Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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===Ultimi periodi===
Durante la sua vita da carcerato, Crocco mantenne sempre un atteggiamento calmo e disciplinato verso tutti, sebbene non mancò di farsi rispettare dagli altri detenuti con l'autorità del suo nome e del suo passato. Non si unì mai a proteste e baruffe degli altri carcerati, preferendo rimanere sempre in disparte e prestò soccorso ai sofferenti.<ref>{{cita|Cinnella|p. 21}}.</ref> NelVenne [[1902]], giunsevisitato nel bagno penalecarcere di PortoferraioSanto unaStefano comitiva di studenti dida [[medicinaPasquale legalePenta]], dell'[[Universitàcriminologo di Siena]], accompagnata dal professorescuola [[Salvatore OttolenghiCesare (medico)Lombroso|Salvatore Ottolenghilombrosiana]], conche l'obiettivovi dirimase intervistareper i condannati a scopo didattico. Ottolenghi ebbe un colloquio con Crocco, considerato dal professore il «vero rappresentante del brigantaggio nei suoi tempi più celebri», oltre a definirlo il «[[Napoleone]] dei briganti».<ref>{{cita|Cinnella|p.10 22}}mesi.</ref>
 
Nonostante il direttore del presidio aveva redatto una nota in cui veniva definito «gravissimo, pericolosissimo» e da tenere «severamente e continuamente in osservazione», Penta non riscontrò in lui i caratteri del "delinquente nato"; era «capace in verità di grandi reati, ma anche di generosità, di sentimenti nobili, di belle azioni» e la causa della sua carriera criminale è forse «il germe della pazzia materna».<ref>{{cita|Cinnella|p. 19}}.</ref> Nella sua attività di capomassa, secondo Penta, fu autore di «mille delitti: saccheggi di città, incendi, omicidi, su quelli specialmente che lo avevano tradito, ricatti, estorsioni» ma, allo stesso tempo, tenne a bada «briganti e sotto-capibanda bestiali, ferini, e trattò a tu per tu con i generali italiani».<ref>{{cita|Cinnella|p. 20}}.</ref>
 
Anche Vincenzo Nitti, figlio del medico massacrato a [[Venosa]] e testimone oculare dei fatti, lo considerò «un ladrone per indole» ma anche un «brigante non comune per sveltezza di mente, astuzia, ardire, ed anche per una certa generosità brigantesca».<ref>Aldo De Jaco, ''Il brigantaggio meridionale'', Editori riuniti, 2005, p.23</ref> Nel [[1902]], quando Crocco era trasferito nel bagno penale di Portoferraio, giunse una comitiva di studenti di [[medicina legale]] dell'[[Università di Siena]], accompagnata dal professore [[Salvatore Ottolenghi (medico)|Salvatore Ottolenghi]], con l'obiettivo di intervistare i condannati a scopo didattico. Ottolenghi ebbe un colloquio con Crocco, considerato dal professore il «vero rappresentante del brigantaggio nei suoi tempi più celebri», oltre a definirlo il «[[Napoleone]] dei briganti».<ref>{{cita|Cinnella|p. 22}}.</ref>
 
L'intervista verrà pubblicata l'anno successivo da uno studente di Ottolenghi, Romolo Ribolla, nell'opera ''Voci dall'ergastolo''. Durante la conversazione l'ex brigante, ormai vecchio, con problemi fisici e forse pentito del suo passato, raccontò sinteticamente la sua vita, lasciandosi andare anche al pianto; elogiò [[Garibaldi]], [[Vittorio Emanuele II]] per avergli concesso la grazia (anche se, negli scritti autobiografici, attribuì il ringraziamento non per la propria vita ma per aver preservato i suoi familiari dai pettegolezzi popolari riguardo la sua morte),<ref>"''Morrò benedicendo, ringraziando la clemenza di S. M. Vittorio Emanuele, il quale firmò la grazia che commutava la pena della morte in quella dei lavori forzati. Ringrazio, non perchè ho potuto vivere di più, ma per avere liberato i miei parenti dall'obbrobrio di sentirsi dire: «Siete nipoti dell'impiccato»"'' {{cita|Come divenni brigante|p. 62}}.</ref> dichiarando inoltre di esser rimasto scosso dall'assassinio del re successore [[Umberto I]], ucciso dall'anarchico [[Gaetano Bresci]].<ref>{{cita|Cinnella|p. 24}}.</ref> Il suo desiderio era morire nel proprio paese natio, che purtroppo non si avverò mai. Crocco si spense nel carcere di Portoferraio il [[18 giugno]] [[1905]], all'età di 75 anni.