Padergnone (Vallelaghi): differenze tra le versioni

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== Storia ==
{{W|Trentino-Alto Adige|dicembre 2014}}
===Segni di Roma===
Segni di Roma<ref>{{cita web |titolo=Storia di Padergnone |editore=Consorzio dei Comuni Trentini |autore=Comune di Padergnone |url=http://www.comune.padergnone.tn.it/Territorio/Informazioni/Storia |accesso=30 dicembre 2014}} Da cui è tratto il testo della sezione.</ref>
Il primo atto amministrativo in grado di coinvolgere delle istituzioni della Conca dei Due Laghi sembra essere quello consumato nel secondo secolo d.C. dal toblinese Druìno, il quale, in qualità di amministratore dei campi dei Toblinati, dovette versare duecento sesterzi al collustrione vezzanese per ottenere l'autorizzazione alla costruzione del tempietto dedicato ai fati e alla fate, di cui parla la lapide murata in Castel Toblino. 
 
Con i suoi tre siti funerari d'epoca romana (quello di Sottovi, della Croce e dei Cantoni) e con l'ospitalità data alle famiglie di coloni romani (i Paterni e i Barbati) ai fini della produzione del vino retico, l'area padergnonese, compresa com'era fra il collustrio vezzanese a nord e il complesso abitativo dei Tublinates a sud, diede il suo specifico contributo alla romanizzazione (molto intensa) della Valle dei Laghi e partecipò alla formazione del pagus tardo-imperiale che la interessava. Quest'ultimo si poneva come intermedio fra il territorio del muncipium Tridenti (eretto nel 46 d.C.) e quello del pagus Nomassi (Lomaso) in Giudicarie. 
Il primo atto amministrativo in grado di coinvolgere delle istituzioni della <em>Conca dei Due Laghi </em>sembra essere quello consumato nel secondo secolo d.C. dal toblinese<em> </em>Druìno, il quale, in qualità di <em>amministratore dei campi dei Toblinati</em>, dovette versare <em>duecento sesterzi </em>al <em>collustrione</em>vezzanese per ottenere l'autorizzazione alla costruzione del <em>tempietto dedicato ai fati e alla fate</em>, di cui parla la lapide murata in Castel Toblino. 
 
I pagi, naturalmente, erano tenuti (alla lontana) a rispettare le leggi romane, ma a livello locale ubbidivano, coll'andare del tempo, alle disposizioni dei magistri pagorum e dei curatores pagi, che si servivano delle cosiddette leges paganae (antenate dei futuri statuti comunali) ed erano dotati di tutte le competenze riguardanti la gestione del culto e di ciò che allora costituiva i pubblici servizi. Già in età augustea il municipium trentino, con confine al Gaidoss, venne assegnato alla tribù Papiria, ma il territorio fu attribuito alla tribù Fabia, appartenente al municipium di Brescia. Le terre attualmente trentine costituivano l'ultima propaggine settentrionale della X Regio Italica. Più oltre si profilavano le aree provinciali della Raetia e della Vindelicia. 
Con i suoi tre siti funerari d'epoca romana (quello di <em>Sottovi</em>, della <em>Croce </em>e dei <em>Cantoni</em>) e con l'ospitalità data alle famiglie di <em>coloni </em>romani (i<em>Paterni </em>e i <em>Barbati</em>) ai fini della produzione del <em>vino retico</em>, l'area padergnonese, compresa com'era fra il <em>collustrio </em>vezzanese a nord e il complesso abitativo dei <em>Tublinates </em>a
sud, diede il suo specifico contributo alla romanizzazione (molto
intensa) della Valle dei Laghi e partecipò alla formazione del <em>pagus </em>tardoimperiale che la interessava. Quest' ultimo si poneva come intermedio fra il territorio del <em>muncipium Tridenti</em> (eretto nel 46 d.C.) e quello del <em>pagus Nomassi </em>[Lomaso]<em> </em>in Giudicarie. 
 
