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{{Vedi anche|Filosofia della condivisione}}
{{W|economia|filosofia|gennaio 2015|commento=insufficiente strutturazione in sezioni. Insufficienti i collegamenti ad altre voci, comprese quelle degli autori}}
{{citazione|L’esempio forse più noto è quello di [[Wikipedia]], che fa proseliti perché lavora bene. Non sarà perfetta, ma il processo di ''[[peer review]]'' e di definizione collettiva delle regole cui i contributi sono sottoposti spiega in parte il suo successo. Oltre alla possibilità di documentarsi via internet praticamente su tutto, Wikipedia e il movimento del free software offrono anche qualcosa di molto più impercettibile: una maniera di socializzare e stare insieme che invita alla condivisione|[[Raj Patel]], ''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'', pp.158-159}}
Nel dibattito filosofico del XXI secolo, il tema della condivisione è strettamente intrecciato ai temi delle problematiche economiche e sociali.
La [[
{{citazione|Il grave dissesto del settore finanziario ha dimostrato che le più acute menti matematiche del pianeta, con il sostegno di ingenti disponibilità economiche, avevano fabbricato non tanto un motore scattante di eterna prosperità quanto un carrozzone di traffici, swap e speculazioni temerarie che inevitabilmente doveva cadere a pezzi. A provocare la recessione non è stata una lacuna di conoscenze in campo economico, bensì l’eccesso di un particolare tipo di sapere, un’indigestione di spirito del capitalismo. Accecati dai bagliori del libero mercato, abbiamo dimenticato che vi sono altri modi di concepire il mondo. Come scrisse Oscar Wilde oltre un secolo fa: “Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente”. I prezzi si sono rivelati guide inattendibili. Nel 2008, oltre al crollo dei mercati finanziari, si è verificato un brusco rincaro dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio, e nonostante questo sembra che non riusciamo a vedere o a valutare il mondo se non attraverso il prisma difettoso dei mercati|Raj Patel, ''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'', p.7.}}
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Il recente terremoto finanziario e borsistico offre per esempio al filosofo [[Michel Serres]]<ref>già noto per le sue riflessioni in ''La Guerre Mondiale'', 2008.</ref> l’occasione per riflettere in generale sul fenomeno della crisi. A suo giudizio, quando si vive una crisi, nessun ritorno indietro è possibile. Bisogna inventare qualcosa di nuovo e avere il coraggio di voltare pagina. Ciò che invece colpisce è secondo lui l’assenza di cambiamento delle istituzioni nonostante i grandi sconvolgimenti che negli ultimi decenni hanno trasformato l’umanità. Egli individua in tale fenomeno la vera crisi, dalla quale occorrerebbe partire per ripensare il passato, mettere in discussione il rapporto che gli uomini hanno fra di loro e con il mondo<ref>Oggetto di un interessante dibattito è stata anche l’analisi del filosofo [[Fernando Savater]] in ''Los diez mandamientos en el siglo XXI'' del 2004 e in ''Los siete pecados capitales'' del 2005 che considera la difficile conciliabilità fra le virtù del buon cristiano e l’attuale sistema di mercato basato sul consumismo.</ref>. Lo scenario di idee che si apre a partire da considerazioni affini porta a individuare nella condivisione un nuovo atteggiamento possibile per fare fronte a una crisi che non è solo economica o pertinente al mondo finanziario, ma che coinvolge direttamente il sistema dei valori etici.
