Discussione:Trieste: differenze tra le versioni

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Grazie a te per la tua gentilezza, nonché per la precisione storica ed il senso della misura delle tue proposte ed osservazioni.
Cordiali saluti. --[[Utente:Rinascimento|Rinascimento]] ([[Discussioni utente:Rinascimento|msg]]) 22:45, 19 set 2013 (CEST)
 
 
 
 
Inserisco quella che dovrebbe essere l’ultima versione della bozza, se andrà bene.
 
Dovrei aver modificato tutti i pezzi secondo quanto era stato concordato, spostando in nota, cancellando o rettificando come richiesto.
 
L’unica vera aggiunta in questo lavoro di limatura è quella, anch’essa concordata, su “iniziative positive” del governo centrale nei confronti di Trieste nel 1866-1918. Ho inserito pertanto un pezzo dedicato alle politiche a favore dell’economia triestina: essendo l’unico pezzo veramente nuovo, l’ho scritto in carattere più grande per distinguerlo dagli altri.
 
Le note sono, come sempre, inserite invece in carattere più piccolo e poste fra parentesi quadre (anche per il pezzo nuovo).
 
spero di non aver dimenticato nulla--[[Utente:Rinascimento|Rinascimento]] ([[Discussioni utente:Rinascimento|msg]]) 20:31, 20 set 2013 (CEST)
 
 
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INTRODUZIONE. I CONTRASTI NAZIONALI
Le vicende politiche e le lotte nazionali di Trieste nel periodo compreso fra il 1861 ed il 1918 sono state oggetto d’una amplissima serie di studi da parte di storici di diverse nazionalità. Le interpretazioni e le visioni storiografiche di questo periodo non sono sempre coincidenti fra loro ed il dibattito permane aperto, quantomeno sotto una serie d’aspetti e problematiche. Appare comunque innegabile che fu un sessantennio segnato da forti tensioni. [<small>Un’ottima inquadratura del periodo è offerta dal professore Ernesto Sestan, ritenuto uno dei maggiori storici italiani, nel suo classico studio ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, capitoli VI, VII, VIII, pp. 69-104. Un grande lavoro di sintesi, che riporta anche folta bibliografia, è costituito dall’opera di Angelo Ara, ''Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa'', Milano 2009.</small>].
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Trieste fu, con Trento, oggetto e al tempo stesso centro di irredentismo, [<small>Sulle origini dell’irredentismo nel periodo anteriore al 1860 permane molto valido lo studio di Carlo Schiffrer, ''Le origini dell'irredentismo triestino: 1813-1860'', Udine 1937</small>] movimento che, negli ultimi decenni del XIX secolo e agli inizi del XX secolo aspirava ad un'annessione della città all'Italia. Ad alimentare l'irredentismo triestino erano soprattutto le classi borghesi in ascesa (ivi compresa la facoltosa colonia ebraica) [<small>Per questa ragione vi fu anche un certo antisemitismo in alcuni ambienti ostili all’irredentismo G. Valdevit, ''Chiesa e lotte nazionali: il caso di Trieste (1850-1919)'', Udine 1979, pp. 202, 224-228. 235-244, 260; Almerigo Apollonio, ''Libertà, Autonomia, Nazionalità - Trieste, l'Istria e il Goriziano nell'Impero di Francesco Giuseppe 1848-70'', Trieste 2007</small>], le cui potenzialità ed aspirazioni politiche non trovavano pieno soddisfacimento all'interno dell'Impero austro-ungarico. Dal canto suo, il gruppo etnico sloveno era nella città triestina agli inizi del Novecento in piena ascesa demografica, sociale ed economica, e, secondo il discusso censimento del 1910, costituiva circa la quarta parte dell'intera popolazione triestina. Ciò spiega come l'irredentismo assunse spesso, nella città giuliana, dei caratteri marcatamente anti-slavi che vennero incarnati dalla figura di Ruggero Timeus. [<small>Sul tema specifico dei contrasti fra italiani e sloveni nella Trieste asburgica può essere utile consultare M. Cattaruzza, ''Trieste nell’Ottocento. Le Trasformazioni di una società civile'', Udine 1995, pp. 119-165.</small>]
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Ernesto Sestan mette in evidenza, per questo periodo, la duplice azione di difesa svolta dalla popolazione di lingua italiana [<small>Questo è il titolo del capitolo VIII, ''La difesa degli italiani'' del suo saggio: ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, pp. 95-103</small>], sia in relazione al centralismo burocratico viennese sia alla diffusione dello slavismo [<small>''Ibidem'', pp. 95 sgg.</small>]. I due fenomeni furono infatti talora alleati fra di loro, poiché il governo centrale riteneva più affidabili le popolazioni slave, soprattutto nel lungo periodo del ministero Taaffe (1879-1893). [<small>''Ibidem'', p. 91</small>]. Al tempo era infatti largamente diffuso il cosiddetto austro slavismo, una corrente politica tramite la quale le popolazioni di lingua slava si prefiggevano il conseguimento dei propri obiettivi nazionali all’interno del regime asburgico e con la sua collaborazione. [<small>A. Moritsch, ''Der Austroslawismus. Ein verfrühtes Konzept zur politischen Neugestaltung Mitteleuropas'', Wien 1996</small>].
 
