Giusnaturalismo: differenze tra le versioni

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Queste idee di uguaglianza e fratellanza che permeano il pensiero latino, pur fondandosi su una supposta essenza razionale comune a tutti gli uomini, ispireranno, da un lato, l'etica [[Cristianesimo|cristiana]] della [[teologia]] [[Medioevo|medievale]] e, dall'altro, in virtù del fondamento razionale di queste dottrine, correnti di pensiero giuridiche moderne.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 101.|Fas1}}</ref>
[[File:M-T-Cicero.jpg|120px|left|thumb|Marco Tullio Cicerone.]]
Il pensatore romano che concentrò maggiormente i suoi sforzi intellettuali sui temi della legge e dello Stato, pur non essendo, da quanto risulta dalle ''Epistulae ad Atticum''<ref>Nicola Abbagnano, ''Storia della filosofia. I. Il pensiero greco e cristiano: dai Presocratici alla scuola di Chartres'', Utet, Torino 1993, p. 374: «Cicerone stesso riconobbe la sua dipendenza dalle fonti greche dicendo delle sue opere filosofiche in una lettera ''Ad Attico'' (XII, 52, 3): "Mi costano poca fatica, perché di mio ci metto solo le parole, che non mi mancano"».</ref>, filosofo originale, fu [[Marco Tullio Cicerone]], [[Avvocato|oratore forense]] e uomo politico, vissuto fra [[106 a.C.]] e il [[43 a.C.]].<ref name=Fas103>{{Cita|G. Fassò|p. 103.|Fas1}}</ref> La dottrina di Cicerone, caratterizzata dall'eclettismo (giacché esprimeva idee «non molto distanti dalle posizioni dei peripatetici», tentando di «essere contemporaneamente socratico e platonico»<ref>{{Cita|Cicerone|I, 1.|Officiis}}</ref>, secondo un insegnamentoorientamento congeniale alla filosofia di Panezio di Rodi, Posidonio di Apamea e di [[Antioco di Ascalona]])<ref>{{Cita|Cicerone|p. 314, nota 3: «[...] Cicerone tentò una conciliazione tra la prospettiva platonica e quella peripatetica, al punto di essere considerato l'esponente di punta del cosiddetto "eclettismo", un indirizzo filosofico che, in linea con gli insegnamenti Panezio di Rodi, di Posidonio di Apamea, di Antioco di Ascalona, tende ad assumere come criterio di verità il comune senso e a porre il "conveniente" alla base di ogni atteggiamento morale».|Officiis}}</ref> e da una conoscenza profonda delle questioni giuridiche, può considerarsi la prima vera [[filosofia del diritto]]. Nella sua ricerca speculativa intorno al diritto fu ispirato dalla dottrina della Media ''Stoá'' di Panezio, accentuandone l'accoglimento dell'aristotelismo, nonché dal platonismo eclettico di Antioco di Ascalona. Il metodo della ricerca filosofica adottato da Cicerone fu quello consistente nell'accoglimento delle conclusioni condivise dalle diverse scuole di pensiero che si erano avvicendate nel corso del tempo, perché, da quanto emerge dalle ''[[Tusculanae disputationes]]''<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 103, nota 17: «Cicerone, ''Tusculanae disputationes'', I, 13, 30».|Fas1}}</ref>, il miglior criterio della verità è il consenso generale.<ref name=Fas103/>
 
Cicerone, nel ''[[De legibus]]'', considerata la prima opera di filosofia del diritto della storia del pensiero<ref name=Fas105>{{Cita|G. Fassò|p. 105.|Fas1}}</ref>, ricerca l'origine (''fons'') del diritto, la quale è rinvenibile non già nella legge positiva, bensì nella natura razionale dell'uomo, perché «la legge è ragione suprema insita nella natura, che comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario: ragione che, attuantesi nel pensiero dell'uomo, è appunto la legge»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 22: «Cicerone, ''De legibus'', I, 6, 18».|Fas1}}</ref>. Da questa legge della ragione, uguale in ogni luogo e in ogni tempo, sorta prima della fondazione di ogni Stato e di ogni norma positiva, trae le mosse il principio del diritto.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 23: «Cicerone, ''De legibus'', I, 6, 19».|Fas1}}</ref><ref name=Fas105/> L'ispirazione giusnaturalistica di Cicerone è manifestata anche in un altro luogo del ''De legibus'', ove afferma che è «cosa stoltissima considerare giusto tutto ciò che sia stabilito nei costumi o nelle leggi dei popoli», perché «unico è il diritto che tiene unita la società umana, ed unica la legge che ne è fondamento, legge che consiste nella retta norma del comandare e del vietare; e colui che non la riconosce è ingiusto, stia essa scritta in qualche luogo o no»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 24: «Cicerone, ''De legibus'', I, 15, 42».|Fas1}}</ref>. Se dovessimo concludere che la fonte del diritto è la legge positiva, prosegue Cicerone, si dovrebbe ritenere giusta ogni forma di sopruso o soperchieria approvata dal decreto o dal voto della massa, senza poter, in mancanza della legge naturale, distinguere fra la legge buona da quella cattiva.<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 105, nota 25: «Cicerone, ''De legibus'', I, 16, 43-44».|Fas1}}</ref> La legge, dice il filosofo, «non è né un'invenzione di uomini, né una deliberazione di popoli, ma è qualcosa di eterno, destinato a governare tutto il mondo con la saggezza del suo comando e del suo divieto»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 106, nota 26: «Cicerone, ''De legibus'', II, 4, 8».|Fas1}}</ref>, giacché «essa è la retta ragione divina»<ref>{{Cita|G. Fassò|p. 106, nota 27: «Cicerone, ''De legibus'', II, 4, 10».|Fas1}}</ref>.