Le metamorfosi (Ovidio): differenze tra le versioni

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*'''Achille''': Ovidio non vuole mettersi sullo stesso piano di [[Omero]] e dedica ad [[Achille]] due episodi che nell'[[Iliade]] non vengono descritti: il duello con [[Cicno (Poseidone)|Cicno]] e la morte dell'eroe stesso. Cicno, figlio di [[Nettuno (divinità)|Nettuno]], era invulnerabile al ferro. Quando Achille si abbatte su di lui, si infuria non riuscendo a comprendere il motivo per cui non riesca a infliggere nessun danno all'avversario. Riesce a sconfiggerlo solo strozzandolo con il laccino dell'elmo. Il padre Nettuno, impietosito, lo trasforma in un cigno. Come nel caso del primo combattimento di [[Ercole]] presentato nelle ''Metamorfosi'' (quello con [[Nesso (mitologia)|Nesso]]), il primo duello di Achille è legato alla sua morte. È infatti proprio Nettuno a muoversi ricordando tra le tante atrocità commesse dall'eroe greche anche l'uccisione del figlio Cicno. Chiede che sia [[Apollo]] ad occuparsi della sua morte, e quello a sua volta indirizza l'arco di [[Paride]] proprio contro Achille uccidendolo. L'eroe greco ricompare un'altra altre volta all'interno del poema: la prima volta risorge dagli Inferi e ordina agli amici achei imbarcati per tornare in patria dopo la vittoria a Troia di sacrificare per lui [[Polissena]] l'ultima e la più giovane discendente di [[Priamo]]. Infine di Achille si parla nuovamente in occasione della contesa della propria armatura e per l'uccisione di [[Memnone (mitologia)|Memnone]], figlio dell'[[Aurora (mitologia)|Aurora]].
*'''Ulisse''': di [[Ulisse]] si parla direttamente solo nell'episodio della contesa dell'armatura di [[Achille]] con [[Aiace Telamonio|Aiace]]. Aiace voleva riscattare l'armatura per sé, dicendo che sarebbe servita molto di più ad un uomo come lui che sapeva combattere piuttosto che un uomo come Ulisse che sapeva usar bene solo la lingua e l'intelligenza per sopravvivere. Ulisse a sua volta, in un discorso retoricamente perfetto ricostruito per intero da Ovidio, riesce a far passare Aiace come un uomo di soli muscoli e di poco cervello e a darsi i meriti di gran parte dei successi avuti durante la guerra. La contesa sarà quindi vinta da Ulisse e Aiace non sopportando l'offesa ricevuta si toglierà la vita. È [[Macareo|Macarèo]], un naufrago dell'equipaggio di Ulisse dimenticato nel [[Lazio]], a raccontare velocemente ad [[Enea]] tutte le peripezie dell'eroe greco, soffermandosi in particolare sulle metamorfosi subite dai suoi compagni nell'isola di [[Circe]].
 
