Utente:MLWatts/Sandbox: differenze tra le versioni

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ethica
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=== ''Deus sive Natura'': il determinismo ===
Il fatto che Dio sia infinito e che sia l'unica sostanza esistente implica che nulla esiste al di fuori di Dio: «tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere né essere concepito senza Dio» (E I, p15) e «le cose particolari non sono altro che affezioni degli attributi di Dio, ossia modi con i quali gli attributi di Dio si esprimono in un modo certo e determinato» (E I, p25c). Dio viene così identificato con la stessa natura, secondo il famoso motto ''Deus sive Natura''.:<ref>{{cita|Scribano|p. 27.}}</ref> egli «è causa [[Immanenza|immanente]], e non [[Trascendente|transitiva]], di tutte le cose» (E I, p18). Da un lato, Spinoza afferma che, benché l'essenza di Dio sia espressa da infiniti attributi, l'intelletto umano riesce a cogliere solo i due che già Cartesio aveva riconosciuto come gli unici di cui noi esseri umani partecipiamo, cioè pensiero ed estensione; i quali sono concepiti indipendentemente l'uno dall'altro ma, al contrario di quanto avveniva in Cartesio, non corrispondono a due distinte sostanze, ma sono di fatto due diversi punti di vista sotto cui viene colta la stessa sostanza: il che è comprovato dall'unità dell'ordine causale che si esprime nell'estensione (cioè nei corpi) e nel pensiero (cioè nelle idee).<ref>{{cita|Scribano|pp. 20-26.}}</ref> Dall'altro, l'autore assume una posizione radicalmente estranea alla tradizione filosofica giudaico-cristiana in cui si muove, cioè sostiene che a Dio compete quella estensione che fin da Aristotele era considerata inscindibile dalla corporeità; aggiungendo, contro le obiezioni di chi sosteneva l'incompatibilità dell'infinità di Dio con una sua presunta estensione – incompatibilità che sarebbe dovuta alla divisibilità dell'estensione e all'indivisibilità dell'infinito – che non l'estensione in quanto attributo, e cioè in quanto infinita, è divisibile, ma i corpi singoli, che non sono che le modificazioni finite dell'estensione.<ref>{{cita|Scribano|pp. 27-31.}}</ref>
 
Un'altra tesi spinoziana che, all'epoca, risultò scandalosa, è quella per cui Dio non è in grado di derogare alla rigidissima necessità causale che regola tutti gli eventi naturali: Dio è detto causa libera dell'universo perché (E I, d7) si è definita la libertà come il fatto di non essere determinati da cause esterne ma solo dalla necessità della propria natura, e Dio (e solo Dio) in quanto causa di sé è determinato per la sua essenza e la sua esistenza solo da se stesso; ma «in natura non si dà nulla di contingente», e Dio, che obbedisce alla necessità della sua natura (sancita dall'assioma 3), non fa eccezione:<ref>{{cita|Scribano|pp. 31-32.}}</ref> «Dio non agisce mediante la libertà della volontà» (E I, p32c2). «Le cose non avrebbero potuto essere prodotte da Dio in altro modo, né con altro ordine da quello in cui sono state prodotte» (E I, p33). Se Dio, affinché sia preservata la sua libertà di creare cose nuove a sua discrezione, dovesse non aver creato tutto quello che era in suo potere, avrebbe la sua potenza limitata per garantire la libertà del suo arbitrio; ma un Dio che non ha la potenza di creare tutto ciò che discende dalla sua necessaria natura è, per Spinoza, profondamente contraddittorio.<ref>{{cita|Scribano|p. 33.}}</ref> Le cose discendono dalla potenza di Dio, che coincide con la sua essenza (E I, p34), con tale inderogabile necessità che, se egli facesse le cose diversamente, avrebbe una diversa essenza e sarebbe un diverso Dio, il che è assurdo per la dimostrata unicità di Dio (E I, p33).<ref>{{cita|Scribano|p. 35.}}</ref>
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Un «modi mediato infinito» è «qualunque cosa segue da un certo attributo di Dio in quanto è modificato da una modificazione tale che esiste necessariamente e quale infinita in virtù dello stesso attributo» (E I, p22). In quanto modificazione dell'attributo divino dell'estensione da parte delle leggi del movimento e della quiete, l'universo nel suo complesso è un esempio di modo mediato infinito.<ref>{{cita|Scribano|p. 41.}}</ref> I singoli corpi, in quanto modificazioni finite dell'attributo dell'estensione, sono esempi di modi finiti.<ref name=vigorelli_153/>
 
L'introduzione delle nozioni di ''Natura naturans'' e ''Natura naturata'' spiega ulteriormente questi punti:<ref name=scribano_40/> «per Natura naturante dobbiamo intendere ciò che è in sé ed è concepito per sé, ossia tali attributi della sostanza che esprimono l'eterna ed infinita essenza, cioè Dio in quanto si considera come causa libera. Per Natura naturata invece intendo tutto ciò che segue dalla necessità della natura di Dio ossia dalla necessità di ciascuno dei suoi attributi, cioè tutti i modi degli attributi di Dio, in quanto sono considerati come cose che sono in Dio e che non possono né essere, né essere concepite senza Dio» (E I, p29s). C'è una differenza tra essere Dio ed essere ''in'' Dio.
 
