Commentario: differenze tra le versioni

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I '''''commentarii''''' (forma nominativo plurale del sostantivo [[lingua latina|latino]] "''commentarius'', ''i''", traslitterato in italiano «commentario») sono degli scritti attraverso i quali, dalla fine del [[II secolo a.C.]], venivano narrate le proprie gesta da parte di chi aveva compiuto imprese ritenute memorabili come [[Pretore (storia romana)|pretori]], [[censori]], [[Console (storia romana)|consoli]], generali vittoriosi.<ref>Cfr. l'[http://www.etimo.it/?term=commentario etimologia] di ''commentario''.</ref>
 
==Nell'età antica==
I ''commentari'' non rientravano per gli antichi fra le opere appartenenti al genere [[Storiografia|storiografico]], che richiedeva un progetto letterario vero e proprio; erano solo materiali in forma di [[diario]] da cui trarre eventualmente una vera e propria ''historia''.
 
===I ''Commentarii'' di Giulio Cesare===
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==In età medioevale==
In [[Ellenismo|età ellenistica]] e successivamente [[medioevo|medioevale]], il termine ''commentario'' passò a designare anche un lungo ed erudito commento riguardante un'opera di particolare importanza, specialmente dell'antichità: esso consisteva quindi in un'interpretazione o [[esegesi]] dell'opera trattata per renderla accessibile ai contemporanei. Ad esempio il filosofo [[Arabi|arabo]] [[Averroè]] compose un poderoso ''Commentario'' ai libri di [[Aristotele]], che lo rese noto nell'Europa cristiana.<ref>«Colui che il gran commento feo» è l'appellativo con cui [[Dante Alighieri]] chiama [[Averroè]] nella ''[[Divina Commedia]]'' ([[Inferno - Canto quarto|''Inferno'', IV]], 144).</ref>
 
''[[Commentari (Ghiberti)|Commentari]]'' sono anche chiamate le memorie dello scultore fiorentino [[Lorenzo Ghiberti]], una delle fonti primarie più antiche sul Rinascimento.