===Verso la rarefazione istituzionale===
I <em>pagi</em>,
naturalmente, erano tenuti (alla lontana) a rispettare le leggi romane,
ma a livello locale ubbidivano, coll'andare del tempo, alle
disposizioni dei <em>magistri pagorum</em> e dei <em>curatores pagi</em>, che si servivano delle cosiddette <em>leges paganae </em>(antenate dei nostri futuri <em>statuti</em>)
ed erano dotati di tutte le competenze riguardanti la gestione del
culto e di ciò che allora costituiva i pubblici servizi. Già in età
augustea il <em>municipium </em>trentino, con confine al <em>Gaidoss</em>, venne assegnato alla <em>tribù Papiria</em>, ma il territorio fu attribuito alla tribù <em>Fabia</em>, appartenente al <em>municipium </em>di Brescia. Le terre attualmente trentine costituivano l'ultima propaggine settentrionale della <em>X Regio Italica</em>. Più oltre si profilavano le aree provinciali della<em>Raetia </em>e della <em>Vindelicia</em>.<em> </em> 
 
L'eco delle istituzioni romane resse anche nel 268 d.C., quando un esercito minaccioso di Alemanni, penetrato nell'attuale Valle dei Laghi, fu sconfitto a stento dall'imperatore Claudio II nella piana di Riva. Da allora un castrum, collocato sul Castìn, vegliava sulla conca padergnonese, e la nostra zona divenne importante, oltre che per motivi economici e civili, anche per ragioni militari. I soldati cristiani, apportatori di reliquie, la resero significativa anche dal punto di vista religioso: è probabile che ad essi risalga, infatti, il culto cristianizzatore di s.Valentino, di s.Massenza e dei santi Nerei.
<strong>Verso la <em>rarefazione istituzionale</em></strong>
 
Gli Alamanni si rifecero vivi nella zona anche nel 271, e nel 452 gli Unni, nel 464 gli Alani e nel 476 i Goti. Erano spinti a percorrere
L'eco
la nostra terra dalle temibili fortificazioni erette in Valle dell'Adige, incoraggiati dalla viabilità locale messa a punto da secoli
<nowiki> </nowiki>delle istituzioni romane resse anche nel 268 d.C., quando un esercito
di presidio militare romano. Intorno ai magistri pagorum e ai curatores pagi (come il toblinese Druino) si andavano condensando alla bene e meglio i futuri nuclei delle pievi. Era iniziato il tempo della rarefazione istituzionale soprattutto delle campagne, temperata soltanto dall'insorgenza delle eredi di pagi: le pievi rurali.
minaccioso di Alemanni, penetrato nell'attuale Valle dei Laghi, fu
sconfitto a stento dall'imperatore Claudio II nella piana di Riva. Da
allora un <em>castrum</em>, collocato sul <em>Castìn</em>, vegliava
sulla conca padergnonese, e la nostra zona divenne importante, oltre che
per motivi economici e civili, anche per ragioni militari. I soldati
cristiani, apportatori di reliquie, la resero significativa anche dal
punto di vista religioso: è probabile che ad essi risalga, infatti, il
culto cristianizzatore di s.Valentino, di s.Massenza e dei santi Nerei.
 
Quando, nella seconda metà del secolo VI, arrivarono i Longobardi, San Martino in monte divenne terra di frontiera. Come tutti gli altri San Martino che compongono il sistema giudicariese, anche il territorio dei due laghi fu sede di una guarda inerpicata sull'omonimo gahagi, dove gli arimanni custodivano gelosamente la loro identità ariana contro quella cristiana dei conquistati. La piccola chiesa dall'abside quadra, quando anche i longobardi si fecero cristiani, fu intitolata al santo vescovo di Tours, la cui vita è il paradigma dell'esistenza di questo popolo. San Martino fu confine fra la diocesi di Milano e quella di Aquileia, la prima fedele, nelle controversie teologiche della seconda metà del secolo VI, alla chiesa romana, e l'altra propugnatrice, fino agli inizi del secolo VIII, dello scisma tricapitolino.
Gli
<nowiki> </nowiki>Alamanni si rifecero vivi dalle nostre parti anche nel 271, e nel 452
gli Unni, nel 464 gli Alani e nel 476 i Goti. Erano spinti a percorrere
la nostra terra dalle temibili fortificazioni erette in Valle
dell'Adige, incoraggiati dalla viabilità locale messa a punto da secoli
di presidio militare romano. Intorno ai <em>magistri pagorum </em>e ai <em>curatores pagi </em>(come il toblinese <em>Druino</em>) si andavano condensando alla bene e meglio i futuri nuclei delle <em>pievi</em>. Era iniziato il tempo della <em>rarefazione istituzionale </em>soprattutto delle campagne, temperata soltanto dall'insorgenza delle eredi di <em>pagi</em>: le <em>pievi rurali</em>.
 
