Sāṃkhya: differenze tra le versioni

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L'insieme dei testi canonici del Sāṃkhya comprende, oltre la già citata ''Sāṃkhyakārikā'', numerosi commenti di questo testo già a partire dall'VIII secolo, come la ''Jayamangalā'', attribuita a [[Adi Shankara|Śankara]]; o la ''Sāṃkhya-tattva-kaumudī'', di Vācaspatimiśra (IX secolo). Altri testi fondamentali sono il ''Sāṃkhya-pravacana-sūtra'' (XIV secolo, ma che la tradizione attribuisce a Kapila) coi suoi commenti<ref>M. Eliade, ''Lo Yoga. Immortalità e libertà'', ''Op. cit.''; p. 343.</ref>, e i ''[[Sāṃkhyasūtra]]'', opera assai più recente (dopo il XIV Secolo)<ref>Piero Martinetti, ''La sapienza indiana'', p. 40.</ref>.
 
Secondo questo sistema filosofico, l'intera realtà scaturisce dalla relazione fra due princìpi onnipervadenti ed eterni: quello pluralistico dei ''puruṣa'' e quello evoluzionistico della ''[[prakṛti]]'', la materia. I ''puruṣa'' sono gli spiriti delle individualità umane, le monadi spirituali, che sono di numero infinito. Tali puri spiriti, i ''puruṣa'', sono spettatori passivi e testimoni silenziosi delle evoluzioni della ''prakṛti'' (la "materia" o "natura") che è completamente pervasa da tre qualità costitutive, i ''[[guṇa]]'': ''sattva'', ''rajas'' e ''tamas''. Queste entrano nella composizione di qualsiasi manifestazione della natura e corrispondono, rispettivamente, alla "leggerezza, luminosità", all<nowiki>'</nowiki>"attività, dinamismo" e alla "pesantezza, oscurità"<ref>"Tanto il Sankhya che lo Yoga ammettono due sostanze opposte ma ugualmente eterne: da una parte le anime (''puruṣa'') infinite semplici, e dall'altra la natura naturante (Prakriti), unica, dinamica, complessa. Le anime sono luminose, pura intelligenza, ma inattive, impassibili, non soggette né a gioia né a dolore: esse non sono psiche, che, come vedremo, è evoluta dall'altro principio, ma l'io metempirico, essere coscienziale.", Giuseppe Tucci, ''Op. cit.'', ''La dottrina Sankhya'', p. 73.</ref>. Quando la quiete della ''prakṛti'', cioè l'equilibrio fra i tre ''guṇa'', viene alterata, si ha l'inizio di un nuovo universo e, quindi, l'avvio evolutivo del mondo manifesto. Questa alterazione dello stato originario di quiete è dovuta alla stretta vicinanza tra ''puruṣa'' e ''prakṛti'' e causata dalla relazione intercorrente fra questi due princìpi. Il ''Puruṣa'' va infatti considerato come il perenne ispiratore che, con la sua sola presenza, dona coscienza e vitalità all'intero creato e che, all'interno della singola manifestazione e quindi dell'uomo, diviene ''anima'' e assume l'aspetto di colui che conosce e non agisce. La ''prakṛti'', invece, con l'imperfezione che la contraddistingue, è un ente agente e non cosciente. Lo stato di assoluto isolamento (''[[kaivalya]]'') del sé (''puruṣa'') rispetto ai tre mondi - terreno, intermedio e divino - consiste nel riconoscere la diversità fra questi due enti attraverso la conoscenza dei 25 princìpi che strutturano il sistema Sāṃkhya.
 
La filosofia Sāṃkhya è un [[dualismo]] realistico fondamentalmente [[ateismo|ateo]], che esclude qualsiasi concetto di [[divinità]] ([[Ishvara|Īśvara]])<ref>"L'esistenza di Īśvara non può essere provata", ''Sāṃkhyasutra'', I, 92; cfr. Surendranath Dasgupta, ''A history of Indian philosophy'', Nuova Delhi, 1992, Vol. 1, p. 258.</ref> e si limita a considerare le individualità umane (i ''puruṣa'') e la materia (la ''prakṛti'')<ref>"Materia ed anima sono due sostanze opposte e, a differenza del Jainismo, incomunicabili.", Giuseppe Tucci, ''Storia della filosofia indiana'', ''Op. cit.'', p. 73.</ref>. Tali due principi sono considerati [[ontologia|ontologicamente]] equivalenti ed anche [[assiologia|assiologicamente]], per quanto i ''puruṣa'' umani, rappresentanti la spiritualità, siano gli attori di un'[[ascesi]] [[spiritualismo|spiritualistica]] e [[morale]] verso uno stato finale di tipo [[mistica|mistico]]. Da questo l'ipotesi che il [[Buddhismo]] originario di [[Siddharta Gautama]] possa avervi fatto riferimento. L'onnipervadenza della ''prakṛti'' è lo scenario ontologico e [[cosmologia (filosofia)|cosmologico]] in cui i ''puruṣa'' fluttuano alla ricerca di una perfezione individuale. Come nel Buddhismo, il fine più immediato è quello del superamento della [[sofferenza]] per mezzo della "[[conoscenza]]", alla quale segue l'aspirazione all'"isolamento".