Anastilosi: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 5:
Questa tecnica è particolarmente utilizzata nei siti archeologici per ricostruire degli edifici distrutti o parti strutturali di essi, come ad esempio le colonne, delle quali è stato possibile rinvenire una quantità sufficiente di resti. Molto spesso, infatti, i resti dei templi che oggi è possibile vedere nei più famosi siti archeologici, sono frutto di ricostruzioni per anastilosi.
 
In base alle raccomandazioni dettate dalla [[Carta del Restauro di Atene]] del [[1931]] (art. 4), l'anastilosi è considerata una tecnica di [[Ricostruzione (architettura)|ricostruzione]] auspicabile ogni volta che le condizioni lo consentano, e l'unica scientificamente accettabile<ref name="R. Colombi"/>: la posizione è ribadita dalla [[Carta di Venezia]] del 1964, che definisce l'anastilosi come la "ricomposizione di esistenti parti smembrate con l'aggiunta eventuale di quegli elementi neutri che rappresentino il minimo necessario per integrare la linea e assicurare le condizioni di conservazione" e la qualifica come l'unica scientificamente accettabile accettabile: ogni integrazione che dovessero rendersi necessaria deve risulti distinguibile dalle parti antiche, al fine di non offuscare la leggibilità<ref name="R. Colombi">Rossella Colombi, [http://www.treccani.it/enciclopedia/restauro-e-conservazione-la-legislazione-e-la-tutela_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/ «Le risoluzioni internazionali sui beni archeologici. carte e convenzioni di interesse generale»], in AA.VV., «Restauro e conservazione. La legislazione e la tutela»], ''Il Mondo dell'Archeologia'' (2002)</ref>.
 
== Esempi e problematicità ==