Facciata di Santa Maria del Fiore: differenze tra le versioni

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Nel [[1515]], per il trionfale ingresso in città di [[Leone X]], fratello di [[Piero il Fatuo|Piero de' Medici]] scacciato nel [[1494]], la facciata fu allestita con ordini binati e rilievi simulanti sculture di [[Jacopo Sansovino]] e [[Andrea del Sarto]] (come descrisse il [[Vasari]]).
 
Nel [[1587]] ordinò all'architetto di corte [[Bernardo Buontalenti]] di rimuovere tutti i marmi e le sculture e di coprire la martoriata facciata con un soprammattone su cui fosse eseguita una facciata dipinta di gusto [[manierismo|manierista]]. La demolizione avvenne tra il [[21 gennaio]] e il [[9 luglio]], ed esiste un resoconto di anonimo che riporta puntualmente la vicende dello smantellamento. In tale scritto, rinvenuto nel [[1757]] dal [[Richa]] tra le carte di Francesco Rondinelli, si legge tutto il rammarico dello spettatore davanti allo scempio: «non vi fu marmo alcuno che si cavasse intiero: fino alle colonne stesse furono spezzate; che fu nel vero un compassionevole spettacolo»<ref>Mandragora, cit., p. 23.</ref>. Non è chiaro perché il granduca prese tale decisione: forse era sua intenzione avviare una politica di lavori pubblici per fronteggiare la miseria seguita alla carestia del [[1586]]; altri attribuiscono all'influsso del Buontalenti e del provveditore dell'Opera Benedetto Uguccioni desiderosi di dare al tempio una facciata "moderna", come avvenne qualche anno dopo, proprio per mano di Buontalenti, alla [[chiesa di Santa Trinita]]<ref name=M162/>.
 
In quell'anno fu indetto un concorso a cui parteciparono i maggiori artisti contemporanei dell'epoca fornendo modellini lignei e disegni oggi conservati nel Museo dell'Opera. Essi erano [[Giovanni Antonio Dosio]], [[don Giovanni de' Medici]], [[Bernardo Buontalenti]] (due progetti), il [[Cigoli]] e [[Giambologna]]: tutti ispirati da una misura teatrale e monumentale che prendeva spunto, in varia misura, da [[Michelangelo]]. I progetti erano a due ordini, tranne il secondo progetto del Buontalenti e quello del Cigoli a tre ordini, e ognuno proponeva un ricco apparato decorativo, con statue, rilievi e pitture. Del progetto però non si fece nulla, poiché il [[19 ottobre]] il granduca morì fulminato da una malattia. Nel Seicento [[Ferdinando II de' Medici]] riprese l'iniziativa, ma non bandì una nuova gara, scegliendo invece il modello predisposto nel 1587 da [[Giovanni Antonio Dosio]]: tale decisione arbitraria sollevò le proteste degli addetti ai lavori e della cittadinanza, tanto che fu approntato un nuovo modello nel [[1635]] da parte degli artisti dell'[[Accademia delle Arti del Disegno]]. Caratterizzato dal triplo ordine e da una ricca ornamentazione, fu affidato all'architetto dell'Opera [[Gherardo Silvani]], che avviò il cantiere. I lavori però vennero presto interrotti, per i conflitti presto nati tra il Silvani e il presidente dell'Accademia, [[Giovanni Battista Pieratti]]. L'arresto definitivo si ebbe nel [[1639]]<ref name=M162>Mandragora, cit., p. 162.</ref>. È stato notato come nessuno di questi progetti cinque/seicenteschi si curasse di armonizzare la facciata con la struttura gotica della chiesa e con la cupola rinascimentale, né di rapportarla spazialmente con gli edifici circostanti<ref name=M162/>.
 
Si avvicendarono in seguito varie facciate posticce provvisorie, erette in occasione di eventi speciali, in genere costituite con legno, tele dipinte e gesso. La prima venne creata per le nozze di [[Ferdinando I de' Medici]] con [[Cristina di Lorena]] nel [[1589]] e comprendeva tele, stucchi, pitture e statue. Una seconda fu preparata per l'arrivo in città di [[Margherita Luisa d'Orléans]], che aveva sposato per procura nel [[1661]] [[Cosimo III de' Medici]]. Una terza nel [[1688]] per il matrimonio del [[Ferdinando de' Medici|principe Ferdinando]] con [[Violante di Baviera]]. Quest'ultima decorazione, intonacata e dipinta sui progetto di [[Ercole Graziani]], venne incisa nel [[1733]] da [[Bernardo Sansone Grilli]] e sopravvisse, sempre più scolorita, fino all'Ottocento, venendo immortalata anche da alcune fotografie<ref>Mandragora, cit., p. 170.</ref>.
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[[File:Progetti di facciata dopo il concorso (XIX sec) 03.JPG|thumb|250px|Progetti avanzati per il concorso della facciata, Museo dell'Opera del Duomo]]
[[File:Progetti di facciata dopo il concorso (XIX sec) 01.JPG|thumb|250px|Progetti avanzati per il concorso della facciata, Museo dell'Opera del Duomo]]
Per porre fine alle polemiche, nel [[1858]] l'Associazione rinacque come "Deputazione promotrice" e attraverso di essa poté essere finalmente indetto un concorso internazionale sotto l'egida di un'autorevole commissione di controllo. Nonostante la cerimonia del tutto simbolica del [[22 aprile]] [[1860]] in cui re [[Vittorio Emanuele II]] pose la prima pietra della facciata, molti anni sarebbero ancora stati necessari prima di avviare i lavori<ref name=M166/>.
 