I Longobardi non erano un popolo molto compatto. Fra il re e i nobili, detti duchi, non correva buon sangue. Fino ad un certo momento la nostra zona appartenne al patrimonio regio, ma in seguito il potente duca di Trento Evìno (morto nel 595) annetté al suo ducato (gau), che confinava con quello di Brescia, anche il territorio padergnonese con tutta l'odierna Valle dei Laghi e forse anche il Basso Sarca. Nonostante essa dovesse risentire ancora per molto della sua situazione di frontiera, fu verosimilmente questa circostanza a costituire la prima formale (e debole) assegnazione della zona alla sfera istituzionale trentina. Accanto al gau trentino si andava configurando la ripartizione territoriale della Judicaria Summa Laganensis, che comprendeva il Basso Sarca, Le Giudicarie, le Valli di Ledro e del Chiese, e dipendeva direttamente dal re o, in suo nome, da un giudice con poteri autonomi rispetto ai duchi.
Quando, nella seconda metà del secolo VI, arrivarono i Longobardi, <em>s.Martino in monte</em> divenne <em>terra di frontiera</em>. Come tutti gli altri s.Martino che compongono il <em>sistema </em>giudicariese,<em> </em>anche il territorio dei due laghi fu sede di una <em>guarda </em>inerpicata sull'omonimo <em>gahagi</em>, dove gli <em>arimanni </em>custodivano gelosamente la loro <em>identità ariana</em> contro quella <em>cristiana </em>dei
conquistati. La piccola chiesa dall'abside quadra, quando anche i
longobardi si fecero cristiani, fu intitolata al santo vescovo di Tours,
la cui vita è il <em>paradigma </em>dell'esistenza di questo popolo. <em>S.Martino </em>fu
confine fra la diocesi di Milano e quella di Aquileia, la prima fedele,
nelle controversie teologiche della seconda metà del secolo VI, alla
chiesa romana, e l'altra propugnatrice, fino agli inizi del secolo VIII,
dello <em>scisma tricapitolino</em>.
 
I Longobardi impiegarono quasi cento anni ad imparare il latino e a capire che i reati andavano puniti dalla legge e non con fàide di famiglia, e che in caso di controversie giudiziarie ci volevano prove e testimoni anziché improbabili giudizi di Dio. Dei latini sottomessi, quelli che non erano schiavi erano solo semiliberi gravati di pesanti tributi. Ciò nonostante la gente del luogo imparò più dai Longobardi che da qualsiasi altro popolo invasore. I Longobardi davano grande importanza alle assemblee, che erano tutelate dall'[[Editto di Rotari]] (643 d.C.), tanto quelle règie e quelle generali degli arimanni (art.8), quanto quelle ducali o placiti e quelle pievane, chiamate conventus ante ecclesiam o fabulae inter vicinos (art.346). I vicini avevano diritto di prestare giuramento in mancanza di uno dei giudici detti sacramentales; ad essi spettava l'arbitrato per stabilire eventuali danni provocati al bestiame o verificatisi in seguito ad incendio doloso. Era anche riconosciuta ai vicini una forma di proprietà comune, indivisa e indivisibile, ignota al diritto romano e matrice dei futuri usi civici. Fu da questa cultura vicinale longobarda che poterono nascere, più tardi, Regole e Comuni.
I Longobardi non erano un popolo molto compatto. Fra il re e i nobili, detti <em>duchi</em>, non correva buon sangue. Fino ad un certo momento la nostra zona appartenne al <em>patrimonio regio</em>, ma in seguito il potente duca di Trento <em>Evìno </em>(morto nel 595) annetté al suo ducato (<em>gau</em>),
che confinava con quello di Brescia, anche il territorio padergnonese
con tutta l'odierna Valle dei Laghi e forse anche il Basso Sarca.
Nonostante essa dovesse risentire ancora per molto della sua <em>situazione di frontiera</em>,
fu verosimilmente questa circostanza a costituire la prima formale (e
debole) assegnazione della nostra zona alla sfera istituzionale trentina<em>.</em> Accanto al <em>gau </em>trentino si andava configurando la ripartizione territoriale della<em>Judicaria Summa Laganensis</em>,
che comprendeva il Basso Sarca, Le Giudicarie, le Valli di Ledro e del
Chiese, e dipendeva direttamente dal re o, in suo nome, da un <em>giudice</em> con poteri autonomi rispetto ai duchi.<em> </em>
 
