Processo alla città: differenze tra le versioni
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Il [[Soggetto (cinema)|soggetto]] del film fu elaborato su iniziativa di Francesco Rosi. Egli stesso racconta<ref>La sua testimonianza è stata ripresa, da ultimo, in “Ridere civilmente” – vedasi bibliografia – pagg.245 e segg.</ref>: «Trovai su una bancarella due libri, introvabili, sul [[processo Cuocolo]]. Era un’idea che già circolava nel cinema (…) Per nessun intellettuale napoletano era un fatto sconosciuto. Su quel materiale cominciammo a scrivere, io e Giannini. [Il film] lo doveva fare Giannini, poi, non so perché, ho saputo che l’avrebbe fatto Zampa». «Mi diedero da leggere queste pagine – raccontò il regista<ref>Ancora in “Ridere civilmente” – citato in bibliografia.</ref> - le approvai ed accettati di far il film per la “Film Costellazione"».
Zampa, in una dichiarazione rilasciata in occasione del [[Festival del film Locarno|Festival di Locarno]] del 1952<ref>Dichiarazione ripresa in un articolo del critico [[Guido Aristarco]] ed apparsa sul numero 90 della rivista ''"Cinema"'' – vedasi bibliografia</ref>, descrive l’opera come «la storia di una istruttoria giudiziaria, che presenta la visione di un ampio retroscena umano e sociale. Per quanto l’azione sia fissata in una determinata epoca – i primi anni del ‘900 – lo sviluppo della vicenda coglie situazioni e condizioni tutt’altro che sorpassate».
=== La produzione ===
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=== La critica contemporanea ===
“Processo alla città” fu ben accolto dalla critica, anche da quella che non aveva apprezzato precedenti opere di Zampa. Come già ricordato, la visione del film a Locarno indusse il severo Guido Aristarco a rivedere precedenti valutazioni sul regista, tanto da ritenere<ref>Giudizio apparso sul n° 90 della rivista ''"Cinema"'', citato in bibliografia.</ref> questa «forse la migliore opera di Luigi Zampa [che] riesce a realizzare un’opera ricca di interessi umani, a suggerire alcuni personaggi, ad offrire una Napoli primo Novecento attendibile, e sequenze di effetto non del tutto esteriore….».
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Giudizio condiviso sia dal ''"Corriere della Sera"'', che parlò<ref>Recensione pubblicata sul numero del 6 settembre 1952 a firma Lan [Arturo Lanocita] consultato presso archivi bibliotecari</ref> di una «realizzazione pittoresca e scorrevole tale da far sì che l’interesse del film, spesso a carattere dialettale, non diminuisca un solo momento», sia da ''"La (nuova) Stampa"''<ref>Recensione non firmata apparsa sul numero del 7 settembre 1952, consultato presso l’archivio on line del quotidiano.</ref>, che descrisse “Processo alla città” come un «film complesso e difficile che richiedeva nel regista una sensibilità davvero fuori dal consueto. Zampa si è impegnato a fondo nell’impresa offrendoci quello che può essere considerato il maggior successo della sua carriera: un’opera sobriamente impostata, degna e nobile sempre, anche se non sempre persuasiva. Nessun eccesso e pochissimi compiacimenti indicano che il regista (e con lui gli attori) ha lavorato con la massima onestà [anche se] il problema umano e sociale della “camorra” resta nel vago e non sempre si fa luce dove sarebbe necessario».
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== La realtà storica ==
La vicenda del [[processo Cuocolo]], a cui il film di Zampa si ispirò, si svolse in realtà in maniera alquanto diversa<ref>Lo stesso Zampa, nella dichiarazione apparsa sul numero 90 di ''"Cinema"'' – citato in bibliografia - precisò che «sbaglierebbe chi credesse di trovare in questo film la rievocazione del processo Cuocolo. Quel famoso processo ha fornito lo spunto al soggettista ed agli sceneggiatori per declinare una situazione».</ref>. Tutto era iniziato nel 1906 con l’omicidio di Gennaro Cuocolo e di sua moglie; le indagini che seguirono, condotte, a giudizio di molti in modo irregolare<ref>Secondo Di Fiore – vedasi bibliografia pag 105 - «nel consenso generale, anche non rispettando alcuna garanzia prevista dai codici, dovunque si chiedeva di mettere in carcere i camorristi [e] furono ignorate le continue denunce degli imputati su violazioni ed abusi compiuti nei confronti di testimoni o di prove»</ref>, portarono dopo cinque anni ad un processo, che si tenne a Viterbo, dove, secondo il Barbagallo<ref>Che descrive la vicenda nel suo libro “Storia della Camorra” – vedasi bibliografia – pagg 90 e segg.</ref> «indubbiamente di garanzie liberali non se ne videro».
Gli imputati furono tutti condannati, ma molti giuristi<ref>In particolare tra questi spiccò l’avvocato calabrese Rocco Salomone che, ancora nel 1938, tentò invano di avviare una revisione del processo, come descritto nel volume “Napoli monarchica, milionaria e repubblicana” – vedasi bibliografia – pag.76 e segg.</ref> continuarono ad avanzare dubbi sulla regolarità dell’iter processuale. Nonostante la lunga indagine e voci ricorrenti, non emersero mai concrete prove di collusione tra camorra e mondo politico - istituzionale.
== Note ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{imdb|film|0045054}}
{{Portale|cinema}}
[[Categoria:Film drammatici|Processo alla città]]
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