Proprio a partire da un ripensamento dei valori etici si muove la riflessione del sociologo [[Gianpaolo Fabris]], secondo il quale, in una fase di preoccupante divario tra economia e società, è possibile parlare di un cambiamento «nell’antropologia dei consumi e stili di vita»<ref>[[Gianpaolo Fabris]], ''La società post-crescita. Consumi e stili di vita'', Egea, 2010.</ref>, che tendono progressivamente verso nuove dimensioni di condivisione. Secondo Fabris la
{{citazione|Siamo in presenza di una costante divaricazione tra economia e società. Il prevalere sull’economia reale di quella finanziaria, virtuale, immateriale, cartolarizzata, con le perverse conseguenze che ha generato; l’impunità del sistema finanziario annidato nei paradisi fiscali che genera flussi finanziari imponenti e di portata planetaria e riciclo di denaro sporco; la progressiva [[deregolamentazione]] di una economia che trasgredisce o ignora le norme che i singoli Stati avevano imposto, allargano sempre più questo iato. La conseguenza di tutto questo non può che essere un’ulteriore spinta al degenerare del modello di sviluppo che l’economia ha teorizzato e creato e di cui ancora oggi tende a farsi paladina|[[Gianpaolo Fabris]], ''La società post-crescita'', p.51.}}
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Il filosofo Andrea Braggio<ref>Di Andrea Braggio: ''[http://www.ventochemuove.it/?p=3016 Restituire Cristo al mondo]'', ''[http://www.ventochemuove.it/?p=3201 Condivisione]'', ''[http://www.ventochemuove.it/?p=3273 La comunità primitiva di Gerusalemme]'', ''[http://www.ventochemuove.it/?p=3829 Il sorriso del mondo]'', ''[http://www.ventochemuove.it/?p=3996 Cooperare, non competere]'', ''[http://www.ventochemuove.it/?p=4567 La cura degli altri è cura di se stessi]'', ''[http://www.saddha.it/wp-content/uploads/Raj-Patel-e-il-valore-della-cooperazione-Andrea-Braggio.pdf Raj Patel e il valore della cooperazione]'', ''[http://www.scribd.com/doc/118875412/Orti-urbani-e-sicurezza-alimentare-di-Andrea-Braggio Orti urbani e sicurezza alimentare]'', ''[http://www.scribd.com/doc/118875423/Famiglia-e-sovranita-alimentare-di-Andrea-Braggio Famiglia e sovranità alimentare]'', ''[http://mondodomani.org/dialegesthai/abra01.htm Ogni classe è un piccolo mondo: elementi di pedagogia della condivisione]''.</ref> riconsidera l’ecosocialismo di Willy Brandt<ref>''Mein Weg nach Berlin'', 1960; ''Begegnugen und Einsichten'', 1960-1975; ''Politica di pace in Europa'' (''Friendenspolitik in Europa'' – 1968), Milano, Sugar, 1971; ''Der organisierte Wahnsinn'', 1987; ''Erinnerungen'', 1989.</ref> in chiave metafisica mettendo in evidenza la capacità dell’uomo di svelare il proprio potenziale creativo e giungere alla felicità cooperando assieme agli altri uomini per la ricostruzione di ogni settore delle attività umane. Nell’accettazione del principio di condivisione risiede la risposta alla crisi politica ed economica che l’umanità sta attraversando e il primo passo per creare le condizioni sociali di un mondo più giusto. Il mondo è pronto ad accogliere nuovi modelli, più adeguati ai bisogni reali della gente ovunque, che poggiano sulla coesione, sull’unità delle persone e sulla loro interdipendenza. Gli attuali problemi dell’uomo sono risolvibili a patto che questi accetti il principio di condivisione e individui nell’autocompiacenza e nei propri interessi individualistici ed egoistici gli ostacoli principali da superare: «Come prima cosa dobbiamo imparare a essere uomini. Ed essere uomini significa riconoscere il valore della condivisione e prendere i bisogni del proprio fratello come misura per le proprie azioni, senza mai dimenticare che gli altri esistono in noi, come noi esistiamo negli altri». Secondo Braggio, molto presto saremo tutti chiamati a scegliere tra due diversi modi di risolvere gli attuali problemi e di intendere la vita economica e politica: l’egoismo, la competizione e gli inefficaci vecchi metodi dei governi da una parte e la condivisione e l’unità, la cooperazione e il servizio dall’altra.<br>
Al di là del problema dei diritti fondamentali dell’uomo<ref>Molti filosofi ed economisti europei valutano per esempio con preoccupazione il modello capitalistico americano, dove il denaro rappresenterebbe il "diritto ad avere diritti", cioè il mezzo grazie al quale il singolo individuo acquista i propri diritti fondamentali: «Dopo tutto, cosa offre il denaro nella società di mercato se non la capacità di acquistare libertà, di permettersi cure mediche, un'alimentazione adeguata, un’abitazione, la sicurezza di non dover lavorare dopo la pensione, un'assicurazione contro gli incidenti o la disoccupazione?», Raj Patel, ''Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo'', p.116.</ref>, la crisi economica odierna, la cui diffusione è globale, sarebbe la dimostrazione del fallimento del pensiero neoliberista, oltre che un valido motivo per non proseguire secondo le logiche di mercati ai quali è stata lasciata troppa libertà d'azione e che hanno sempre sfruttato in modo gratuito le risorse del pianeta, sottovalutando sistematicamente i servizi degli ecosistemi che lo tengono in vita<ref>si vedano per esempio gli articoli scientifici e i numerosi libri di Herman Daly, uno dei pionieri dell’economia ecologica. Fra i tanti, si possono ricordare ''Ecological Economics and the Ecology of Economics'' (1999); ''Ecological Economics: Principies and Applications'' (2003), scritto con Joshua Farley.