===L'istituzionalizzazione della pieve===
 I Longobardi impiegarono quasi cento anni ad imparare il latino e a capire che i reati andavano puniti dalla legge e non con <em>fàide </em>di famiglia, e che in caso di controversie giudiziarie ci volevano prove e testimoni anziché improbabili <em>giudizi di Dio</em>. Della nostra gente sottomessa, quelli che non erano schiavi erano solo<em> semiliberi </em>gravati
La Chiesa di Roma non amava gli ariani Longobardi, e più di una volta si rivolse ai Franchi per toglierli di mezzo. Delle varie incursioni franche in territorio longobardo, quella del 590, comandata da Cedino, ebbe la ventura di distruggere il castrum Vitiani, per poi inoltrarsi oltre il Casale a radere al suolo il castrum Ennemase (Lomaso). Dopo che i Franchi, nel secolo VIII, scesero per conquistare, il circondario padergnonese fece parte del Sacro romano impero di Carlo e poi del Sacro romano impero Germanico dei Sassoni e del Franconi.
di pesanti tributi. Ciò nonostante i nostri lontani antenati impararono
più dai Longobardi che da qualsiasi altro popolo invasore. I Longobardi
davano grande importanza alle assemblee, che erano tutelate dall'<em>Editto di Rotari </em>(643 d.C.), tanto quelle <em>règie </em>e quelle generali degli <em>arimanni </em>(art.8), quanto quelle <em>ducali </em>o <em>placiti</em> e quelle <em>pievane</em>,<em> </em>chiamate <em>conventus ante ecclesiam </em>o <em>fabulae inter vicinos </em>(art.346). I <em>vicini</em> avevano diritto di prestare giuramento in mancanza di uno dei giudici detti <em>sacramentales</em>;
ad essi spettava l'arbitrato per stabilire eventuali danni provocati al
bestiame o verificatisi in seguito ad incendio doloso. Era anche
riconosciuta ai <em>vicini </em>una forma di proprietà comune, indivisa e indivisibile, ignota al diritto romano e matrice dei futuri <em>usi civici</em>. Fu da questa <em>cultura vicinale </em>longobarda che poterono nascere, più tardi, <em>Regole </em>e <em>Comuni</em>.
 
Carlo dei Franchi lasciò dapprima i duchi al loro posto, dopo aver sterminato con inaudita ferocia ogni rimasuglio di arianesimo nostrano: la sua violentissima dearianizzazione è consegnata al leggendario racconto delle sue imprese contenuto nel Privilegio di Santo Stefano di Carisolo. In seguito, però, egli riempì la zona di conti e di marchesi di origine franca, trasformando anche il ducato di Trento prima in contea e poi in marca. I Franchi introdussero il sistema feudale: secondo loro l'unico proprietario del mondo era l'imperatore sacro e romano, il quale, con le buone o con le cattive, concedeva in beneficio a certi suoi fedeli feudatari (abilitati a ripetere in proprio l'operazione in scala ridotta) qualche territorio con la gente che ci abitava e che faceva tutt'uno con la terra.
<em><strong>L'istituzionalizzazione della pieve</strong></em>
 
