Assedio di Messina (1848): differenze tra le versioni

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L’opera del ministro della polizia e capo della gendarmeria di Ferdinando II, il cavaliere dell'Ordine di S. Giorgio  e marchese [[Francesco Saverio  Del Carretto]], contribuì ulteriormente a destare l’odio dei siciliani nei confronti del governo napoletano, poiché questi alle misure poliziesche in senso proprio «aggiunse per malvagio animo gli atti della più bestiale ferocia, permettendo, ordinando uccisioni inutili, arsioni, stupri, saccheggi, banchetti empii, in cui le superstiti fanciulle, disonorate, dovevano celebrare la morte dei propri i parenti e il trionfo della regia autorità, rappresentata da un’orda ladra e sanguinaria di sgherri e di birri napolitani. Alle rappresaglie, ai balordi rigori della censura ed ai polizieschi atti di ferocia, rispose il più intenso odio del popolo Siciliano.»<ref>Socrate Chiaramonte, “''Il pro­gramma del'48 e i partiti politici in Sicilia''”, in “''Archivio storico siciliano''”, n. 3., anno XXVI, 1901, p. 117.</ref>
 
In questo contesto, Messina era divenuta in Sicilia uno degli epicentri della rete politica clandestina antiborbonica, assieme a Palermo ed a Catania ed in collegamento con gli esuli residenti nella vicina isola di Malta.<ref>C. Naselli, ''Il Quarantotto a Catania: la preparazione, gli avvenimenti'', in «''Archivio Storico per la Sicilia oriental''e», serie IV, a. II e III, 1949-1950.</ref> Già il 2 marzo 1822 erano fucilati quattro liberali che avevano partecipato ad un tentativo insurrezionale a Messina, precisamente il sacerdote Giuseppe Brigandì, Salvatore Cesareo, Vincenzo Fucini, Camillo Pisano.Molti altri siciliani che avevano preso parte al moto erano invece condannati al carcere o costretti all’esilio.<ref>L. Tomeucci, ''Messina nel Risorgimento'', Milano 1963, pp. 14-15.</ref> Un altro tentativo insurrezionale a Messina era avvenuto poi il 1 settembre del 1847, ma era stato schiacciato dalla truppa borbonica nel giro d’alcune ore.<ref>Luigi Tomeucci, ''La verità sul moto del 1º settembre 1847'', in ''Messana'', Messina 1953, vol. II</ref>  Gli insorti, capeggiati da [[Giovanni Krymi]], [[Antonio Pracanica]] e [[Paolo Restuccia]], s’erano riuniti dinanzi alla piazza antistante al Duomo di Messina, con armi improvvisate ed una sorta d’uniforme, costituita da un ampio camicione bianco e da un cappello a tese larghe con sopra una coccarda tricolore. Le truppe borboniche uscirono dalla Cittadella ed assalirono i patrioti, con un violento scontro durato molte ore e che si concluse con la sconfitta dell’insurrezione.<ref>A. Caglià-Ferro, ''Monografia sui fatti del 1º settembre 1847 ''in  ''Messina'', Messina 1890; L. Tomeucci, ''Messina nel Risorgimento'', Milano 1963, pp. 44-74.</ref> Seguì poi una pesante repressione da parte delle autorità borboniche. Alcuni insorti furono condannati  a morte, molti altri costretti alla fuga per salvarsi la vita. Inoltre la polizia torturò duramente l’abate [[Giovanni Krymi]], il sacerdote Carmine Allegra, i cappellani Simone Gerardi e Francesco Impalà,senza però riuscire ad indurli alla delazione. Ancora, le autorità borboniche avevano imposto la chiusura di circoli ed associazioni culturali e sottoposto a controllo l’università. Tutto ciò però aveva rafforzato l’opposizione al regime, ormai estesa a tutte le classi sociali e che poteva appoggiarsi ad una rete molto diffusa e ramificata, costituita da società artigiane, ordini religiosi, monasteri, ambienti accademici ecc.<ref>Ernesto Consolo-Nino Checco, ''Messina nei moti del 1847-1848'', in ''Il Risorgimento: rivista di storia del Risorgimento e storia contemporanea'', a. 51 (1999) n. 1, pp. 4-5, 24-25.</ref>
 
La subitanea insurrezione scoppiata all'inizio del 1848 aveva liberato dal dominio borbonico, molto odiato nell’isola, quasi tutta la Sicilia. Tuttavia, l’esercito napoletano aveva avuto cura di conservare il dominio della Cittadella di [[Messina]], che era di grandi dimensioni, potentemente fortificata e per la sua collocazione atta a costituire un’autentica testa di ponte per la riconquista della Sicilia. La Cittadella contava circa 300 cannoni ed una forte guarnigione, al sicuro dietro le mura ed i fossati.