Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Crocco fu così rispedito nello stato pontificio a [[Paliano]], e divenne prigioniero dello stato italiano, dopo la [[presa di Roma]] ([[1870]]), vennedo portato ad [[Avellino]] ed infine a [[Potenza (Italia)|Potenza]]. La sua fama era tale che, durante i suoi passaggi da una prigione all'altra, numerose persone accorrevano per poterlo vedere di persona.<ref>{{cita|Come divenni brigante|p. 82}}.</ref> Durante la detenzione nello stato papale, Crocco ebbe anche contatti con Francesco II, esortandolo ad intervenire in suo favore poiché aveva combattuto in suo nome, ma il sovrano, secondo le dichiarazioni del brigante, non fu in grado di intromettersi per non compromettersi con le potenze straniere.<ref name ="cita|Del Zio|p. 200">{{cita|Del Zio|p. 200}}.</ref>
 
===Processo e morte===
[[File:Bagno penale a Portoferraio.jpg|left|thumb|240px|Crocco (il primo a destra) nel carcere di Portoferraio, ritratto di [[Telemaco Signorini]]]]
Durante il processo tenuto presso la Gran Corte Criminale di Potenza, al brigante furono imputati 67 omicidi, 7 tentati omicidi, 4 attentati all'ordine pubblico, 5 ribellioni, 20 estorsioni, 15 incendi di case e di biche con un danno economico di oltre 1.200.000 lire.<ref name="cita|Del Zio|p. 200"/> Dopo 3 mesi di dibattimento, la [[Corte d'assise]] di Potenza lo condannò a morte l'[[11 settembre]] [[1873]], con l'accusa di numerosi reati quali omicidio volontario, formazione di banda armata, grassazione, sequestro di persona e ribellione contro la forza pubblica. Ma la pena, con decreto reale del [[13 settembre]] [[1874]], fu commutata nei [[lavori forzati]] a vita in circostanze oscure, poiché altri briganti con capi d'imputazione simili furono giustiziati.
 
Ma la pena, con decreto reale del [[13 settembre]] [[1874]], fu commutata nei [[lavori forzati]] a vita in circostanze oscure, poiché altri briganti con capi d'imputazione simili furono giustiziati. Secondo Del Zio, le ragioni furono probabilmente a sfondo politico-diplomatico, perché il Governo italiano avrebbe dovuto subire «il volere francese».<ref>"''Intanto, non senza ragione, nella coscienza pubblica si sospettò che, non vedendosi eseguita la sentenza di morte, ed era trascorso un anno alla data, influenze straniere, e quindi ragioni di Stato, ci dovettero essere, e si disse che il Governo italiano dove' subire il volere francese, e che perciò trascorse un anno per la commutazione della pena. Certo, con quaranta capi di accusa, con tanti delitti commessi, e quando la pena di morte non era ancora stata abolita, commutarsi questa nei lavori forzati a vita, impressionò fortemente ed i sospetti divennero certezza. E questa certezza era anche avvalorata dal fatto successo nel porto di Genova a bordo di un vapore delle Messaggerie Imperiali, che trasportava Crocco in Francia. Giunto questo vapore nel porto di Genova, proveniente da Civitavecchia, e sapendosi che Crocco era a bordo, il Governo italiano si crede' autorizzato a farlo arrestare. Non la pensò così Napoleone III, il quale ne reclamò il rilascio, sostenendo che non si aveva diritto dell'arresto sulla nave di altra Nazione. E Crocco venne riconsegnato, e forse, anche la pena di morte, per considerazioni e condizioni politiche, dove' essere commutata. Forse furono supposizioni, forse furono sospetti, ma non si può mettere in dubbio che ebbero un fondamento di realtà: fondamento che per lo meno è accennato a quanto successe all'udienza del 21 agosto.''" {{cita|Del Zio|p. 201}}.</ref> Francesco Guarini, avvocato difensore di Crocco, chiedendo il rinvio della causa affermò: «Se Crocco fu mandato a Marsiglia, per essere poi tradotto in Algeri, ciò avvenne per transazioni diplomatiche fra il Governo pontificio ed il Governo francese, coll'acquiescenza del Governo italiano».<ref name="cita|Del Zio|p. 201"/> Crocco, durante il suo interrogatorio, sostenne che le autorità del Papa non poterono metterlo in libertà, poiché il Governo italiano le avrebbe accusate davanti alle potenze straniere di favoritismo e protezione verso i briganti.<ref name ="cita|Del Zio|p. 200"/>
 