Mentre i Longobardi avevano favorito, con l'andare del tempo, la piccola proprietà privala o allodiale e la proprietà collettiva o vicinale, e avevano mantenuto le distanze dalla Chiesa di Roma, i Franchi favorivano la servitù della gleba e si dedicavano soprattutto al clero, verso il quale erano straordinariamente prodighi di benefici. Nell'area trentina essi vanno ricordati soprattutto per l'istituzionalizzazione delle pievi e soprattutto delle decime. Queste ultime erano in vigore fin dagli albori delle pievi, assumendo
La Chiesa di Roma non amava gli <em>ariani</em> Longobardi,
allora però la modalità di versamento spontaneo dei ricchi e dei potenti al fine dell'alimentazione del tesoro per i poveri. A partire dalla regola di Aquisgrana, emanata da [[Ludovico il Pio]] nell'816, la decima venne secolarizzata con una caratteristica duplice inversione: da una parte venne istituzionalizzata, resa obbligatoria e addossata alle classi meno abbienti a favore del ceto clerico-feudale, e dall'altra fu parificata alle imposte civili, fino a quando, nella prima metà del secolo XX, venne abolita come privilegio feudale.
e più di una volta si rivolse ai Franchi per toglierli di mezzo. Delle
varie incursioni franche in territorio longobardo, quella del 590,
comandata da Cedino, ebbe la ventura di distruggere il <em>castrum Vitiani</em>, per poi inoltrarsi oltre il <em>Casale </em>a radere al suolo il <em>castrum Ennemase </em>(Lomaso). Dopo che i Franchi, nel secolo VIII, scesero per conquistare, il circondario padergnonese fece parte del <em>Sacro romano impero </em>di Carlo e poi del <em>Sacro romano impero germanico </em>dei <em>Sassoni</em> e del <em>Franconi</em>.
 
===La congerie istituzionale e la confederazione del Pedegaza===
Carlo dei Franchi lasciò dapprima i <em>duchi </em>al loro posto, dopo aver sterminato con inaudita ferocia ogni rimasuglio di arianesimo nostrano: la sua violentissima <em>dearianizzazione</em> è consegnata al leggendario racconto delle sue imprese contenuto nel <em>Privilegio di s.Stefano </em>di Carisolo<em>.</em> In seguito, però, egli riempì le nostre terre di <em>conti </em>e di <em>marchesi </em>di origine franca, trasformando anche il ducato di Trento prima in <em>contea </em>e poi in <em>marca</em>. I Franchi introdussero il <em>sistema feudale</em>: secondo loro l'unico proprietario del mondo era l'imperatore <em>sacro e romano</em>, il quale, con le buone o con le cattive, concedeva <em>in beneficio </em>a certi suoi fedeli <em>feudatari </em>(abilitati a ripetere in proprio l'operazione in scala ridotta)<em> </em>qualche territorio con la gente che ci abitava e che faceva tutt'uno con la <em>terra</em>.
 
