Processo a Galileo Galilei: differenze tra le versioni

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Il 25 febbraio [[1616]] il cardinale Millini riferisce alla Congregazione della censura delle due proposizioni; il [[papa Paolo V]] ordina al cardinale Bellarmino di ammonire Galileo, in presenza di un Padre commissario, ad abbandonare le due proposizioni e a non insegnarle, difenderle o trattarle, pena il carcere: «non doctrinam et opinionem docere aut defendere, seu de ea tractare; si vero non acquieverit, carceretur».
 
Il 3 marzo, alla Congregazione del Sant'Uffizio riunita alla presenza di [[papa Paolo V]], il Bellarmino legge la relazione nella quale si dà atto che Galilei, ammonito ad abbandonare la tesi che «sol sit centrum spherarum et immobilis, terra autem mobilis», acconsentì; si stabilisce di sospendere la pubblicazione del ''De Revolutionibus'' di Copernico e dell' ''In Job'' di [[Didaco Stunica]], finché non saranno da quei libri censurati alcuni passi («suspendendos esse, donec corrigantur»), mentre l'opera del Foscarini è condannata («omnino prohibendum atque damnandum»).
 
Il 5 marzo la Congregazione dell'Indice pubblica il relativo decreto, dichiarando la teoria copernicana del tutto contraria alle Sacre Scritture («divinae Scripturae omnino adversantem») ma non fa parola dell'eresia della stessa, pur dichiarata «formaliter haereticam», il 24 febbraio, dai teologi del Sant'Uffizio.
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In esse, l'Ingoli si pose il problema di conciliare l'utilità (''pro utilitate Reipublicae Christianae'') del testo copernicano con il suo palese contrasto con le Scritture; per evitarne la distruzione occorre leggerlo come se sia unicamente un'ipotesi astronomica, anche se in sé non lo è (''si loca Copernici de motu Terrae non hypothetica, fiant hypothetica'').
 
Il 13 ottobre 1618 presentava le sue ''Replicationes'' alle contestazioni di [[Johannes Keplero|Keplero]] alla sua ''Disputatio''; il 21 febbraio [[1619]] concludeva il ''De cometa anni 1618 tractatus'' e il successivo 28 febbraio presentava una relazione critica sull' ''Epitome astronomiae Copernicanae'' di Keplero, in seguito alla quale la Congregazione dell'Indice proibiva il libro dell'astronomo tedesco; nel [[1622]] fu nominato primo segretario della neo-costituita [[Propaganda Fide|Congregazione della Propaganda Fide]].
 
Galilei - data la situazione di estrema delicatezza in cui si era venuto a trovare - non risponderà alla ''Disputatio'' dell'Ingoli, se non nel [[1624]], come non risponderà direttamente - lasciando l'onere al discepolo [[Mario Giudici]], ma certo intervenendo nella stesura - alla ''Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII'', pubblicata nel marzo [[1619]], a seguito della comparsa, alla fine del novembre 1618 di una grande cometa, oggi denominata dagli astronomi ''1618 II'', preceduta da altre due comete, meno visibili - del gesuita, matematico e architetto [[Orazio Grassi]] che, anch'egli sulla base del modello geocentrico di [[Tycho Brahe]] e in effetti abbandonando ormai il vecchio modello tolemaico, di cui comprendeva l'inadeguatezza, rilevava la difficoltà del modello eliocentrico copernicano di giustificare il moto delle comete.
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[[File:Frontpage of Dialogo di Galileo Galilei Linceo.png|thumb|left|Il Dialogo sopra i due Massimi Sistemi]]
Risponde Galileo di non ricordare che nella dichiarazione del Bellarmino vi fossero le parole ''quovis modo'' (in qualsiasi modo) e ''nec docere'' (non insegnare). Galileo, rispondendo di non ricordare, commise anche l'errore di menzionare la parola ''precetto'', sostenendo di «non aver in modo alcuno contravenuto a quel precetto». L'inquisitore, verbalizzando, diede per avvenuta l'intimazione del presunto precetto. Dopo aver risposto sulle vicende dell' ''imprimatur'' al suo ''Dialogo'', sostiene di non avervi «né tenuta né diffesa l'opinione della mobilità della Terra e della stabilità del Sole; anzi nel detto libro io mostro il contrario di detta opinione del Copernico, e che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti». Con questa disperata difesa si chiude il primo interrogatorio.
 
I documenti ufficiali venivano sempre scritti sulla prima pagina, ossia sul ''recto'' di ogni foglio, lasciando in bianco il verso dello stesso foglio per evitare probabilmente che l'inchiostro, che eventualmente trapassasse la pagina, danneggiasse uno scritto importante nella pagina successiva; tutte le pagine sono numerate e in ordine cronologico e nel verso di un foglio figurano a volte note o copie di ordinanze, ma mai un documento ufficiale, che inizia sempre e solo nel recto di ogni foglio, proseguendo nel recto del foglio successivo, con una sola eccezione: il «precetto» a Galileo, che non risulta peraltro né timbrato, né firmato da Galileo, né dal notificante né da alcun testimone.
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Questo precetto fondamentale - ingiunzione al rispetto di un ordine la cui violazione avrebbe comportato una pena immediata - nel registro del dossier Galileo è annotato su uno spazio trovato casualmente disponibile, ossia nel ''verso'' di due fogli relativi ad altri due documenti: in questo modo ha tutta l'apparenza di una trascrizione di un documento di cui, se mai esistette, non c'è più traccia, seppure non si tratti di un falso.
 
Non ve n'è traccia, né nel verbale successivo della Congregazione del Sant'Uffizio, del 3 marzo 1616, che cita solo un' ''ammonizione'' fatta a Galileo dal Bellarmino nella sua casa - ossia un avvertimento che non ha nulla a che fare con un precetto - alla quale Galileo aveva subito acconsentito, né nella nota lettera del Bellarmino a Galileo del 26 maggio successivo. Nessun protagonista di quell'anno è ancora in vita a rendere testimonianza di quei fatti e gli attuali inquisitori considerano quell'ammonizione un'autentica ingiunzione; quel testo scritto, che essi leggono a Galileo, a lui risulta non corrispondere esattamente all'ammonizione verbale che il Bellarmino gli fece nell'ormai lontano 26 febbraio 1616.
 
=== Altri interrogatori ===