878]] e il [[1880]] ''Postuma'' ebbe sette edizioni, mentre le ''Barbare'' si fermarono a tre, e se furono lette e vendute è da ascriversi all'ormai indiscussa fama del loro autore.
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Non è sempre facile seguire lo sviluppo della poesia del Carducci attraverso le [[Antologia|raccolte]] da lui edite. Il poeta infatti organizzò più volte e in modo differente i suoi componimenti e ne diede una sistemazione definitiva solamente più tardi nell'edizione delle ''Opere''.
Qui di seguito si fornisce l'elenco delle opere poetiche pubblicate in volume, poi risistemate nei 20 volumi delle ''Opere'' pubblicate per [[Nicola Zanichelli Editore|Zanichelli]] fra il 1889 e il 1909.
* ''Rime'', San Miniato, Tip. Ristori, 1857.
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