[[File:Allah 1.jpg|200px|thumb|right|Il nome di Dio scritto nella [[Calligrafia araba]]. Nell'islam è considerato peccato [[Antropomorfismo|antropomizzare]] la figura di Dio]]
Nell'[[Islam]], la divinità - una, unica ed eterna - si chiama in [[lingua araba|arabo]] [[Allah]]. Nel [[Corano]], opera secondo l'Islam scritto lettera per lettera dallo stesso Allah, un altro nome è Rahman, parola d'origine sud-arabica che significa in arabo "misericordioso" e che, in età [[jahiliyya|preislamica]] designava in alcune culture religiose nord-arabica (Palmirena) e sud-arabiche (Himyar) una divinità vera e propria. Allah rappresenta per questo sistema religioso l'Essere Supremo, onnipotente e onnisciente che ha creato e seguita a creare l'universo e ogni cosa in esso contenuta. Per quanto riguarda il [[tempo]] l'Islam considera che vi sia una perfetta identificazione con Dio e che, quindi, non si tratti di una sua creazione ontologicamente distinta.
Dal convincimento che ogni cosa che sembra esistere, compresa la materia bruta, è in realtà pervasa dallo Spirito di Dio ne deriva che anche gli atti umani sono opera del Creatore e che l'uomo ne abbia al massimo il "possesso" più che la "proprietà", avviando una discussione estremamente ardua sui limiti dell'azione umana che potrebbero portare a una sorta di fatalismo (tutto è determinato da Dio, tutto "è scritto" da Dio nel Corano, che s'identifica nella sua parola, attributo non distinguibile e diverso dall'Essere supremo e che dunque è eterno a parte ante e a parte post).
A Dio non è possibile contrapporre in alcun modo un principio del male perché questo porterebbe a una concezione [[dualismo|dualistica]] del mondo. Nell'Islam, che è [[monismo|monistico]], lo spazio riservato al maligno (''Shaytān'', ''Iblīs'') è estremamente ridotto e quasi insignificante e la stessa natura "di fuoco" del diavolo non è neppure assimilabile a quella "di luce" degli angeli. Il bene è Dio e la sua la volontà e il male la negazione di Dio e il disubbidirgli. Il credente (''mu'min'') deve essere pertanto un ''muslim'', ovvero un sottomesso assoluto al comando di Dio.
Dio è inconoscibile dall'uomo e quello che è dato sapere di lui deriva direttamente dalla sua rivelazione testuale. Secondo l'Islam, Dio ha dato la sua prima disposizione volitiva ad [[Adamo]] che è nell'Islam primo uomo e primo profeta. Nel prosieguo delle generazioni il tempo e l'azione talora maligna di alcuni uomini ha corrotto o falsato tale rivelazione e Dio ha per questo motivo seguitato a mandare suoi inviati e suoi profeti per riproporre l'insieme della sua volontà. Di questa lunghissima catena profetologica Muhammad (in italiano [[Maometto]]) costituisce l'ultimo anello. Dopo di lui non vi sarà più alcun inviato o alcun profeta e chiunque dovesse dichiarare riaperto il ciclo profetico si metterebbe automaticamente al di fuori di uno dei pochi [[dogma|dogmi]] islamici (come è avvenuto con la ''Ahmadiyya'' di [[Lahore]] o con i [[Drusi]] o con i [[Nusairi]], solo per fare alcuni esempi).
L'onnipotenza, l'onnipresenza, l'onniscienza di Dio si accompagnano alla sua infinita misericordia e generosità, motivo per cui non si potrà mai asserire che Dio "è tenuto" a punire i malvagi con una pena eterna mentre si può affermare che un [[Paradiso|premio eterno]] è stato destinato dal creatore alle Sue creature a suo totale piacimento. Un passaggio teologicamente accettato afferma pertanto che l'[[Inferno]] non sarà eterno per i musulmani ma, a rigor di logica, l'eternità della pena non si potrà presupporre e pretendere neppure per il resto dell'umanità, perché questo sarebbe porre un inammissibile limite all'onnipotenza divina.
Gli attributi divini (''sifāt'' ) coeterni ma senza che si possa alterare l'unità di Dio («né Lui né altro da Lui», affermano i teologi musulmani sunniti) sono (per quanto riguarda quelli "personali", ossia ''nafsiyya''): la vita, la scienza, la potenza, la volontà, l'udito, la vista e la parola, cui una parte del pensiero teologico sunnita aggiunge la persistenza. La questione dell'increatezza del Corano deriva dalla polemica riguardante questi attributi, perché all'affermazione che la rivelazione era stata creata da Dio al momento della sua creazione del genere umano si contrappose la tesi vincente del [[hanbalismo]] secondo cui, essendo la rivelazione "parola di Dio" (''kalimat Allāh''), ne derivava una sua eternità (argomento affrontato in modo pressoché identico nell'Ebraismo per quanto riguarda la ''Tōrāh'').