Il circondario padergnonese divenne, nella prima metà del secolo XI, parte integrante del Principato vescovile di Trento, dal quale sarebbe uscito soltanto dopo ottocento anni. La collocazione politico-amministrativa di un'unità insediativa medievale è frutto della congerie istituzionale tipica del tempo. Il Principe vescovo di Trento era suddito immediato del Sacro Romano Impero ed insieme risultava posto sotto avvocazia del Conte di Tirolo che, dal XIV secolo in avanti, era anche arciduca d'Austria e spesso anche imperatore. Nel Principato Padergnone era posto nella Pretura esterna ultra Athesim, con tutte le altre comunità del Bucco di Vela fino a Cavedine, mentre il nome di Pretura interna era riservato alla città di Trento, e quello di Pretura esterna citra Athesim designava le comunità di sponda sinistra dell'Adige. Ad iniziare almeno dal secolo XIII la Pretura esterna venne divisa per ragioni fiscali in varie gastaldìe. Padergnone era compreso, insieme con Vezzano e il Pedegaza, nella gastaldia di Maiano con sede a Santa Massenza o a Ciago, mentre a nord-est si estendeva la gastaldia di Oveno (Sopramonte) e a sud la gastaldia di Arco.
Mentre i Longobardi avevano favorito, con l'andare del tempo, la piccola proprietà privala o <em>allodiale</em> e la proprietà collettiva o <em>vicinale</em>, e avevano mantenuto le distanze dalla Chiesa di Roma, i Franchi favorivano la <em>servitù della gleba </em>e si dedicavano soprattutto al clero, verso il quale erano straordinariamente prodighi di <em>benefici</em>. Da noi essi vanno ricordati soprattutto per l<em>'istituzionalizzazione delle pievi</em> e soprattutto delle<em>decime</em>.
Queste ultime erano in vigore fin dagli albori delle pievi, assumendo
allora però la modalità di versamento spontaneo dei ricchi e dei potenti
al fine dell'alimentazione del <em>tesoro per i poveri</em>. A partire dalla <em>regola di Aquisgrana</em>,
emanata da Ludovico il Pio nell'816, la decima venne secolarizzata con
una caratteristica duplice inversione: da una parte venne
istituzionalizzata, resa obbligatoria e addossata alle classi meno
abbienti a favore del ceto clerico-feudale, e dall'altra fu parificata
alle imposte civili, fino a quando, nella prima metà del secolo XX,
venne abolita come <em>privilegio feudale</em>.
 
Di grande importanza religiosa, e quindi civile, era poi la collocazione pievana, che vedeva Padergnone inserito nella pieve di Calavino, che confinava, fino almeno al secolo XII, con la pieve di Santa Maria di Trento e con quella di San Lorenzo del Lomaso. Più tardi si costituirono la pieve di Sopramonte, con sede a Baselga (prob.1183), la pieve di Cavedine (prob.1267) e forse la pieve di Terlago (1445). Infine v'era la collocazione comunitaria, che metteva insieme in una rudimentale confederazione, con vari e differenziati vincoli, Padergnone con quello di Vezzano e gli altri del Pedegaza.
<em><strong>La congerie istituzionale e la confederazione del Pedegaza</strong></em>
 
===Gli Statuti quattrocenteschi e il sodalizio vezzano-padergnonese===
Il circondario padergnonese divenne, nella prima metà del secolo XI, parte integrante del <em>Principato vescovile di Trento</em>,
La storia statutaria padergnonese ha inizio il 2 aprile del 1420, quando gli Antiani et majores ac regulani villarum Vezani et Padrignoni ottengono i primi Statuti da Antonio da Molveno, vicario del conte di Tirolo Federico Tascavuota, che in quel periodo aveva occupato la città di Trento e fatto esiliare il principe vescovo Giorgio di Liechtenstein. La concessione era probabilmente legata ai servigi che la nostra gente aveva prestato al Tascavuota, allorché s'era sentito il bisogno di rimettere in sesto il forte del Castìn per contrastare le puntate verso Trento del Lodron, alleato del vescovo. Naturalmente questi primi Statuti, redatti in latino e quindi sintomatici di una composizione abbastanza elitaria dell'autorità costituita, non si pongono come generatori delle cariche e delle norme locali, ma piuttosto come ricognitori e formalizzatori delle stesse, già di per sé presenti da secoli sul territorio padergnonese.
dal quale sarebbe uscito soltanto dopo ottocento anni. La collocazione
politico-amministrativa di un'unità insediativa medievale è frutto
della <em>congerie istituzionale </em>tipica del tempo. Il <em>Principe vescovo di Trento </em>era suddito immediato del <em>Sacro Romano Impero</em> ed insieme risultava posto sotto <em>avvocazia </em>del Conte di Tirolo che, dal XIV secolo in avanti, era anche <em>arciduca d'Austria </em>e spesso anche <em>imperatore</em>. Nel <em>Principato</em> Padergnone era posto nella<em>Pretura esterna ultra Athesim</em>, con tutte le altre comunità del <em>Bucco di Vela </em>fino a Cavedine, mentre il nome di <em>Pretura interna </em>era riservato alla città di Trento, e quello di <em>Pretura esterna citra Athesim</em> designava le comunità di sponda sinistra dell'Adige. Ad iniziare almeno dal secolo XIII la<em>Pretura esterna </em>venne divisa per ragioni fiscali in varie <em>gastaldìe</em>. Padergnone era compreso, insieme con Vezzano e il <em>Pedegaza</em>, nella <em>gastaldia di Maiano </em>con sede a s.Massenza o a Ciago, mentre a nord-est si estendeva la <em>gastaldia di Oveno </em>(Sopramonte) e a sud la <em>gastaldia di Arco</em>.
 