 
 
 
LA POLITICA IMPERIALE VERSO TRIESTE
Le dinamiche della città triestina si trovarono condizionate in questo lasso temporale dalle diverse linee politiche assunte dal potere centrale viennese nei confronti delle istituzioni locali e della questione nazionale.
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Il governo imperiale aveva emanato il 26 febbraio 1861 una patente che riduceva l’autonomia delle singole Diete, con la finalità di procedere ad una centralizzazione e germanizzazione dell’amministrazione dell’impero. La decisione provocò reazioni a Trieste, da cui provenne la richiesta di garantire l’autonomia della città, di cui si rimarcava il carattere etnicamente italiano. [<small>Giorgio Negrelli, ''Al di qua del mito: diritto storico e difesa nazionale nell'autonomismo della Trieste asburgica'', Udine 1979, pp.123-124. L'autonomia triestina venne ad essere drasticamente ridotta dal "centralismo viennese" che "aveva attentato" sin dal 1861 "ai resti della vita autonomistica, specialmente a Trieste”: Sestan, ''Venezia Giulia'', cit., p. 95</small>].
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La III guerra d’indipendenza del 1866 ed in generale il processo di creazione dello stato italiano condussero l’impero a diffidare della fedeltà degli Italiani [<small>Un esame d’insieme sulla storia del gruppo etnico italiano nell’impero ormai austro-ungarico si ritrova in Hans Kramer, ''Die Italiener unter der österreichisch-ungarischen Monarchie'', Wien-München 1954</small>] che vivevano nei territori rimasti sotto il proprio dominio: “Le vicende del 1866 tuttavia rafforzarono in molti ambienti politici austriaci (fra i vertici militari, nell’aristocrazia conservatrice e nella famiglia imperiale) il vecchio sospetto sull’infedeltà e la pericolosità dell’elemento italiano e italofilo per l’Impero. […] Dopo il 1866 la diffidenza dei settori conservatori della classe dirigente asburgica verso gli italiani d’Austria cominciò a tradursi in deliberata ostilità.” [<small>Luciano Monzali, ''Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra'', Firenze 2011, p. 69</small>].
<br />
Francesco Giuseppe nel Consiglio della Corona del 12 novembre 1866 ordinò la germanizzazione e la slavizzazione delle regioni abitate da italiani ancora in possesso del suo impero. <br />
[<small>Il verbale recita testualmente: «Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno». La versione originale in lingua tedesca è la seguente: «Se. Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, dass auf die entschiedenste Art dem Einflüsse des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elementen entgegentreten durch geeinignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichtsbeamten, Lehrern sowie durch den Einfluss der Presse in Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande auf die Germanisierung oder Slawisierung der betreffenden Landesteile je nach Umständen mit aller Energie und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde. Se. Majestät legt es allen Zentralstellen als strenge Plifcht auf, in diesem Sinne planmäßig vorzugehen.». ''Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi'', Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; la citazione compare alla Sezione VI, vol. 2, seduta del 12 novembre 1866, p. 297. La citazione può essere visionata, oltre che sul testo cartaceo, anche in formato telematico su Google Books: http://books.google.it/books?id=cSEOAQAAMAAJ&q=Die+Protokolle+des+%C3%96sterreichischen+Ministerrates+germanisierung+slawisierung&dq=Die+Protokolle+des+%C3%96sterreichischen+Ministerrates+germanisierung+slawisierung&hl=it&sa=X&ei=0A4vUt7yMuWI7Aa7w4CAAg&ved=0CDIQ6AEwAA</small> ].
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Il verbale del Consiglio dei Ministri asburgico del 12 novembre 1866, con le direttive di “germanizzare e slavizzare”, è ben conosciuto dagli storici, che lo hanno frequentemente citato nelle loro opere. Esso è riportato da numerosi studi indipendenti fra loro, compiuti da storici di varie nazionalità ed in anni diversi, che ne hanno fornito diverse interpretazioni sui possibili esiti ed applicazioni.
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[<small>Senza alcuna pretesa esaustiva, si possono qui ricordare i seguenti autori che hanno citato ovvero commentato in loro saggi la suddetta decisione di Francesco Giuseppe d’Asburgo, in una molteplicità di prospettive d’analisi: il professore universitario croato Grga Novak, storico, archeologo, geografo, che è stato anche rettore dell’università di Zagabria e Presidente della Accademia Croata delle Scienze e delle Arti http://en.wikipedia.org/wiki/Grga_Novak; Grga Novak, ''Političke prilike u Dalmaciji g. 1866.-76'', Zagreb 1960, pp. 40-41; Angelo Filippuzzi Angelo Filippuzzi, (a cura di), ''La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci: operazioni terrestri'', Padova 1966, pp. 396 sgg.; Claus Conrad, ''Multikulturelle Tiroler Identität oder 'deutsches Tirolertum'? Zu den Rahmenbedingungen des Deutschunterrichts im südlichen Tirol während der österreichisch-ungarischen Monarchie'', in Jürgen Baurmann/ Hartmut Günther / Ulrich Knoop, (a cura di), ''Homo scribens. Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung'', Tübingen: Niemeyer, 1993, pp. 273-298; lo storico Umberto Corsini, professore universitario, preside dal 1984 al 1989 della Facoltà di lingue e letterature straniere dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, a lungo presidente della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche: Umberto Corsini, ''Problemi di un territorio di confine. Trentino e Alto Adige dalla sovranità austriaca all’accordo Degasperi-Gruber'', Trento, Comune di Trento 1994, citazione a pag. 27; una descrizione della figura di questo studioso si ritrova in http://www.studitrentini.it/PresidenteUC.html; Luigi Papo de Montona, ''L’Istria e le sue foibe. Storia e tragedia senza la parola fine'', Roma 1999, volume I, p. 24. Egli infatti ricorda: “Ma se vogliamo limitarci allo scorso secolo non possiamo ignorare l’intervento dell’imperatore Francesco Giuseppe al Consiglio dei Ministri del 12 novembre 1866 per ordinare […] «di germanizzare o slavizzare».” Prosegue questo studioso: “E l’Austria ce la mise tutta, essendo oltre a tutto l’anagrafe nelle mani dei parroci, per la gran parte slavi, e istituendo nuove scuole croate”, come avvenne fra l’altro nella città di Pisino: ''ibidem'', p. 24. Il professore universitario, direttore d’un Dipartimento universitario di storia e membro dell’accademia polacca delle Scienze, Antoni Cetnarowicz http://pl.wikipedia.org/wiki/Antoni_Cetnarowicz in uno studio che riporta gli esiti d’un progetto di ricerca sponsorizzato dagli Istituti storici delle Università di Basilea e di Cracovia: Antoni Cetnarowicz, ''Die Nationalbewegung in Dalmatien im 19. Jahrhundert. Vom «Slawentum» zur modernen kroatischen und serbischen Nationalidee'', Frankfurt am Main, Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Wien, 2008. La decisione di Francesco Giuseppe di "germanizzare e slavizzare" le terre italiane è riportata a pagina 110: "Besonders gefährlich waren jedoch die irrendentistischen Tendenzen, die schon im Krieg stark spürbar geworden waren. Die Sorge, das die Irredenta die italienische Bevölkerung, die in den Südprovinzen der Monarchie lebte, durchdringen würde, war berechtig und wurde wahrgenommen. Der Ministerrat und der Kaiser beschlossen deshalb am 12. November 1866, ,,entschieden gegen die Einflüsse des italianieschen Elementes" in Dalmatien, Tirol und in Küstenland vorzugehen. Das bedeutete zunächst, dass Verwaltunsposten und Lehrerstellen mit ,,genehmen’’ Personen besetzt warden sollten, und dass der Einfluss der Presse zu verstärken sei, alles mit dem Ziel, die Germanisierung oder Slawisierung dieser Länder zu stärken.”; Massimo Spinetti, che è stato Ambasciatore d’Italia a Vienna dal 2 maggio 2007 al 30 giugno 2010: Massimo Spinetti, ''Costantino Nigra ambasciatore a Vienna. (1885-1904)''. L'articolo può essere letto liberamente sul sito ASSDIPLAR - Associazione Nazionale Diplomatici a r.: http://www.assdiplar.it/documentprogr/COSTANTINO%20NIGRA%20AMBASCIATORE%20A%20VIENNAsenzabio.pdf]; la professoressa goriziana Maria Grazia Ziberna, in un suo manuale di storia scritto con la collaborazione del professor Diego Redivo e con prefazione del professor Fulvio Salimbeni. Maria Grazia Ziberna, ''Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni'', Gorizia 2013, liberamente consultabile e scaricabile al seguente collegamento ipertestuale: {HYPERLINK "http://www.storiaveneziagiulia.it"}; la citazione dell’ordine imperiale di Francesco Giuseppe è così commentata pagina 63 del suddetto volume: «L'imperatore Francesco Giuseppe nel suo Consiglio della Corona del 12 novembre 1866 impose una politica tesa a germanizzare e slavizzare con la massima energia tutte le regioni italiane ancora facenti parte del suo impero: Trentino, Dalmazia, Venezia Giulia. Venne pertanto pianificata una politica di concessioni alle nazionalità slave, ritenute più fedeli all'Impero e ben disposte ad accettare il potere dominante dell'imperatore e dell'aristocrazia asburgica, politica che contribuì alla diffusione di idee irredentiste all'interno della comunità italiana. Gli italiani dell’intera Venezia Giulia si sentivano sempre più minacciati dall'azione congiunta del governo austriaco e dei nazionalisti slavi locali, fra loro alleati in funzione anti-¬‐italiana.» ; il professor Luciano Monzali, docente universitario e membro del consiglio direttivo della Società Dalmata di Storia Patria, [http://www.scienzepolitiche.uniba.it/area_docenti/documenti_docente/curriculum/73_cv.pdf ] nel suo ponderoso studio sulla Dalmazia italiana, che contiene anche un’utile ed approfondita panoramica sulla politica interna dell’impero nei confronti degli Italiani suoi sudditi: Luciano Monzali, ''Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra'', Firenze 2011, p. 69 «I verbali del Consiglio dei ministri asburgico della fine del 1866 mostrano l'intensità dell'ostilità antitaliana dell'imperatore e la natura delle sue direttive politiche a questo riguardo. Francesco Giuseppe si convertì pienamente all'idea della generale infedeltà dell'elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica: in sede di Consiglio dei Ministri, il 12 novembre 1866, egli diede l'ordine tassativo di "opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronländer e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo”</small>»].
 