=== Temporalità e causalità ===
Con ciò si introduce il tema de [[tempo]]: «Dio, ossia tutti gli attributi di Dio, sono eterni» (E I, p19). Per [[eternità]] (E I, d8) Spinoza intende non una durata infinita, ma l'esitenza indipendente dalla temporalità, con il che è manifesto che Dio e solo Dio – in quanto causa di sé e sostanza la cui essenza implica l'esistenza – esiste senza riferimento al tempo.<ref>{{cita|Scribano|p. 42.}}</ref> Al contrario, poiché «l'essenza delle cose prodotte da Dio non implica l'esistenza» (E I, p24), esse hanno una durata, cioè un inizio e una fine.<ref name=scribano_43>{{cita|Scribano|p. 43.}}</ref> Non per questo le cose singole, finite, sono contingenti: «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29), e in particolare «una cosa si dice contingente per nessun'altra ragione che per un difetto della nostra conoscenza» (E I, p33s2), cioè perché non ne conosciamo le cause.<ref>{{cita|Scribano|p. 45.}}</ref> Secondo Spinoza, tutte le cose dipendono ultimamente dall'eterna, infinita essenza di Dio per la loro essenza e per la loro esistenza (E I, p25); ma le cose finite sono inserite in una catena causale, temporalmente determinata, tale per cui «ogni cosa singolare, ossia qualunque cosa che è finita e ha una determinata esistenza, non può esistere né essere determinata ad agire se non sia determinata ad esistere e ad agire da un'altra causa che è anche finita e ha una determinata esistenza [...] e così all'infinito» (E I, p28).<ref name=scribano_43/>
 
Come si vedrà nella parte seconda, «fino a quando le cose singolari non esistono se non in quanto sono comprese negli attributi di Dio [cioè nella dimensione eterna], il loro essere oggettivo, ossia le idee, non esistono se non quanto esiste l'infinita idea di Dio; e quando le cose singolari si dicono esistere non soltanto in quanto sono comprese negli attributi di Dio, ma anche in quanto si dicono durare [cioè nella temporalità], le loro idee implicano anche l'esistenza per la quale si dicono durare» (E II, p8c).
 
=== Appendice: il pregiudizio finalistico ===
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Spinoza vuole in primo luogo spiegare la ragione per cui gli uomini condividono questo pregiudizio: poiché «tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose, mentre tutti appetiscono la ricerca del proprio utile, cosa della quale sono consapevoli», e poiché essi «sia in sé stessi sia al di fuori di sé trovano non pochi mezzi che li conducono non poco al perseguimento del proprio utile [...] è accaduto che considerano tutte le cose naturali come mezzi per raggiungere il proprio utile; e poiché sanno di non averli essi stessi predisposti, hanno avuto motivo di credere che sia stato un altro a predisporre quei mezzi per il loro uso. [...] Hanno dovuto concludere che esistono uno o alcuni rettori della natura, forniti di libertà umana, che hanno curato ogni cosa per il loro uso. E poiché non avevano mai avuto alcuna notizia circa l'indole di questi rettori, sono stati portati a giudicare in analogia alla propria, e così hanno stabilito che gli Dei dirigono tutto in vista dell'uso che gli uomini possono farne, per legare a sé gli uomini ed essere tenuti da essi in sommo onore» (E I, appendice). Il [[finalismo]] insomma non è che la conseguenza di un'ignoranza delle cause e dell'immaginazione che l'uomo fa lavorare (al posto della ragione) per cercare di arginare questa sua ignoranza.
 
Dalla credenza nell'esistenza di fini deriva, secondo Spinoza, l'idea che nel mondo esistano valori che rendono le cose (in sé) buone o cattive: ciò che giova all'uomo è detto buono o bello, ciò che gli nuoce cattivo o brutto; il fatto che gli uomini, pur simili per molti aspetti, siano tutti diversi, e che dunque agli uni e agli altri paiano buone o cattive cose diverse, genera le aspre controversie che portano allo [[Scetticismo filosofico|scetticismo]]. Secondo Spinoza invece nella natura, dominata com'è da una necessità assoluta, non si danno cose buone in sé o cattive in sé: il [[problema del male]], cioè quello di giustificare l'esistenza del male in un universo dominato da un Dio buono e provvidente, si risolve prima di porsi se si abbandona il finalismo che, di quel problema, era l'origine.<ref>{{cita|Scribano|pp. 47-49.}}</ref>
 