Il sodalizio vezzano-padergnonese aveva avuto modo di cementarsi a partire fin dal secolo XIII (1208), durante i vari episodi della lite per Arano, che vide le due Comunità contrapporsi in solido a quelle di Vigolo e di Baselga per lo sfruttamento di un territorio compreso fra il corso iniziale della Roggia Grande e l'acqua del ferèr, e denominato, appunto, Arano. La controversia ebbe termine nel 1467 con la spartizione delle rispettive zone d'influenza, e negli atti dell'ultimo processo compare anche un'autorità padergnonese: ser Tonino da Padergnone. Il sodalizio si mantenne vivo anche nei secoli XV e XVI, quando i vezzano-padergnonesi si scontrarono con i confederati del Pedegaza e con altre Comunità limitrofe nella controversia sui fuochi. La materia del contendere (comune a tutta la realtà trentina) riguardava questa volta la scelta della figura fiscale dei foci fumantes in alternativa a quella dei foci dudum descripti. La seconda era preferita da quelle comunità che, come le nostre due, avevano avuto un saldo demografico positivo, mentre la prima era ambita da quelle che avevano subìto una contrazione della popolazione.
Di grande importanza religiosa, e quindi civile, era poi la collocazione <em>pievana</em>, che vedeva Padergnone inserito nella <em>pieve di Calavino</em>, che confinava, fino almeno al secolo XII, con la <em>pieve di s.Maria di Trento </em>e con quella di <em>s.Lorenzo del Lomaso</em>. Più tardi si costituirono la <em>pieve di Sopramonte</em>, con sede a Baselga (prob.1183), <em>la pieve di Cavedine </em>(prob.1267) e forse la <em>pieve di Terlago </em>(1445). Infine v'era la collocazione<em>comunitaria</em>, che metteva insieme in una rudimentale <em>confederazione</em>, con vari e differenziati vincoli, Padergnone con quello di Vezzano e gli altri del <em>Pedegaza</em>.
 
La controversia sui fuochi</em>, nella quale i Vezzano-padergnonesi prevalsero quasi sempre, è molto bene indicativa del medievale regime dei privilegi, e in una delle sue fasi, quella del 1409, troviamo espressamente dichiarata la volontà delle due Comunità di separarsi dal Pedegaza. La soluzione si ebbe nel novembre del 1527. Si era appena conclusa la guerra rustica, durante la quale Cavedine, Terlago e il Pedegaza avevano unito le loro forze per assaltare Trento, mentre invece i Vezzano-padergnonesi avevano protetto la fuga del vescovo Bernardo, e l'avevano scortato sino alla rocca di Riva. Il Cles, allora, decretò che i Vezzanesi e, dato il sodalizio, anche i Padergnonesi, come si erano staccati dal Pedegaza nella fedeltà al loro principe, così siano separati in tutto e per tutto dagli uomini del Pedegaza e possano eleggersi e avere il proprio sindaco e gli altri ufficiali. 
<strong><em>Gli Statuti quattrocenteschi e il <strong>sodalizio vezzano-padergnonese</strong></em></strong>
 
