Ermocrate: differenze tra le versioni

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Radunata la grande armata, portò le sue numerose navi nella punta estrema della Sicilia occidentale, presso la baia dell'[[Mozia|isola di Mozia]]. [[Gela]] e [[Agrigento]] armarono i loro soldati, pronti a spedirli alla volta di Selinunte, dove già era incominciato il turbolento assedio. Le due poleis aspettavano Siracusa per unire le loro forze a quelle aretusee, ma ottennero come risposta che prima di prestare soccorso ai selinuntini, i soldati siracusani dovevano occuparsi di una guerra ingaggiata contro i [[calcidesi]]<ref>I calcidesi di Sicilia posti in rapporti stretti con i siracusani erano i lentinesi e i catanesi.</ref>. Annibale riuscì ad espugnare la città in soli nove giorni. Quel che accadde dopo è stato accuratamente descritto da Diodoro, il quale ha lasciato testimonianza di una delle più cruenti cadute mai verificatesi in Sicilia al tempo dei greci:
{{Citazione|Presa così la città, altro non udivasi che gemito a pianto presso i Greci, e presso i Punici altro no ascoltavansi che barbariche grida, e fremito di giubilo [...] Annibale comanda di uccidersi tutti [...] Questi barbari tanto nella cruda empietà superavano tutti [...]<ref>Traduzione italiana diodorea a cura di Giuseppe Alessi, 1843 pag. 310</ref>|}}
Il saccheggio fu infine tremendo, senza risparmiare nulla alla popolazione vinta<ref>{{Cita|Diodoro Siculo|XIII, 57, 1-6, 58, 1-3, 59, 1}}</ref>. Pochi furono i sopravvissuti, i quali trovarono rifugio ad Agrigento<ref>2.600 secondo Diodoro.</ref> che trovarono rifugio ad Agrigento. Gravemente colpevoli divennero i siracusani agli occhi della grecità di Sicilia; colpevoli di aver abbandonato i selinuntini alla furia punica e di non aver rispettato la ''symmachia'' con essi stabilita. Annibale si rivolse poi ad [[Himera|Imera]], distruggendola e saccheggiandola. Terminate le due cruenti azioni belliche nella Sicilia occidentale, il šofeṭ punico tonrò in Africa.
 
Nei pressi di Messina, nello stesso anno delle distruzioni cartaginesi, giunse con lo ''status'' di esulo Ermocrate. Qui, servendosi dell'arsenale peloritano<ref>Placido Arena-Primo, ''Storia civile di Messina colle relazioni della storia generale di Sicilia, Volume 1,Edizione 1'', 1841, XVI-pag. 77</ref>, fece costruire cinque navi da guerra e assoldò 1.000 uomini tra i messinesi e altri 1.000 tra i superstiti di Imera giunti nella città dello stretto. Uniti i contingenti alla sua armata, cercò con l'aiuto di alcuni ''philoi'' (influenti amici), di rientrare a Siracusa, ma poiché non gli fu permesso, decise allora di volgere verso le zone interne della Sicilia. Giunse a Selinunte<ref>{{Cita|Diodoro Siculo|XIII, 63, 3}}</ref>. Si rese conto della devastazione portata da Annibale. Il generale siracusano non si curò degli interessi punici; fece rialzare le mura - nonostante l'ultimo trattato di Annibale lo vietasse - richiamando tutti i selinuntini che - non essendo filo-punici - avevano cercato rifugio altrove. Ermocrate fece di Selinunte il suo centro operativo; fu l'ultimo ''signore'' che la polis di orgine megarese-iblea ebbe. E le sue fortificazioni sono rimaste visibili tutt'oggi<ref>De Vido, ''Selinunte. Gli ultimi anni'', pag. 121 nota n° 54</ref>. Potendo contare su diverse triremi e 6.000 soldati, Ermocrate mosse da Selinunte una dichiarata ostilità contro il potere punico sulla Sicilia occidentale<ref>De Vido osserva come il progetto ermocrateo - tutto incentrato sull'egemonia siceliota e soprattutto di quella aretusea - in un certo qual modo forzi la natura di Selinunte; vissuta ella fino a quel momento in un contesto di rispetto reciproco verso i filo-punici siciliani, un rispetto lavorato nel tempo che con Ermocrate svanisce (''Selinunte. Gli ultimi anni'', pag. 122).</ref>.