Erlembaldo Cotta: differenze tra le versioni

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Fratello di [[Landolfo Cotta|Landolfo]], [[suddiacono]] di Milano, Erlembaldo apparteneva alla famiglia di [[capitanei]] dei [[Cotta (famiglia)|Cotta]], [[Vassallo|vassalli]] dell'arcidiocesi. Le prime notizie che si hanno della sua carriera militare lo citano come "capitano del popolo". Nel [[1063]] tornò da un pellegrinaggio in [[Terra santa]] con l'intenzione di diventare [[Monachesimo|monaco]], ma il diacono [[Sant'Arialdo|Arialdo]] lo convinse a prendere il posto del fratello alla testa del movimento dei Patarini.
 
Nel [[1064]] si recò a [[Roma]] per conferire con [[papa Alessandro II]] e confermargli il proprio appoggio. Al suo ritorno a Milano, si stabilì in un palazzo nei pressi della chiesa di San Vittore. Con l'approvazione del papa, si fece promotore dell'opposizione all'arcivescovo del tempo [[Guido da Velate]] accusandolo di non tenere fede al voto di agire contro la [[simonia]]. Guido organizzò la resistenza contro i Patarini ottenendo il sostegno della popolazione e costringendo Arialdo alla fuga verso [[Pavia]], il diacono venne però catturato portato ad [[Arona]], ucciso ed il suo corpo venne gettato nel [[Lago Maggiore]]. Il 3 maggio [[1067]] Erlembaldo recuperò le spoglie e il [[17 maggio]] le seppellì nella [[Chiesa di Santa Maria presso San Celso#San Celso|chiesa di San Celso]] riabilitandone così la memoria. Un legato papale giunse poi a dare sostegno morale a Erlembaldo presso la [[congregazione Vallombrosana]].
 
Nel [[1069]], Guido da Velate rifiutò, sostenuto dall'[[imperatore Enrico IV]] di riconoscere [[Gotofredo da Castiglione]] e il castello di quest'ultimo venne assediato. Il fatto fece scoppiare violente reazioni a Milano e Gotofredo venne arrestato. Nello stesso anno Guido pretese la restituzione dell'arcidiocesi da Erlembaldo, ma il capo patarino rifiutò. Il [[6 gennaio]] [[1072]] fece nominare arcivescovo [[Attone di Milano|Attone]] al posto di Gotofredo che non poté più godere dell'appoggio di Enrico, occupato in a far fronte alle rivolte interne in [[Sassonia]] e dovette cedere perciò l'influenza su Milano a [[papa Gregorio VII]] che confermò la nomina di Attone. La città rimase tuttavia priva di un arcivescovo residente.
 
Erlembaldo giunse al culmine del potere e cominciò a pretendere la modificazione dei riti ambrosiani, in particolare consacrando da sé il [[crisma]] e rifiutando quello consacrato da preti [[nicolaiti]] e [[simoniaci]] ([[giovedì santo]] del 1074 e 1075). Venuto in odio a molti chierici, che non tolleravano l'ingerenza di un laico nei riti, e a molti cittadini che lo vedevano come un servitore del papa venuto a minacciare l'indipendenza della Chiesa ambrosiana, Erlembaldo fu assalito dai suoi nemici in armi poco dopo la Pasqua e ucciso. Secondo il cronista milanese Arnolfo, suo oppositore politico, il corpo di Erlembaldo fu spogliato e martoriato con bastoni e pietre, e gli fu negato persino il rito del funerale. I suoi seguaci lo seppellirono nella chiesa di San Celso, loro roccaforte. Quando in seguito [[papa Urbano II]] venne in visita a Milano tra il [[6 maggio|6]] ed il [[26 maggio]] [[1095]], presenziò alla traslazione nella chiesa di San Dionigi della salma di Erlembaldo, di fatto [[canonizzazione|canonizzandolo]] e facendone oggetto di propaganda della [[prima crociata]]. Le reliquie di Erlembaldo vennero poi ulteriormente traslate nel [[Duomo di Milano|Duomo]] nel [[1528]].
 
==Fonti==