Assedio di Messina (1848): differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Riga 17:
Il comitato degli insorti provava a trattare con il comandante borbonico, il generale Cardamona, che però rifiutava. Il comando borbonico, che comprendeva i generali Cardamona, Busacca e Nunziante ed il duca di Bagnoli, aveva ricevuto dal re [[Ferdinando II]] l’ordine di tenere ad ogni costo Messina, poiché la città rappresentava la testa di ponte indispensabile per la riconquista della Sicilia insorta. Gli alti ufficiali borbonici decidevano quindi far bombardare la città con i numerosissimi cannoni e mortai a propria disposizione nelle molte fortezze, a cui si aggiungevano ancora le artiglierie mobili collocate nel cosiddetto piano di Terranova, dinanzi alla Cittadella, e quelle della nave da guerra “Carlo III”. Le prime vittime erano un bambino, ucciso mentre si trovava in braccio alla madre, ed un’anziana donna. Approfittando del massiccio bombardamento, le truppe borboniche uscivano dalle fortezze ed attaccavano gli insorti, nel tentativo di riprendere possesso della città. La loro azione incontrava però la resistenza compatta dell’intera cittadinanza, che vedeva assieme uomini, donne e persino i bambini combattere contro i napoletani.
<br />
Si distinsero fra gli altri Francesco Munafò, Antonio Lanzetta e Rosa Donato, poi soprannominata “artigliera del popolo”.<ref>Francesco Guardione, “''Antonio Lanzetta e Rosa Donato nella rivoluzione del 1848 in Messina''”, Messina 1893.</ref> Fra i molti combattenti siciliani che dovevano distinguersi nella lunga battaglia spiccò anche Stefano Crisafulli.<ref>G. Falzone, ''Il problema della Sicilia nel 1848 attraverso nuove fonti inedite'', Palermo, 1951, p. 180. </ref> Le forze borboniche, contenute e poi contrattaccate, erano costrette a ritirarsi all’interno dei forti. Il generale Cardamono, furioso, ordinava di proseguire il bombardamento sulla città, ma questo non spaventava gli insorti. Messina anzi s’illuminava a festa e l’anziano Salvatore Bensaia<ref>Su questa figura cfr. la voce a lui dedicata nel "''Dizionario del Risorgimento Nazionale''": http://www.dizionariorosi.it/schedaPersona.php?id=1574</ref> percorreva le vie della città a testa d’una banda musicale che suonava marce guerresche. Le forze degli insorti erano frattanto rafforzate dall’affluire dalla campagna e dai paesi dell’interno di gruppi di volontari, con coccarda tricolore sul capo e fascia tricolore a tracolla, muniti d’armi da fuoco e bianche. Il comitato di pubblica sicurezza dei patrioti assumeva l’organizzazione della lotta ed assieme dell’amministrazione della città e del territorio.
<br />
Il 30 gennaio il generale Cardamono tentava un contrattacco per collegare i reparti borbonici sparsi per la città, ma esso era nettamente respinto. Il 31 gennaio erano invece gli insorti a passare all’offensiva, prendendo come obiettivo le guarnigioni minori ed i forti più deboli: i presidi napoletani all’ospedale civico ed alle carceri e quelli posti a Rocca Guelfonia ed al Castellaccio s’arrendevano praticamente senza combattere. Il giorno seguente, 1 febbraio, i siciliani attaccavano Forte Gonzaga, che s’arrendeva dopo una resistenza quasi nulla. A questo punto rimanevano in mano alle truppe regie napoletane soltanto la Cittadella ed i forti ad essa collegati. Il comando borbonico tentava un altro contrattacco e per far ciò ordinava alle truppe di fare irruzione nel monastero femminile di Santa Chiara. I borbonici sfondavano un solido muro perimetrale del convento e vi facevano irruzione, fra lo sgomento delle suore. Il monastero era quindi subito adibito a fortezza da parte dei napoletani, che tentavano partendo da questo punto d’effettuare una sortita contro gli insorti. Essa era però respinta con energia dai siciliani.
Riga 26:
 
[[File:Forte_Gonzaga_1.jpg|thumb|]]
 
== Seconda fase. 22 febbraio/20 aprile ==
Gli insorti controllavano l’intera città vera e propria, ma essa non poteva assolutamente dirsi al sicuro essendo sovrastata dalla Cittadella e dai forti ad essa collegati. Il loro obiettivo doveva essere pertanto la presa o la neutralizzazione dell’imponente sistema fortificato in mano ai napoletani. Tale intento appariva difficilissimo. Gli insorgenti avevano circa 4000 uomini con armamento improvvisato e scarso o nullo addestramento, contro un numero equivalente di borbonici bene armati ed addestrati. I cannoni erano 77 dalla parte siciliana contro 300 dei regi. A questa già netta disparità di mezzi s’aggiungeva poi il problema di riuscire a forzare la cinta difensiva fortezze poderose. I reparti combattenti siciliani erano però sostenuti si può dire dall’intera città di Messina, moralmente ed all’occorrenza anche nei combattimenti. Inoltre le truppe borboniche avevano dato prova negli scontri precedenti di scarsa volontà combattiva, essendosi spesso arrese con facilità, come era avvenuto per i forti di Rocca Guelfonia, Castellaccio e Forte Gonzaga.