 
<big><big>La perdita del Friuli e specialmente del Veneto (con i loro porti ed il personale marittimo qualificato), accrebbe ulteriormente l’importanza economica e strategica di Trieste per l’impero, che aveva in questa città il proprio principale sbocco marittimo e commerciale, cosicché lo stato centrale prestò notevoli attenzioni al suo sviluppo ed al potenziamento delle sue infrastrutture. In questo la politica austriaca posteriore al 1866 ricalcò la tradizionale scelta, risalente sino all’inizio del secolo XVIII, di favorire le potenzialità insite nella collocazione geografica di Trieste, posta all’incirca nel punto d’incontro fra le linee di comunicazione convergenti dall’Italia, dalla Mitteleuropa e dai Balcani.
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Si prestò cura all’apparato stradale e ferroviario che muoveva dall’ampio entroterra in direzione della città e del porto, in modo da garantire nel miglior modo possibile la circolazione delle merci e degli uomini nella duplice direzione d’ingresso ed uscita. L’attenzione nei confronti della città da parte del governo centrale s’espresse anche nella scelta dei Luogotenenti imperiali, che furono abitualmente selezionati fra personalità di rilievo.
<br />
Al tradizionale settore marittimo ossia commerciale s’affiancò progressivamente anche quello industriale, che ricevette impulso dalla politica d’armamento navale promossa dal governo imperiale a partire dalla fine del secolo XIX in competizione col vicino regno d’Italia e nella prospettiva d’una espansione balcanica. I massicci investimenti destinati al riarmo navale dal governo privilegiarono proprio Trieste, che aveva le strutture materiali ed il personale adeguati per realizzare le opere progettate. Il risultato fu che l’industria triestina, specie in settori come quello siderurgico e nella cantieristica in senso stretto, vide una grande espansione. A questa parziale metamorfosi dell’assetto economico cittadino contribuì anche la decisione presa dalle autorità imperiale nel 1891 di restringere le tradizionali franchigie doganali (risalenti in pratica sino al lontano 1719, data della concessione del cosiddetto porto franco) alla sola area portuale e non più all’intera città.
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Trieste era inoltre un centro finanziario ed amministrativo rilevante, sia per i capitali che s’accumulavano col commercio o che affluivano da investitori stranieri, sia perché era divenuta sede già nel 1850 dell’istituzione del cosiddetto Governo centrale marittimo. Si trattava d’un organo chiamato a disciplinare e controllare nell’unità amministrativa del Litorale austriaco le attività legate al commercio nei suoi vari aspetti.
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Un rilevante tramite fra Vienna e Trieste era costituito dal Lloyd. Difatti due settori cruciali dell’economia triestina, quelli della navigazione e delle assicurazioni, avevano un punto di riferimento importante nel Lloyd austriaco, poiché esso rappresentava la società capace di collegare fra loro capitale pubblico e privato, nonché imprenditoria viennese e triestina.
Trieste conobbe quindi nei decenni finali dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento un grande sviluppo economico, favorito da una serie di condizioni: il contesto storico costituito dallo slancio dell’economia europea e dall’intensità dei traffici marittimi mondiali che, dopo l’apertura del canale di Suez, vissero la loro epoca aurea; la presenza d’un tessuto urbano attivo e mediamente qualificato; gli investimenti pubblici e gli stretti legami commerciali con un esteso entroterra mitteleuropeo propiziati dalla rete d’infrastrutture.</big></big>
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[<small>Anche su questo tema esiste un’abbondante produzione storiografica, qui citata solo in minima parte per fornire alcune indicazioni di bibliografia. A. Apollonio, ''Libertà, Autonomia, Nazionalità - Trieste, l'Istria e il Goriziano nell'Impero di Francesco Giuseppe 1848-70'', Trieste 2007; G. Botteri, ''Una storia europea di liberi commerci e traffici. Il porto franco di Trieste'', Trieste 1988; Sulla politica navale imperiale: L. Sondhaus, ''The Naval Policy of Austria-Hungary, 1867-1918: Navalism, Industrial Development and the Politics of Dualism'', West Lafayette, 1994; G. Stefani (a cura di), ''Il Lloyd Triestino: Contributo alla storia italiana della navigazione marittima'', Milano 1938; Diversi contributi utili su Trieste ed il suo territorio in ''Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. Il Friuli-Venezia Giulia'', a cura di R. Finzi-C. Magris-G. Miccoli, Torino 2002; Uno sguardo d’insieme sulla città in quest’epoca si ritrova nell’opera, monumentale ma datata, di A. Tamaro, ''Storia di Trieste'', Roma 1924; G. Tatò (a cura di), ''Trieste. Una città e il suo porto'', Trieste 2010</small>].
 