</ref>.<br>Come per altri filosofi<ref>In ''Hegemonie, Identität und Emanzipation'', (p.278) il filosofo Alfred Köhler (1936-2009) afferma: «L'amore scaturisce dall'agire condividendo, vera via verso la pace. Quando in ogni settore le tendenze etiche passeranno con sincerità dall'egoismo preponderante all'altruismo, da quel momento le acque pure della conoscenza e della profonda consolazione scaturiranno nel cuore degli uomini e il loro fluire sarà costante e ininterrotto».</ref>, i temi del [[dono]], della solidarietà e di uno stile di vita sobrio, caratterizzato da meno consumi materiali e più ricchezza interiore, giocano un ruolo chiave nel pensiero di Braggio, il quale crea le premesse per una [[filosofia della condivisione]]<ref>L'economista Raj Patel è attualmente riconosciuto come il più autorevole rappresentante di tale corrente di pensiero. Ha lavorato per la Banca mondiale e per il Wto prima di impegnarsi in campagne internazionali contro queste stesse organizzazioni. Studioso delle politiche alimentari, si è formato nelle università di Oxford e Cornell e alla London School of Economics.</ref> che rivaluta l’uomo in quanto essere spirituale, capace di andare oltre il proprio ego e di dare un senso alla propria vita prendendosi cura degli altri. Tale indagine affronta il problema dell’essere felici in una società dominata dalla tendenza sempre più marcata a considerare l’uomo un semplice consumatore, poco solidale verso i suoi simili e molto ripiegato in se stesso, ingranaggio di un sistema di libero mercato nel quale lo scambio di beni e servizi è guidato non dai bisogni, ma dal profitto. La felicità e la serenità sono invece condizioni possibili nel momento in cui l’uomo soddisfa i bisogni primari<ref>A livello internazionale, uno degli studi più importanti su denaro e felicità è noto come il paradosso di Easterlin, dal nome dell’economista che per primo lo ha evidenziato. In un saggio del 1974, Richard Easterlin scoprì che gli individui con redditi superiori alla media si dichiaravano più felici dei loro omologhi più poveri. Fin qui nulla di sorprendente; ma Easterlin scoprì anche che quando un paese superava il livello di reddito al quale venivano soddisfatti i bisogni primari di alloggio, cibo, acqua ed energia, il livello medio di felicità non aumentava. Il paradosso, in altre parole, è che oltre una certa soglia l’avere più denaro non renderebbe più felici.</ref> e, superando le proprie paure e il proprio egoismo, si apre generosamente agli altri, svolgendo una forma particolare di servizio grazie al quale dà vita a relazioni pacifiche e costruttive e mette a frutto le proprie capacità per il benessere collettivo. Ciò che dunque lo contraddistingue è il fatto che il suo desiderio di felicità include la felicità degli altri. Nella società attuale, invece, l’individuo è spinto costantemente a pensare prima a se stesso e a soddisfare una vasta gamma di desideri inutili. Egli si ritroverebbe imprigionato in un "ingranaggio edonico" (''hedonic treadmill'') nel quale la felicità consisterebbe nell'ottenere dei livelli di consumi sempre più elevati, nell'illusione che il sovrappiù e il superfluo possano davvero appagarlo.
{{citazione|La società economica della crescita e del benessere non realizza l'obiettivo proclamato della modernità, vale a dire la massima felicità possibile per il massimo numero di individui. Una Ong britannica, la New Economics Foundation, elabora da diversi anni, sulla base di inchieste, un indice della felicità (happy placet index) che ribalta l’ordine classico del Pil pro capite e anche quello dell’indice si sviluppo umano (Isu). Per il 2009 la classifica stabilita dalla Ong vede in testa il Costa Rica, seguito dalla Repubblica Dominicana, dalla Giamaica e dal Guatemala. Gli Stati Uniti vengono soltanto al 114° posto. Questo paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta «sviluppata» si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè su una perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione dell’«usa e getta» trasforma in rifiuti, sia degli uomini, elusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti e manager ai disoccupati, agli homeless, ai barboni e altri rifiuti umani. La teologia utilizzava un bel termine per indicare la situazione di chi non era stato toccato dalla grazia: derelizione. L’italiano, più religioso, sceglie un termine più laicizzato di uso quotidiano e parla di «disgraziati». L’economia della crescita ha la derelizione come motore e moltiplica i «disgraziati». In effetti, in una società della crescita quelli che non sono dei ''vincenti'' o dei ''killer'' sono tutti più o meno dei falliti. Al limite, nella guerra di tutti contro tutti, c’è un solo vincente, dunque un solo challenger potenzialmente felice, anche se la sua posizione, di necessità precaria, lo condanna alla tortura dell’ansia. Tutti gli altri sono votati ai tormenti della frustrazione, della gelosia e dell’invidia. Così come si impegna nel riciclaggio dei rifiuti materiali, la decrescita deve interessarsi anche alla riabilitazione dei falliti. Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il miglior fallito è quello che la società non genera. Una società ''decente'' non produce esclusi|[[Serge Latouche]], ''Come si esce dalla società dei consumi'', pp.69-70}}
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