Francesco Guarini, avvocato difensore di Crocco, chiedendo il rinvio della causa affermò: «Se Crocco fu mandato a Marsiglia, per essere poi tradotto in Algeri, ciò avvenne per transazioni diplomatiche fra il Governo pontificio ed il Governo francese, coll'acquiescenza del Governo italiano».<ref name="cita|Del Zio|p. 201"/> Crocco, durante il suo interrogatorio, sostenne che le autorità del Papa non poterono metterlo in libertà, poiché il Governo italiano le avrebbe accusate davanti alle potenze straniere di favoritismo e protezione verso i briganti.<ref name ="cita|Del Zio|p. 200"/> Conclusa la sentenza, il brigante venne prima assegnato al bagno penale di [[Isola di Santo Stefano|Santo Stefano]] e poi al carcere di [[Portoferraio]], in [[provincia di Livorno]], ove passò il resto dei suoi giorni.

===Ultimi periodi===
Durante la sua vita da carcerato, Crocco mantenne sempre un atteggiamento calmo e disciplinato verso tutti, sebbene non mancò di farsi rispettare dagli altri detenuti con l'autorità del suo nome e del suo passato. Non si unì mai a proteste e baruffe degli altri carcerati, preferendo rimanere sempre in disparte e prestò soccorso ai sofferenti.<ref>{{cita|Cinnella|p. 21}}.</ref> Nel [[1902]], giunse nel bagno penale di Portoferraio una comitiva di studenti di [[medicina legale]] dell'[[Università di Siena]], accompagnata dal professore [[Salvatore Ottolenghi (medico)|Salvatore Ottolenghi]], con l'obiettivo di intervistare i condannati a scopo didattico. Ottolenghi ebbe un colloquio con Crocco, considerato dal professore il «vero rappresentante del brigantaggio nei suoi tempi più celebri», oltre a definirlo il «[[Napoleone]] dei briganti».<ref>{{cita|Cinnella|p. 22}}.</ref>
 
L'intervista verrà pubblicata l'anno successivo da uno studente di Ottolenghi, Romolo Ribolla, nell'opera ''Voci dall'ergastolo''. Durante la conversazione l'ex brigante, ormai vecchio, con problemi fisici e forse pentito del suo passato, raccontò sinteticamente la sua vita, lasciandosi andare anche al pianto; elogiò [[Garibaldi]], [[Vittorio Emanuele II]] per avergli concesso la grazia (anche se, negli scritti autobiografici, attribuì il ringraziamento non per la propria vita ma per aver preservato i suoi familiari dai pettegolezzi popolari riguardo la sua morte),<ref>"''Morrò benedicendo, ringraziando la clemenza di S. M. Vittorio Emanuele, il quale firmò la grazia che commutava la pena della morte in quella dei lavori forzati. Ringrazio, non perchè ho potuto vivere di più, ma per avere liberato i miei parenti dall'obbrobrio di sentirsi dire: «Siete nipoti dell'impiccato»"'' {{cita|Come divenni brigante|p. 62}}.</ref> dichiarando inoltre di esser rimasto scosso dall'assassinio del re successore [[Umberto I]], ucciso dall'anarchico [[Gaetano Bresci]].<ref>{{cita|Cinnella|p. 24}}.</ref> Il suo desiderio era morire nel proprio paese natio, che purtroppo non si avverò mai. Crocco si spense nel carcere di Portoferraio il [[18 giugno]] [[1905]], all'età di 75 anni.