 
Tensioni e contrasti politici, sia interni a Trieste, sia fra il comune triestino ed il governo centrale, si ebbero poi negli anni in cui il principe Konrad zu Hohenlohe fu governatore imperiale della regione (dal 1904 al 1915), poiché egli era un sostenitore del cosiddetto trialismo e seguiva una politica filoslava [<small>Carlo Schiffrer, ''La questione etnica ai confini orientali d’Italia'', Trieste 1992; Angelo Ara, ''Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa'', Milano 2009, pp. 306-307</small>]. Il trialismo era un progetto politico sostenuto dall’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo (erede al trono designato di Francesco Giuseppe e di fatto all’epoca reggente per l’ormai tarda età dell’imperatore), che si proponeva di creare un terzo regno nell’impero, accanto a quelli d’Austria e d’Ungheria, che avrebbe dovuto essere quello della Slavia danubiana ed in cui avrebbe dovuto essere inclusa anche l’unità amministrativa del Litorale austriaco, quindi pure Trieste. [<small>Analisi magistrali sulla situazione politica interna dell’impero nei suoi ultimi anni si ritrovano nei due celebri saggi di Zeman e Valiani: Zbynek Zeman, ''Der Zusammenbruch des Habsburgerreiches'', Wien 1963; Leo Valiani, ''La dissoluzione dell’Austria-Ungheria'', Milano 1985. Più specificamente sull’arciduca Fra la ncesco Ferdinando ed il trialismo: H. Wendel, ''Die Habsburger und die Südslawenfrage'', Belgrado-Lipsia 1924; L. Chlumecky, ''Erzherzog Franz Ferdinands Wirken und Wollen'', Berlino 1929</small>]. Infatti, era volontà del governo austriaco di “indebolire i poteri e la forza politica ed economica del comune di Trieste controllato dai nazionali-liberali italiani, ritenendolo giustamente il cuore del liberalismo nazionale in Austria e delle tendenze irredentiste”. Questo prevedeva anche la recisione degli “stretti rapporti politici, culturali e sociali fra i liberali triestini e l'Italia”. [<small>Luciano Monzali, ''Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra''", Firenze 2011, p. 268.</small>]
 