====Enea e gli eroi romani====
 
*'''Enea''': come nel caso degli eroi omerici, Ovidio non vuole metterersi sullo stesso piano di [[Omero]] né tanto meno di [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]]. Così anche nel caso di [[Enea]] accenna soltanto alle sue avventure più importanti. È la deficazione dell'eroe troiano che interessa al poeta.
{{citazione|E ormai la grandezza di Enea aveva costretto gli dèi tutti e la stessa Giunone a lasciare gli antichi rancori. Impostata su salde basi la potenza del crescente Iulo, l'eroe era maturo per il cielo, e Venere, la dea di Citèra, aveva sollecitato l'approvazione degli altri dèi […] e trasportata per l'aria leggera da colombe aggiogate scende sulla costa laurentina, dove nascosto da canneti il Numicio serpeggia e sfocia con le sue acque di fiume nel vicino mare. Al Numicio essa ordina di lavar via e di portare con la sua taciturna corrente negli abissi del mare tutto ciò che di Enea è soggetto alla morte. Il fiume bicorne esegue l'ordine di Venere, e con le sue acque deterge Enea di tutta la sua parte mortale, lasciando solo la parte più buona. La madre unse con divino unguento il corpo purificato, sfiorò la bocca con ambrosia mista a dolce nèttare, e fece di Enea un dio. Un dio che il popolo dei Quiriti chiama Indigete e onora con un tempio e con altari.
|Ovidio, ''Metamorfosi'', XIV.581-608|it}}
*'''Romolo''': ancora una volta come nel caso ormai di molti altri eroi delle ''Metamorfosi'', Ovidio elenca abbastanza velocemente le imprese del primo re di [[Roma]]. È la sua divinizzazione ad essere descritta con maggiore attenzione, questa volta per opera di [[Marte (divinità)|Marte]] che ne chiede il permesso a [[Giove (divinità)|Giove]]:
{{citazione|L'onnipotente annuì, nascose il cielo con nuvole buie e atterrì il mondo con tuoni e folgori. Marte Gradivo capì che quei segni autorizzavano il rapimento promesso, e appoggiandosi alla lancia salì sul suo carro, incitò con la frusta gli impavidi cavalli premuti dal giogo cruento, e calatosi giù per l'aria a precipizio si fermò sulla cima del Palatino boscoso e rapì il figlio di Ilia che governava, ormai da re, sui suoi Quiriti. Il corpo mortale di Romolo si dissolve passando per l'aria leggera, come la pallottola di piombo scagliata dalla grossa fionda si strugge nella sua corsa per il cielo. Una nuova bellezza subentra, più degna per assidersi sui cuscini divini; la figura: è Quirino avvolto nel suo manto.
|Ovidio, ''Metamorfosi'', XIV.816-28|it}}
*'''Cipo''': [[Cipo]] era un pretore romano che mentre si specchiava su di un fiume si accorse di avere due corna in testa. Chiestane la spiegazione a un indovino, gli venne riferito che quelle corna erano un simbolo di potere e se soltanto ne avesse volontà sarebbe potuto entrare a Roma e coronarsi re fintanto che fosse restato in vita. Cipo però rifiutò pubblicamente di entrare a Roma, negando di volersi fare re. Come segno di riconoscimento per tale scelta, il popolo romano regalò a Cipo un enorme territorio fuori dalle mura e per ricordarlo in eterno furno scolpite sulle porte di bronzo della città corna uguali alle sue.
*[[Esculapio]]: [[Esculapio]] o Asclepio è il figlio di [[Apollo]] e di [[Coronide|Corònide]] che, esperto nella medicina, dopo essere stato fulminato per aver ridato vita a [[Ippolito (mitologia)|Ippolito]], rinvivisce e diviene immorale, dio della medicina. Il popolo romano, devastato da una peste che sta infestando la città, decide di consultare l'[[oracolo di Delfi]] per supplicare Apollo di aiutarli. Apollo però dice loro che solo suo figlio Esculapio potrò salvarli e che dovranno cercarlo in una città più vicina a Roma di quanto non sia Delfi: [[Epidauro]]. Esculapio, in forma di serpente, parte da Epidauro e arriva a Roma insediandosi nell'[[isola Tiberina]] e guarendo così il popolo romano dalla peste.
* '''Giulio Cesare''' e '''Ottaviano''': con [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] si concludono le divinizzazioni dei mortali e degli eroi. Anche in questo caso Ovidio si sofferma poco a raccontare le imprese gloriose del generale romano. Più importanza viene data alla congiura e alla sua morte. È ancora una volta [[Venere (divinità)|Venere]], la madre di [[Enea]] da cui Cesare discende, a fare del generale romano un dio. La metamorfosi in questo caso consiste in un cateterismo.
{{citazione|[...]la grande Venere, invisibile, si ferma in mezzo alla sede del Senato e sottrae dal corpo del suo Cesare l'anima non ancora liberatasi, e non permette che essa si dissolva nell'aria e la porta su tra gli astri del cielo. E mentre la porta, si accorge che diventa luminosa e s'infuoca, e la lascia andare dal proprio seno. Quella volta più in alto della luna e trascinandosi dietro per lungo spazio una coda fiammeggiante, brilla, ormai stella.
|Ovidio, ''Metamorfosi'', XV.843-50|it}}
Ma come comprendiamo seguitando nella lettura, anche [[Ottaviano Augusto|Augusto]] seguirà il destino del padre,
{{citazione|e vedendo quaggiù le meritevoli opere del figlio riconosce che sono più grandi delle sue [di Cesare], e gode che il figlio sia superiore. Questi proibisce che si considerino le sue azioni superiori a quelle del padre. Ma la Fama, che è libera e non accetta ordini da nessuno, benchè egli non voglia, afferma che lui è migliore, e in questo solo lo contraddice. Così Atreo cede ai titoli del grande Agamennone, così Teseo vince Egeo e Achille vince Peleo. E insomma, per usare esempi ancor più degni, così anche Saturno è meno grande di Giove. Giove governa la città celeste e controlla anche gli altri due regni del mondo triforme; la terra è sotto Augusto. Entrambi sono padri e guide. O dèi […], vi supplico: tardi giunga, tardi, dopo la fine della mia esistenza, il giorno in cui l'Augusto, lasciato il mondo che ora governa, salirà al cielo e di lassù, non più presente esaudirà le preghiere che gli verranno rivolte.
|Ovidio, ''Metamorfosi'', XV.850-70|it}}
 
==La questione del genere==