Comunicazione letteraria nell'antica Roma: differenze tra le versioni
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==Il pubblico letterario==
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{{Vedi anche|Letteratura latina|Storia della letteratura latina}}
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==Le letture pubbliche==
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Ai poeti che esordivano nella letteratura e ai letterati poveri non rimaneva che utilizzare la lettura pubblica per farsi conoscere dal grande pubblico. D'altra parte questo era uno strumento per il potere politico per controllare in maniera discreta quella produzione letteraria ritenuta pericolosa per il [[regime (politica)|regime]] e diffondere invece le opere che esaltassero il principe.
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==La ''recitatio''==
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Di solito le [[recitazione|recitazioni]] riguardavano poesie lette dallo stesso autore a cui assisteva un pubblico che si presume variamente interessato; [[Orazio]]<ref>ORAZIO, ''Sat.'' I 4, 23 e 73 ss.</ref> e [[Marziale]]<ref>MARZIALE, ''Epist.'' I 19, 37 ss</ref> ci testimoniano altresì che questo spettacolo di letture nelle strade ad ogni ora del giorno e in qualunque stagione o in appositi locali causava alcune volte la reazione del pubblico che dava segni di noia dedicandosi a discorrere con il vicino dei fatti propri o d'insofferenza, lasciando di nascosto la ''recitatio'' o abbandonandosi a un sonno ristoratore. Racconta Plinio il Giovane che una volta tra il pubblico era presente un famoso giurista, Javoleno Prisco a cui, essendo il personaggio più importante presente, l'autore prima di iniziare la lettura, secondo l'[[Galateo (costume)|etichetta]] stabilita, si era rivolto con la frase di rito: «Prisce, iubes?» («Prisco, comandi che inizi?»); al che l'interpellato, probabilmente colto di sorpresa mentre pensava a tutt'altro, rispose: «Ego vero non iubeo» («Ma no, non comando niente») suscitando le risa del pubblico mentre l'autore rimaneva interdetto con il suo volumen tra le mani.<ref>PLINIO IL GIOVANE, VI, 25</ref>
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