 
 
 
LA QUESTIONE SCOLASTICA
Una questione che suscitò forte interesse e talora grandi passioni fu quella scolastica, poiché l’insegnamento era visto come una forma essenziale di trasmissione e conservazione della cultura nazionale. Il sistema educativo imperiale era piuttosto complesso e differenziato, poiché destinato ad una molteplicità d’etnie racchiuse in un medesimo stato. Semplificando per brevità, si può presentare la seguente distinzione per la città di Trieste nel periodo in esame: esistevano le scuole primarie in cui l’insegnamento era tenuto nella lingua familiare (la lingua paterna ovvero materna) o meglio nella cosiddetta lingua d’uso adoperata abitualmente dagli studenti, ma che prevedevano comunque l’obbligo del tedesco come seconda lingua; esistevano poi scuole secondarie, che a Trieste avevano come lingua d’insegnamento o quella adoperata dalla maggioranza della popolazione e dal ceto colto e degli affari (l’italiano) oppure la lingua ufficiale ed amministrativa dell’impero (il tedesco). La complessità era accresciuta dall’esistenza di scuole statali e comunali, d’istituti con sezioni parallele con diversa lingua di insegnamento ed ancora dal notevole numero d’ore dedicate in alcuni istituti a determinate lingue (italiano, tedesco, sloveno), ma come materia d’apprendimento anziché quale lingua d’istruzione. <br />
[<small>Un’introduzione al tema nel contesto storico generale, con abbondanti rimandi bibliografici, è costituito da ''La lavagna nera. Le fonti per la storia dell’istruzione nel Friuli - Venezia Giulia'', (atti del convegno Trieste-Udine, 24-25 novembre 1995), Trieste 1996. Un minuzioso ed attento studio sul sistema educativo triestino sotto l’impero austro-ungarico è la tesi di dottorato di Vittorio Caporrella, ''Strategie educative dei ceti medi italiani a Trieste tra la fine del XIX sec. e il 1914'', Berlino 2009, che mostra i nessi fra competizione nazionale, politica statale, dinamiche sociali all’interno dell’intricato panorama scolastico dell’epoca, in una dialettica che coinvolgeva una pluralità d’attori. Una sintesi risalente al periodo stesso in questione è invece quella di M. Pasquali, ''Il Comune di Trieste e l’istruzione primaria e popolare'', Trieste 1911. Una testimonianza dell’importanza e dell’attenzione riserbati alla questione scolastica da parte della comunità irredenta italiana è quella di F. Pasini, ''Quando non si poteva parlare'', Trieste 1918</small>].
<br />
Le autorità imperiali cercarono di diffondere il più possibile l’insegnamento in lingua tedesca ed, in parte, anche slovena. Gli stessi libri di testo furono sottoposti a rigide forme di censura, con esiti anche paradossali come, in alcuni casi, lo studio della letteratura italiana su testi tradotti dal tedesco o la proibizione di studiare la stessa storia di Trieste, perché ritenuta "troppo italiana". [<small>Virginio Gayda, ''L'Italia d'oltre confine. Le provincie italiane d'Austria'', Torino 1914, pp. 31-46; Attilio Tamaro, ''Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia'', Roma 1915; Ernesto Sestan, ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, pp. 78-79, 95] La Lega Nazionale italiana ebbe proprio per queste ragioni la promozione d’istituti scolastici ed educativi fra i propri obiettivi principali, per la difesa culturale del gruppo etnico italiano [S. Romano, ''Istituti scolastici ed educativi mantenuti dalla Lega Nazionale nel Trentino, nella Venezia Giulia e nella Dalmazia'', Palermo 1915, A. Fragiacomo, ''La scuola e le lotte nazionali a Trieste e nell’Istria prima della redenzione'', in “Porta orientale”, 29, 1959</small>].