Un primo concorso venne annullato il [[30 maggio]] e un bando definitivo fu pubblicato il [[10 novembre]] [[1861]], con scadenza al [[31 dicembre]] [[1862]]; vi parteciparono, tra gli altri, [[Marco Treves]], [[Mariano Falcini]], [[Perseo Pompeo Faltoni]], il danese [[Vilhelm Valdemar Petersen]], ma numerosi preferirono restare anonimi. La commissione, presieduta da [[Gaetano Baccani]], invece era composta da [[Alessandro Antonelli]], [[Fortunato Lodi]], [[Errico Alvino]], [[Camillo Boito]], [[Pietro Camporese]] e [[Andrea Scala]], ognuno in rappresentanza delle principali accademie e città italiane. Malgrado il gran numero di elaborati esaminati, la commissione, che ancora non aveva sciolto il dilemma del coronamento della facciata, non decretò alcun vincitore, limitandosi a segnalare solo alcuni progetti meritevoli<ref>C. Cresti, M. Cozzi, G. Carapelli, cit., p. 99.</ref>.
 
===Il secondo concorso (1864)===
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Alla luce delle roventi accuse, nel [[1865]] la commissione definì il regolamento di un terzo concorso, al quale parteciparono dieci invitati del secondo concorso e ventinove concorrenti liberi, con un totale di quarantacinque disegni (alcuni infatti proposero due diverse soluzioni). La scadenza era prevista per luglio, ma in seguito i termini vennero prorogati di ben due anni. L'esito della gara, che vide esclusi in una prima fase artisti di spicco come Matas, Antonelli e Baccani, decretò, ancora una volta, la vittoria di De Fabris. Fu una vittoria annunciata, in quanto la maggior parte dei membri che componevano la commissione si erano detti dichiaratamente favorevoli alla soluzione tricuspidale, proprio a partire dal presidente, Pietro Selvatico Estense. Fu comunque una vittoria risicata, ottenuta col minimo dei voti, che non contribuì a placare le polemiche.
 
Nel [[1867]] la Deputazione Promotrice comunicò ufficialmente il risultato all'architetto, che fu successivamente invitato alla messa a punto di tutti i dettagli. Questa operazione impegnò De Fabris per due anni, durante i quali l'architetto accolse i suggerimenti di Pietro Selvatico, oltre alle indicazioni del filosofo [[Augusto Conti]] per quanto concerne la definizione dell'apparato ornamentale. Il progetto definitivo, oramai compromesso da troppi pareri, troppe correzioni e molteplici desideri, fu approvato nel [[1870]] e il [[4 luglio]] del medesimo anno De Fabris fu nominato "Architetto della facciata di Santa Maria del Fiore"<ref>C. Cresti, M. Cozzi, G. Carapelli, cit., pp. 161-162.</ref>.
 
===Gli strascichi polemici===
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[[Image:Santa Maria del fiore, facciata in costruzione.jpg|thumb|Le due versioni di coronamento delle navate, temporaneamente affiancate in attesa di una decisione]]
 
Negli anni successivi la costruzione della facciata procedette in maniera continuativa, nonostante le periodiche sottoscrizioni rese necessarie dalle difficoltà economiche: gli stemmi e i nomi che decorano la facciata appartengono ai numerosi benefattori dell'impresa. Il [[5 dicembre]] [[1883]] la facciata veniva presentata al pubblico quando l'architetto De fabris era ormai morto ([[3 giugno]]), ma bisognò aspettare fino al [[12 maggio]] [[1887]] per l'inaugurazione ufficiale con le autorità.
 
La struttura a marmi policromi (definita da [[Enzo Carli]]<ref>Enzo Carli, ''Arnolfo'', Edam, Firenze, 1993</ref> «uno degli episodi tragici del cantiere della cattedrale») si armonizza cromaticamente con gli edifici vicini, campanile e battistero, ma tradisce la sua modernità nell'eccessivo zelo tipicamente ottocentesco, caratterizzato da una sovrabbondante presenza di decorazioni. Inoltre, rispetto ai fianchi della cattedrale, fu utilizzata una proporzione maggiore di marmo rosso di Siena, per motivi patriottici legati al [[Bandiera italiana|tricolore]] della appena riunificata [[Italia]].