Decimo Valerio Asiatico: differenze tra le versioni
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Visse a Roma presso una sontuosa residenza ricavata dai [[Horti Lucullani|giardini di Lucullo]], che lui trasforò edificandovi un sontuoso ninfeo. La residenza era così sfarzosa (il monumentale [[ninfeo]] e i giardini erano destinati anche all'uso pubblico) da rivaleggiare con le più grandi strutture dell'[[Urbe]]. Al suo interno vi si trovava anche il [[tempio di Fortuna]], il cui culto era implicitamente associato alla sua persona, ricollegandosi alla [[dinastia giulio-claudia]] (già Tiberio aveva tentato di radicare questo culto, vincolandolo alla tradizione imperiale).
La proprietà di tale residenza, nonché di larghi possedimenti fondiari in [[Italia (provincia romana)|Italia]], Egitto e [[Gallia |Gallia]] testimoniano la sua grande ricchezza.<ref name=P.Lond.III894>[http://www.uni-koeln.de/phil-fak/ifa/zpe/downloads/1989/079pdf/079194.pdf P.J. Sijpesteijn, ''Another οὐσία of D. Valerius Asiaticus in Egypt'',aus: Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 79 (1989) 194–196]</ref> Alcuni papiri, tra cui uno in particolare rinvenuto in [[Egitto (provincia romana)|Egitto]] datato al [[24 gennaio]] [[39]]-[[41]] che riferisce di una sua proprietà a Euhemeria, attestano di sue residenze e terreni (οὐσίαι) in Egitto. <ref>P. Lond. III 894; anche P. Schøyen MS 244/9, P.Mich. inv. 876 v I.13 </ref> Uno dei suoi latifondi in Egitto parrebbe essere stato acquisito, dopo la sua morte, da [[Seneca]].<ref name=P.Schøyen>[http://www.uni-koeln.de/phil-fak/ifa/zpe/downloads/2000/130pdf/130197.pdf Gabriella Messeri, Rosario Pintaudi, ''Proprietà imperiali e tasse di un papito della collezione Schøyen'', aus: Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 130 (2000) 197–200]</ref>
Coinvolto in un intrigo di [[Palazzi imperiali del Palatino|Palazzo]] dietro accusa di [[Messalina]] (che voleva impadronirsi delle sue residenze), fu arrestato dal [[Prefetto del pretorio|prefetto]] [[Rufrio Crispino]] dietro mandato di Claudio a [[Baia]], processato in maniera sommaria e segreta nella camera dell'imperatore e condattato a uccidersi.<ref name=tacxi2/> Le sue accuse, comprendenti quella di essere stato amante di Poppea (madre di [[Poppea Sabina]]), di commettere atti di corruzione di militari e praticare l'[[omosessualità]], furono proncuniate contro di lui da [[Suillio Rufo]]. Costretto a darsi la morte, fedele agli insegnamenti [[Stoicismo|stoici]] preferì tagliarsi le vene, anziché morire di [[inanizione]], pratica più adatta alla sua età avanzata. Il suo corpo fu cremato su una pira, da lui stesso predisposta perchè non danneggiasse le fronde dei pioppi che la circondavano, costruita all'interno del suo ninfeo-teatro (paragonabile alla mole del [[teatro di Pompeo]]). Le sue proprietà vennero quasi del tutto espropriate e finirono nella ''res privata'' dell'imperatore o vennero acquisite da membri della corte imperiale.<ref name=P.Lond.III894 />
La ''[[damnatio memoriae]]'' che colpì Valerio Asiatico dopo la morte si intuisce dalla mancata pronuncia da parte di di Claudio del suo nome, nonostante vi faccia esplicito riferimento, durante il discorso al [[Senato di Roma|Senato]] l'anno dopo in occasione della concessione della cittadinanza alla [[Gallia comata]].<ref>''ILS'', 212; {{CIL|13|1668}}</ref>
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