A Trieste, durante manifestazioni a favore della libertà d’insegnamento seguenti una petizione firmata da 5.858 cittadini verso l'Inclito Consiglio della città, richiedente il diritto della lingua italiana nelle scuole statali, tra il 10 e il 12 luglio 1868 scoppiarono scontri e violenze nelle strade principali cittadine con gli sloveni locali arruolati fra i soldati asburgici, che provocarono la morte dello studente Rodolfo Parisi, ucciso con 26 colpi di baionetta e di due operai Francesco Sussa e Niccolò Zecchia [<small>Guerrino Guglielmo Corbanese, ''Il Friuli, Trieste e l'Istria: Tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento'', Del Bianco ed., 1999, p. 10; Luigi Carnovale, ''Why Italy entered into the great war, Italian-American publishing company'', 1917, p. 162</small>]. A testimonianza del carattere acceso assunto dalla questione scolastica, si può ricordare che si ebbero ancora altri violenti scontri per questa ragione. Nel 1913 vi fu un modesto tafferuglio presso la Scuola Superiore di Commercio Pasquale Revoltella fra studenti italiani e slavi, legato ad una questione linguistica. La società universitaria slovena “Balcan” decise d’intervenire, cosicché il 13 marzo del 1913 vi furono altri scontri, però ben altrimenti gravi di quelli avvenuti pochi giorni prima, con una sparatoria ed uno studente italiano morì colpito da una pallottola. [<small>A. M. Vinci, ''Storia dell’Università di Trieste. Mito, progetti, realtà'', Trieste 1997</small>].
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Un altro punto della questione scolastica che provocò duri contrasti fu la richiesta di consentire l’istituzione d’una università in lingua italiana a Trieste. La domanda era stata avanzata sin dal 1848 ed era divenuta più pressante dopo il 1866, giacché gli studenti triestini (ed in generale gli Italiani che erano sudditi di Vienna) vedevano ora frapporsi la frontiera fra loro e l’università italiana di Padova, in cui in precedenza era soliti recarsi a studiare. Lo stato centrale austriaco riconosceva in linea di principio la legittimità della richiesta d’istituire un’università italiana a Trieste, ma negava la concessione sia per il timore di scontentare il gruppo sloveno o di vederlo avanzare una richiesta analoga per sé, sia perché prevedeva che questo centro culturale e di studi avrebbe finito col rafforzare l’irredentismo italiano. [<small>Anche su questo argomento esiste ampia bibliografia, qui citata solo in minima parte per fornire alcune indicazioni bibliografiche. Una sintesi equilibrata della vicenda è data da Angelo Ara, ''La questione dell’Università italiana in Austria'', in «Rassegna storica del Risorgimento» LX, 1973, pp. 52-88, 252-280. Naturalmente, il saggio di A. M. Vinci, ''Storia dell’Università di Trieste. Mito, progetti, realtà'', Trieste 1997. Sulla diaspora di studenti italiani nelle università austriache, Stefano Malfèr, ''Studenti italiani a Vienna, Graz e Innsbruck, 1848-1918'', in «Il Politico», L, n. 3, 1985, pp. 493-508. Una testimonianza diretta dell’epoca, utile per comprendere il punto di vista dei sostenitori dell’università italiana, è ancora quella di Ferdinando Pasini, ''L’Università italiana a Trieste'', Firenze 1910</small>].
 
