Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Le sue scorrerie si protrassero fino alle zone di [[Campobasso]], [[Foggia]], [[Bari]], [[Lecce]], [[Ginosa]], [[Castellaneta]] e si ritrovò a collaborare in diverse occasioni con altri capobriganti, come [[Angelantonio Masini]] e il pugliese [[Sergente Romano]]. Quest'ultimo propose al suo collega lucano di unire le proprie forze, muoversi su [[Brindisi]], occupare [[Terra d'Otranto]] e i comuni del [[provincia di Bari|barese]] innalzando la bandiera borbonica ma Crocco, a causa dell'esito negativo dei precedenti piani legittimisti, lasciò cadere il progetto.<ref>{{cita|Cinnella|p. 148}}.</ref> Dinnanzi all'apparente invincibilità degli uomini di Crocco, intervennero in aiuto della coalizione regia anche soldati della [[Legione ungherese]], che diedero filo da torcere al capobrigante e le sue bande.<ref>{{cita|Del Zio|pp. 159-160}}.</ref> Se da una parte Crocco perdeva uomini, dall'altra ne recuperò altri a causa di una quantità irreversibile di renitenti che, per salvarsi dalla fucilazione, furono costretti alla macchia.
 
Nel [[1863]], il generale Fontana, i capitani Borgognini e Corona organizzarono negoziati con i briganti. Crocco, [[Giuseppe Caruso (brigante)|Caruso]], Coppa e [[Ninco Nanco]] si presentarono di propria volontà e furono ospitati in una casa di campagna nelle vicinanze di Rionero. Durante un banchetto, Crocco assicurò di condurre tutti i suoi uomini alla resa e se ne andò. In realtà il capobrigante, ormai diffidente davanti alle promesse del regio governo, non fece più ritorno e l'accordo saltò.<ref>{{cita|Del Zio|pp. 172}}.</ref> Gli scontri tra briganti e truppe italiane non accennarono a placarsi. Nel [[marzo]] [[1863]] le sue bande (tra cui quelle di [[Ninco Nanco]], [[Giuseppe Caruso (brigante)|Caruso]], [[Caporal Teodoro]], Coppa, Sacchetiello e Malacarne), tesero un'imboscata a un distaccamento di 25 [[Cavalleggeri#Cavalleggeri_di_Saluzzo|cavalleggeri di Saluzzo]], guidato dal capitano Giacomo Bianchi, veteranoreduce della [[guerra di Crimea]], picchiando e uccidendo circa venti di loro, incluso il capitano. Lo sterminio avvenne in risposta alla fucilazione e all'incendio dei cadaveri di alcuni briganti nei pressi di [[Rapolla]], perpetrato dagli stessi cavalleggeri.
 
[[Giuseppe Caruso (brigante)|Caruso]], fino a quel momento una delle sue migliori sentinelle, entrò in attrito con lui e si allontanò dalla banda. Nel frattempo il generale Franzini, che si occupava di combattere il brigantaggio nel Melfese, fu sostituito, per motivi di salute, dal generale [[Emilio Pallavicini]], proveniente dal comando della zona militare di [[Spinazzola]] (Pallavicini, militare di lunga carriera, era già noto per aver bloccato Garibaldi sull'[[Aspromonte]] mentre tentava di raggiungere lo [[Stato Pontificio]]). Caruso si arrese al generale Fontana il [[14 settembre]] [[1863]] a [[Rionero in Vulture|Rionero]], preparando la sua ritorsione nei confronti di Crocco e dei suoi ex alleati. Affidato al generale Pallavicini, svelò alle autorità i piani e i nascondigli della sua organizzazione e, per via delle sue informazioni, le masnade si indebolirono progressivamente e i briganti catturati, anziché essere giudicati da un tribunale militare, venivano freddati sul posto.<ref>{{cita|Del Zio|pp. 185}}.</ref>