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Questo simbolo è stato interpretato come un rifiuto della Dea ad ogni sacrificio umano.
Sempre su questo rilievo è
Nella [[Penisola araba]] il luogo principale di venerazione di Allāt o al-Lāt ({{arabo|اللات}}) - che secondo Julius Wellhausen sarebbe stata considerata la madre di [[Hubal]] (e quindi suocera di [[Manat|Manāt]]) - era la città [[Hijaz|higiazena]] di [[Ta'if|Ṭāʾif]], a sud di [[La Mecca|Mecca]]. Qui, venerata dai Banū Thaqīf che costituivano la popolazione della città, e custodita in un suo santuario dai Banū ʿAttāb ibn Mālik dei Thaqīf, era adorata sotto forma di un grande e squadrato masso bianco che, con la vittoria dell'[[Islam]], fu destinato a fungere da gradino della [[moschea]] ivi fatta erigere da [[Maometto|Muḥammad]], una volta che il suo santuario fu su suo ordine incendiato da [[Al-Mughira ibn Shu'ba|al-Mughīra ibn Shuʿba]].
Il suo nome era usato nell'onomastica d'età araba [[Jāhiliyya|preislamica]] e sono attestati termini quali Zayd Allāt o Taym Allāt.
==Bibliografia==
*Hišām Ibn al-Kalbī, ''Kitāb al-aṣnām'' (Il libro degli idoli), ed. Aḥmad Zākī Pāšā, Il Cairo, Dār al-kutub, 1913.
*[[Julius Wellhausen]], ''Reste arabischen Heidentums'', Berlino-Lipsia, W. De Gruyter & Co., 1887 (repr. 1927).
==Voci correlate==
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