 
 
QUESTIONE LAVORATIVA
Il grande centro urbano, industriale e commerciale di Trieste attirava un intenso movimento migratorio dalle regioni vicine, sia dell’impero, sia dello stato italiano. Giungevano così nella città triestina immigrati di molte nazionalità, fra cui principalmente Italiani e Slavi del sud. Sorsero all'epoca forti timori nella comunità italiana riguardo all'eventualità che l'impero favorisse l'immigrazione slava a Trieste ed al contempo sfavorisse quella italiana.
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Tuttavia il movimento migratorio slavo in direzione di Trieste era determinato anzitutto da ragioni socioeconomiche, poiché dovuto “fondamentalmente a motivi di carattere economico e alla forza di attrazione esercitata sul circondario dalla città in espansione”. Gli Sloveni trovavano con più facilità lavoro in impieghi pubblici in una zona mistilingue per ragioni d’ordine linguistico ed inoltre erano sovente bene accolti dai datori di lavoro italiani in settori che andavano da quello industriale al lavoro domestico. [<small>Angelo Ara, ''Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa'', con prefazione di Claudio Magris, Milano 2009, p. 375</small>]. Il Sestan puntualizza che la diffidenza delle autorità imperiali verso gli immigrati Italiani era dovuta al fatto che questi erano cittadini d’uno stato straniero. [<small>Ernesto Sestan, ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, p. 93</small>].
Si deve però aggiungere, come riconosce Angelo Ara, che “senz’altro esisteva un interesse imperiale a rafforzare la componente slavo-meridionale, ritenuta più leale e «centripeta» di quella italiana”: questo atteggiamento fu, ad esempio, riconosciuto dallo stesso governatore Hohenlohe in un suo documento ufficiale. [<small>Angelo Ara, ''Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa'', con prefazione di Claudio Magris, Milano 2009, pp. 306-307</small>]. Anche il Sestan fa notare dal canto suo come le autorità austriache favorissero l’immigrazione slava dalle regioni contadine della Slovenia e della Croazia ed al contempo ostacolassero il movimento migratorio d’Italiani provenienti dal regno. [<small>Ernesto Sestan, V''enezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, p. 93</small>]. Per portare un esempio specifico, la Luogotenenza imperiale cercò d'inserire nell'elenco degli scaricatori del porto di Trieste degli sloveni residenti in altri Comuni del Carso e della Carniola. [<small>Virginio Gayda, ''L'Italia d'oltre confine'', Torino 1914, pp. 93 sgg.; Attilio Tamaro, ''Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia'', Roma 1915. L'aneddoto riguardante gli scaricatori di porto è riferito da M. Dassovich, ''Trieste e l'Austria fra retaggio e mito'', Trieste 1983, p. 181.</small>] Le autorità imperiali si mostravano diffidenti nei confronti degli immigrati regnicoli e ricorrevano con facilità a misure d’espulsione nei loro confronti: «la cittadinanza del regno d’Italia […] era motivo sufficiente perché le autorità austriache facessero il viso dell’arme e quando credessero opportuno, intervenissero con provvedimenti di sfratto forzoso, con i più futili pretesti; 35 mila circa sarebbero state queste espulsioni di italiani regnicoli nel decennio dal 1903 al 1913, fino cioè ai famosi decreti del luogotenente di Trieste principe Corrado di Hohenlohe». [<small>Ernesto Sestan, ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, p. 93</small>] Questo contribuì ad esasperare gli animi fra i diversi gruppi etnici. Nel 1913, dopo un altro decreto del principe Hohenlohe che prevedeva espulsioni d'italiani, i nazionalisti slavi suoi sostenitori tennero un pubblico comizio contro l'Italia, per poi svolgere una manifestazione al grido di “Viva Hohenlohe! Abbasso l'Italia!”, tentando poi di assaltare lo stesso Consolato italiano. [<small>Attilio Tamaro, ''Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia'', Roma 1915</small>].
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Il più rapido accrescersi della componente slava a Trieste ad inizio del secolo XX era quindi dovuto sia a ragioni socioeconomiche, sia alla politica dell’impero e di Hohenlohe (simpatizzante per le posizioni trialistiche di cui sopra si è detto),. La conseguenza comunque era che la città triestina vedeva così erodere la propria italianità dal movimento d’immigrazione slavo, senza poter da sola crescere demograficamente in modo corrispettivo. [<small>Ernesto Sestan, ''Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale'', Udine 1997, p. 93</small>]. I timori della comunità italiana di Trieste erano ad inizio Novecento accresciuti dalla conoscenza di quanto era avvenuto in Dalmazia, con “il calo dell'italianità dalmata” che è “percepito drammaticamente dagli altri adriatici e soprattutto dai triestini, che lo attribuiscono all'aggressivo espansionismo slavo-meridionale e all'intervento governativo”, cosicché vedono nella situazione della Dalmazia "quasi l'anticipazione di quello che in futuro avrebbe potuto verificarsi a Trieste”. [<small>Angelo Ara, ''Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa'', con prefazione di Claudio Magris, Milano 2009, p. 375</small>].--[[Utente:Rinascimento|Rinascimento]] ([[Discussioni utente:Rinascimento|msg]]) 20:31, 20 set 2013 (CEST)
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