 La storia statutaria padergnonese ha inizio il 2 aprile del 1420, quando gli <em>Antiani et majores ac regulani villarum Vezani et Padrignoni </em>ottengono i primi Statuti da Antonio da Molveno, vicario del conte di Tirolo Federico <em>Tascavuota</em>,
che in quel periodo aveva occupato la città di Trento e fatto esiliare
il principe vescovo Giorgio di Liechtenstein. La concessione era
probabilmente legata ai servigi che la nostra gente aveva prestato al<em>Tascavuota</em>, allorché s'era sentito il bisogno di rimettere in sesto il forte del <em>Castìn</em> per contrastare le puntate verso Trento del <em>Lodron</em>,
alleato del vescovo. Naturalmente questi primi Statuti, redatti in
latino e quindi sintomatici di una composizione abbastanza elitaria
dell'autorità costituita, non si pongono come <em>generatori </em>delle cariche e delle norme locali, ma piuttosto come <em>ricognitori </em>e <em>formalizzatori </em>delle stesse, già di per sé presenti da secoli sul territorio padergnonese.
 
Il <em>sodalizio</em> vezzano-padergnonese aveva avuto modo di cementarsi a partire fin dal secolo XIII (1208), durante i vari episodi della <em>lite per Arano</em>,
che vide le due Comunità contrapporsi in solido a quelle di Vigolo e di
Baselga per lo sfruttamento di un territorio compreso fra il corso
iniziale della <em>Roggia Grande </em>e l'<em>acqua del ferèr</em>, e denominato, appunto, <em>Arano</em>.
La controversia ebbe termine nel 1467 con la spartizione delle
rispettive zone d'influenza, e negli atti dell'ultimo processo compare
anche un'autorità padergnonese: <em>ser Tonino da Padergnone</em>. Il <em>sodalizio </em>si mantenne vivo anche nei secoli XV e XVI, quando i vezzano-padergnonesi si scontrarono con i <em>confederati </em>del <em>Pedegaza </em>e con altre Comunità limitrofe nella <em>controversia sui fuochi</em>. La materia del contendere (comune a tutta la realtà trentina) riguardava questa volta la scelta della figura fiscale dei<em>foci fumantes</em> in alternativa a quella dei <em>foci dudum descripti</em>.
La seconda era preferita da quelle comunità che, come le nostre due,
avevano avuto un saldo demografico positivo, mentre la prima era ambita
da quelle che avevano subìto una contrazione della popolazione.
 
La <em>controversia sui fuochi</em>, nella quale i Vezzano-padergnonesi prevalsero quasi sempre, è molto bene indicativa del medievale <em>regime dei privilegi</em>, e in una delle sue fasi, quella del 1409, troviamo espressamente dichiarata la volontà delle due Comunità di separarsi dal <em>Pedegaza</em>. La soluzione si ebbe nel novembre del 1527. Si era appena conclusa la <em>guerra rustica</em>, durante la quale Cavedine, Terlago e il <em>Pedegaza</em> avevano
unito le loro forze per assaltare Trento, mentre invece i
Vezzano-padergnonesi avevano protetto la fuga del vescovo Bernardo, e
l'avevano scortato sino alla rocca di Riva. Il Cles, allora, decretò che
i Vezzanesi e, dato il sodalizio, anche i Padergnonesi, come si erano
staccati dal <em>Pedegaza </em>nella fedeltà al loro principe, così <em>siano
separati in tutto e per tutto dagli uomini del Pedegaza e possano
eleggersi e avere il proprio sindaco e gli altri ufficiali</em>. 
 
<em><strong>Gli Statuti in solido (o quasi)</strong></em>
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A partire dalle elezioni comunali del 1995 il <em>Sindaco</em> venne eletto direttamente dai censiti quale <em>capo</em> <em>della lista </em>col maggior numero di suffragi. A partire dal giugno 1995 il Comune fu retto da <em>Luca Maccabelli</em>, che ebbe dagli elettori la riconferma del mandato sia nel 2000 che nel 2005.
<ref>{{cita web |titolo=Storia di Padergnone |editore=Consorzio dei Comuni Trentini |autore=Comune di Padergnone |url=http://www.comune.padergnone.tn.it/Territorio/Informazioni/Storia |accesso=30 dicembre 2014}} Da cui è tratto il testo della sezione.</ref>
 
== Società ==
=== Evoluzione demografica ===