Processo alla città: differenze tra le versioni

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L’indagine arriva ad una svolta inaspettata quando casualmente Spicacci e Perrone arrestano un piccolo malvivente, Luigi Esposito, e si accorgono che egli si trovava nella località in cui è avvenuto il delitto. Le rivelazioni di costui, che spera in tal modo di poter ottenere il visto per [[Emigrazione italiana|emigrare]] in America con la moglie Nunziatina , portano al progressivo coinvolgimento di sempre più persone, sino alla scoperta di una casa di appuntamenti di lusso, che risulta essere stata, di fatto, di proprietà degli apparentemente irreprensibili coniugi Ruotolo.
 
[[File:Zampa luigi 1.jpg|thumb|left|180pxupright=0.8|Il regista Luigi Zampa sul set.]]In questo [[Casa di tolleranza|bordello]] lavora Liliana Ferrari, una prostituta amica di un [[Camorra|camorrista]], che ammette di aver partecipato ad un pranzo a [[Pozzuoli]] nel giorno dell’omicidio. I due inquirenti ricostruiscono questo pranzo, convocando tutte le persone che vi avevano partecipato e, seppur tra mille reticenze , appurano che si è trattato in realtà di una riunione di capi della camorra nella quale è stata decisa l’uccisione di Ruotolo, accusato di tradimento per aver inviato alle Autorità delle lettere anonime con le quali voleva eliminare un concorrente in affari, anche lui della camorra. Poi era stata uccisa anche la moglie.
 
Quando l’indagine arriva a coinvolgere persone sempre più in vista della città, il giudice Spicacci si trova a fronteggiare le crescenti proteste della “Napoli bene”, che provocano contro di lui una campagna stampa e dure accuse a livello [[Interrogazione parlamentare|parlamentare]]. Le cose per lui si aggravano quando fa arrestare il cognato, un medico che procurava [[Aborto|aborti clandestini]]. A quel punto la moglie, stanca del clima di ostilità che si è formato attorno alla famiglia, fa allontanare le figlie e pensa di lasciarlo. Nel frattempo la camorra fa uccidere un contabile che conosceva tutti i segreti finanziari dell’organizzazione ed aveva minacciato di rivelarli.
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Nonostante l’argomento delicato il film non ebbe eccessivi problemi con la [[Censura cinematografica|censura]], a quel tempo molto rigida<ref>Infatti il successivo film di Zampa, ''"[[Anni facili]]"'' dovette subire tre bocciature e revisioni prima di poter essere realizzato e distribuito.</ref>, che, anzi, pur avanzando qualche rilievo sulla figura del Delegato di P.S. con la richiesta di moderare la violenza del suo agire<ref>Notizie tratte dal citato libro “Ridere civilmente” . vedasi bibliografia – pagina 54 e segg.</ref>, espresse complimenti al film per la «intelligenza ed abilità tecnica degli autori della sceneggiatura», giudicando il film «opera artisticamente notevole<ref>Anche la severa critica di matrice cattolica, rappresentata dal Centro Cattolico Cinematografico, lo ritenne «un lavoro nobile, misurato e coraggioso, benché inadatto ai giovani per l’indole dell’argomento», secondo quanto riportato da Livio Fantina nella “Storia del Cinema Italiano” – vedasi bibliografia. Giudizio che secondo Brunetta - vedasi bibliografia, pag. 276 - è anche da attribuire alla presenza tra gli [[Sceneggiatura|sceneggiatori]] del cattolico [[Diego Fabbri]], una «presenza ricercata, tanto da risultare pressoché indispensabile per le garanzie ideologiche offerte alla produzione dalla sua presenza».</ref>.
[[File:Stoppa+Nazzari proc città.jpg|thumb|260pxupright=1.2|Paolo Stoppa (il delegato di Polizia Perrone), ed Amedeo Nazzari (il giudice Spicacci) in una scena di "Processo alla città".]][[File:Processo città scena corale.jpg|thumb|260pxupright=1.2|La scena corale di "Processo alla città" in cui viene rievocato il pranzo dei camorristi.]]
=== Presentazione e riconoscimenti ===
“Processo alla città” fu presentato in prima mondiale la sera del 14 luglio 1952, quale opera di chiusura del Festival cinematografico di [[Locarno]], con la presenza del regista e dell’interprete femminile Silvana Pampanini. ricevendo, secondo le cronache del tempo, molti applausi. Di «caldo successo di un film italiano degno della più autentica considerazione» parlò il corrispondente de ''"La (nuova) Stampa"''<ref>Servizio di P.G.C. [Piero Gadda Conti] apparso sul numero del 16 luglio, consultato presso l’archivio on line del quotidiano.</ref>, mentre il critico Guido Aristarco<ref>Il suo articolo sul Festival di Locarno è pubblicato sul numero 90 della rivista ''"Cinema"'', citato in bibliografia</ref>, solitamente poco favorevole alle pellicole di Zampa, scrisse che «questa opera, diretta con cura ed attenzione, ci spinge a rivedere, in un certo senso, la posizione che prendemmo in passato nei confronti di questo regista».
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=== La critica contemporanea ===
“Processo alla città” fu ben accolto dalla critica, anche da quella che non aveva apprezzato precedenti opere di Zampa. Come già ricordato, la visione del film a Locarno indusse il severo Guido Aristarco a rivedere precedenti valutazioni sul regista, tanto da ritenere<ref>Giudizio apparso sul n° 90 della rivista ''"Cinema"'', citato in bibliografia.</ref> questa «forse la migliore opera di Luigi Zampa [che] riesce a realizzare un’opera ricca di interessi umani, a suggerire alcuni personaggi, ad offrire una Napoli primo Novecento attendibile, e sequenze di effetto non del tutto esteriore….».
[[File:Lotti Mariella.jpg|thumb|left|140pxupright=0.6|]][[File:Galter Irene.jpg|thumb|left|140pxupright=0.6|Due interpreti femminili del film: sopra, Mariella Lotti, che impersona Elena, la moglie del giudice Spicacci. Qui sotto Irene Galter, che interpreta Nunziatina, il cui marito Luigi Esposito muore proprio mentre stanno per partire per l'America.]]
Giudizio condiviso sia dal ''"Corriere della Sera"'', che parlò<ref>Recensione pubblicata sul numero del 6 settembre 1952 a firma Lan [Arturo Lanocita] consultato presso archivi bibliotecari</ref> di una «realizzazione pittoresca e scorrevole tale da far sì che l’interesse del film, spesso a carattere dialettale, non diminuisca un solo momento», sia da ''"La (nuova) Stampa"''<ref>Recensione non firmata apparsa sul numero del 7 settembre 1952, consultato presso l’archivio on line del quotidiano.</ref>, che descrisse “Processo alla città” come un «film complesso e difficile che richiedeva nel regista una sensibilità davvero fuori dal consueto. Zampa si è impegnato a fondo nell’impresa offrendoci quello che può essere considerato il maggior successo della sua carriera: un’opera sobriamente impostata, degna e nobile sempre, anche se non sempre persuasiva. Nessun eccesso e pochissimi compiacimenti indicano che il regista (e con lui gli attori) ha lavorato con la massima onestà [anche se] il problema umano e sociale della “camorra” resta nel vago e non sempre si fa luce dove sarebbe necessario».