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4. L'ESTETICA DELLA C. Quanto all'estetica, tu parli di una C. tardoromantica. Sono in disaccordo. Il tipo di emissione non ha nulla da fare, innanzitutto, con la pletoricità e il grasso da candele che andava tanto negli anni Cinquanta, e che appunto risentiva ancora del tardoromanticismo e del verismo (che è verismo sulla carta, di fatto è una riconcezione del melodramma prevalentemente piuttosto kitsch [e peraltro con molte belle cose]). La C. era l'esatto *contrario* dell'estetica decadente. In effetti, anzi, sono portato a ritenere che la Lucia della Sutherland, cantante che in fondo ha recuperato uno stile "petali di rosa", molto fin-de-siècle, aggiornandolo, sia molto più legata ad un'estetica tardoromantica di quanto non avvenisse con la C.; vale anche per la Norma, e in genere tutte le altre cose. Lo stile non è per nulla scolpito (per Norma, il "sublime tragico"), il notevole nervosismo di un personaggio come Lucia, che non può essere concepito esclusivamente in chiave elegiaca (il personaggio dà evidenti segni di squilibrio da quando appare in scena a quando ammazza a pugnalate il marito appena sposato...), e la forte tensione espressiva di tutte le eroine protoromantiche sono stati riportati dalla Sutherland ad un clima abbastanza "digestivo", pre-Callas. La C. ha rievocato, per Norma Vestale Medea, ma anche per Sonnambula Puritani Lucia, uno stile che credo proprio sia molto più vicino al concetto degli autori (Bellini più che Donizetti, probabilmente) di quanto sia intervenuto in séguito. Non è solo una questione di tecnica di canto, cioè di fonazione, ma anche di sensibilità nei confronti della ripartizione, della scansione esatta, del melos, dello spirito informatore generale, di uno stile e di una retorica. Il canto della C. ha, anche considerando quanto di suo ci metteva (ma perché no, se poteva permetterselo?), un'idiomaticità che nessun'altra interprete ha avuto. Lei cantava, ci mancherebbe che si mettesse anche a fare ricerca -- oggi le primedonne fanno ricerca quanto vogliono, ma oggi i mezzi e le chiavi interpretative (anche quando non sono in grado di servirsene) ce li hanno. All'epoca no. Non possiamo rimproverarle di non aver fatto l'edizione critica di tutto quel che cantava. Perché la sua funzione è stata proprio quella di riesumare uno stile che nessun foglio di carta, pentagrammata o no, riuscirà a trattenere. E' ovvio, dunque, che abbia agito sulla base dell'intuito: perché in qualunque altro modo sarebbe stato impossibile. Poi, è vera anche la questione che noi non sappiamo come cantassero le primedonne d'allora e che possiamo fare solo supposizioni; però rimane il fatto che, giusto per limitarci alla più documentata delle sue interpretazioni, Norma, dopo quelle stentate della Lehmann, della Cigna, la C. è stata la prima, ma anche l'ultima ad essere *perfettamente a suo agio* in ogni parte dell'opera, che non era eseguita con tagli troppo significativi. Non mi riferisco a trasposizioni di suono, o altro, perché in certi casi non sono così sostanziali (non per valutare le capacità della C., o la sua congenialità con un certo tipo di repertorio). C'è la qualità di una fonazione, dico, che le permette di inquadrare un "No, non tremare" di cui si distingue ogni nota, mentre la Sutherland, per esempio, non articola a sufficienza. Quanto a più moderne interpreti (June Anderson? La Gruberova?) non mi pronuncio perché sono troppo al disotto del piano della storia.
 
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