Religioni della Mesopotamia: differenze tra le versioni
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[[File:VAM Nisaba Lagasch.jpg|thumb|Un frammento che rappresenta la dea [[Nisaba|Nisaba/Nidaba]] con un'iscrizione di [[Entemena]] re di Lagaš (2450 a.C.) conservato presso il Vorderasiatisches Museum di Berlino. Il suo nome è riportato con il segno determinativo dei vari tipi di grano. Nidaba è la dea della scrittura, patrona degli scribi, e del raccolto del grano. {{q|Signora iridescente come stella, che stringi la cannuccia [(scrittoria)]<br />Nidaba, generata dalla Terra nel grande ovile,<br />capretta selvatica, pura erba alcali, nutrita di latte genuino.<br />Nella sua bocca tiene le sette canne,<br />resa perfetta dai 50 grandi archetipi (''me'').|Traduzione dal sumerico di [[Giorgio R. Castellino]] in ''Testi sumerici e accadici'', Torino, UTET, 1977, p. 84}}]]
Le '''religioni della Mesopotamia''' sono quell'insieme di differenti credenze, [[mito|miti]], [[rito|rituali]], [[Religioni misteriche|culti misterici]], [[Teologia|teologie]] e [[Divinazione|pratiche divinatorie]] professate nell'antica [[Mesopotamia]] ovvero in quella regione del mondo che corrisponde approssimativamente all'attuale [[Iraq]], dal [[IV millennio a.C.|IV]] al [[I millennio a.C.]]
<ref>{{q|Mesopotamian religion includes certain beliefs and practices of the Sumerians, Akkadians, Assyrians, Babylonians and other peoples who lived at various times in different parts of ancient Mesopotamia, the region corresponding roughly to modern Iraq, from the fourth through the first millennia BCE.|[[Benjamin R. Foster]]. ''Mesopotamia'' in ''A Handbook of Ancient Religions'' (a cura di [[John R. Hinnells]]). Cambridge, Cambridge University Press, 2007, p. 161}}</ref>.
Le origini di tali religioni vanno individuate nella [[preistoria]] delle prime genti abitanti quella regione, nelle credenze e nelle tradizioni di differenti popoli che, a partire dal [[XXX secolo a.C.]], lì migrarono, nelle civiltà [[sumeri]]ca e [[accadi]]ca e in quelle civiltà emerse successivamente, quali, ad esempio, quella [[babilonesi|babilonese]] e quella [[assiri|assira]].
Le religioni della Mesopotamia, ma solo intese come culto principale di una realtà statale, cessarono di essere nel 539 a.C. quando la città di Babilonia accolse, sottomettendosi, il re persiano [[Dinastia achemenide|achemenide]] di probabile fede [[Zoroastrismo|zoroastriana]] [[Ciro II]]<ref>[[Geo Widengren]] (cfr. ''Die Religionen Irans'', Stuttgart, 1965, pagg. 142-5) non ritiene che Ciro il Grande fosse uno zoroastriano; diversamente [[Mary Boyce]] (Cfr. ''The Religion of Cyrus the Great'' in A. Kuhrt and H. Sancisi-Weerdenburg, ''Achaemenid History III. Method and Theory'', Leiden, 1988, pag 30) ritiene con sicurezza che fosse un adoratore di [[Ahura Mazdā]].</ref>. I Persiani non perseguitarono, né discriminarono tali religioni che continuarono quindi a essere professate dalle popolazioni locali dando luogo anche a differenti sincretismi <ref>[[Gherardo Gnoli]], ''[http://www.iranicaonline.org/articles/babylonia-ii Babylonia]'' in ''Encyclopaedia Iranica''.</ref><ref>Da tener presente, tuttavia, che se da una parte Ciro II si proclamerà nel 539 a.C. inviato di Marduk alla 'liberazione' di Babilonia dal precedente empio sovrano, Nabonedo; Serse, mezzo secolo dopo, a seguito di una rivolta, darà alle fiamme il tempio del dio, portando via la sua sacra statua come preda di guerra (Cfr. [[Giovanni Pettinato]]. ''Babilonia''. Milano, Rusconi, 1994, p. 246).</ref>.
==Premessa==
L'espressione "religioni della Mesopotamia" è di conio moderno. Gli antichi abitanti della Mesopotamia non possedevano un termine che indicava quello che il termine moderno "[[religione]]" intende indicare in modo peraltro problematico<ref>A titolo esemplificativo:
{{q|Definire la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima non può avere luogo in assenza di una definizione.|[[Giovanni Filoramo]]. ''Religione'' in ''Dizionario delle religioni'' (a cura di [[Giovanni Filoramo]]). Torino, Einaudi, 1993, p. 621}}</ref>.
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