Jihād: differenze tra le versioni

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In quanto termine istituzionale si raccomanda di conservare il genere maschile, originario arabo ("il" jihād), anche alla luce del suo primario significato letterale di "sforzo" o "impegno". Ciò consentirà inoltre di rendere invece femminile la parola ("la" jihād) quando si voglia parlare di un'organizzazione militante, tradizionalista o terrorista che faccia uso appropriato o strumentale di questo termine, intendendolo chiaramente come "guerra santa".
 
Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché [[Maometto]] si trovava allaa [[La Mecca|Mecca]], il ''jihād'' si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale. In seguito al trasferimento ([[Egira]]) dalla [[La Mecca|Mecca]] a [[Medina]] nel [[622]], e alla fondazione di uno Stato islamico, il [[Corano]] (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il Corano iniziò a incorporare la parola ''qitāl'' (combattimento o stato di [[guerra]]), e due degli ultimi versi rivelati su questo argomento (9:5, 29) suggeriscono, secondo studiosi classici come [[Ibn Kathīr]], una continua guerra di conquista contro i nemici non credenti.<br/>
Tra i seguaci dei [[movimenti liberali islamici|movimenti liberali interni all'Islam]], comunque, il contesto di questi versi è quello di una specifica "guerra in corso" e non una serie di precetti vincolanti per il fedele. <br/>
Questi musulmani liberali tendono a promuovere una comprensione del ''jihād'' che rigetti l'identificazione del ''jihād'' con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto principi di [[non violenza]]. Tali musulmani citano la figura coranica di [[Abele]] a sostegno della credenza per cui chi muore in conseguenza del rifiuto di usare violenza può ottenere perdono dei [[peccato|peccati]]. Questa è comunque un'interpretazione scarsamente diffusa e nettamente minoritaria all'interno del mondo islamico.