== Parte seconda: della natura e dell'origine della mente ==
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«Dico che appartiene all'essenza di ciascuna cosa [...] ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che senza la cosa non può né essere, né essere concepito» (E II, d2). Con questa definizione, Spinoza vuole ribadire la distanza tra le cose finite e Dio, escludendo che qualcuno possa pensare che, poiché tutte le cose singole (non potendo essere concepite per sé) devono essere concepite per mezzo di Dio, Dio debba far parte dell'essenza delle cose singole. Affinché qualcosa faccia parte dell'essenza di qualcosa d'altro, bisogna che il rapporto di dipendenza sia bidirezionale: ma poiché Dio può essere ed essere concepito anche senza le cose finite, non è contenuto nella loro essenza.<ref name=scribano_50-51>{{cita|Scribano|pp. 50-51.}}</ref> Tanto le cose dipendono da Dio, quanto Dio dipende solo da se stesso. Sia Dio che le cose singole sono necessari, ma la necessità attiva ed eterna della sostanza assolutamente infinita (la cui essenza implica l'esistenza) non deve essere confusa con quella passiva e diveniente degli enti finiti (le cui essenze non implicano l'esistenza).<ref name=scribano_50-51/> Detto ciò, l'uomo è una cosa singola, un ente finito, e come tale la sua essenza non implica l'esistenza (E II, a1).
 
Ma «l'uomo pensa» (E II, a2), e inoltre «sente che un certo corpo è affetto in molti modi» (E II, a3). Spinoza introduce ora i rapporti tra le sfere della corporeità e del pensiero nell'uomo, ma partendo di nuovo da Dio: innanzitutto, «in Dio si dà necessariamente tanto l'idea della sua essenza quanto di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua essenza» (E II, p3); però le cose non sono causate dalle idee delle cose presenti in Dio (come avveniva secondo gran parte della tradizione scolastica) né le idee sono causate dalle cose, poiché come si è visto nella parte prima tra enti di natura diversa, con attributi diversi come sono diversi pensiero ed estensione, non si dà causalità. Dunque tra idee e cose vige un rapporto di corrispondenza senza causalità, o, come dirà [[Gottfried Wilhelm von Leibniz|Leibniz]],<ref>{{cita|Scribano|p. 58.}}</ref> di «parallelismo». Le idee e le cose, le concatenazioni di implicazioni e causazioni, si corrispondono perfettamente perché esprimono da punti di vista diversi la stessa unità sostanziale:<ref>{{cita|Scribano|pp. 51-53.}}</ref> «una e identica sostanza [...] è compresa ora sotto questo ora sotto quell'attributo» (E II, p7s).
Ma «l'uomo pensa» (E II, a2), e inoltre «sente che un certo corpo è affetto in molti modi» (E II, a3).
 
Lo stesso vale per l'essere umano: l'uomo è una modificazione della sostanza che partecipa di due soli dei suoi attributi, pensiero ed estensione. La mente è dunque una modificazione finita dell'attributo del pensiero, il corpo una modificazione finita dell'attributo dell'estensione. Le due modificazioni però si corrispondono strettamente, come è testimoniato dalla consapevolezza della nostra mente delle senzazioni del nostro corpo: la mente è l'idea che ha come oggetto il corpo.<ref>{{cita|Scribano|p. 56.}}</ref>
 
La mente umana, che ha le idee delle cose che conosce, è essa stessa un'idea, e in particolare l'idea che, nella dimensione intemporale di Dio, corrisponde al corpo a cui, nel tempo, quella mente sente di essere legata. C'è però una differenza tra l'idea del corpo di Pietro che costituisce la mente di Pietro e l'idea del corpo di Pietro che ha un altro uomo, per esempio Paolo (come ha notato Scribano resta comune, nelle diverse accezioni della nozione di «idea», che «idea è quella particolare modificazione del pensiero che rappresenta qualcosa»).<ref>{{cita|Scribano|p. 57.}}</ref> In effetti, «l'idea che costituisce l'essere formale della mente umana [cioè l'idea del corpo come mente che a esso corrisponde] non è semplice ma composta da moltissime idee» (E II, p15). La differenza tra un sasso corporeo, a cui corrisponde l'idea di quel sasso, un corpo di animale, a cui corrisponde l'idea (cioè la mente) di quell'animale, e un corpo umano, a cui corrisponde l'idea (cioè la mente) di quell'essere umano dipende solo dalla diversa complessità di queste idee. In un certo senso tutti gli enti finiti hanno una mente, che è l'idea che a essi corrisponde in Dio, ma solo la mente degli uomini è complessa abbastanza da rendere possibile la razionalità – e questa complessità corrisponde strettamente alla maggior complessità del corpo umano rispetto al corpo di qualsiasi animale.<ref>{{cita|Scribano|pp. 59-60.}}</ref>
 
=== Conoscenza ===
 
== Parte terza: della natura e dell'origine degli affetti ==
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== Note ==
{{references|23}}
 
== Bibliografia ==