Mobbing: differenze tra le versioni
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Non esiste una legislazione specifica in materia di mobbing e quindi il fenomeno non è configurato come [[fattispecie]] tipica di [[reato]] a sé stante. Gli atti di mobbing possono però rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le [[lesione|lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose]] che sono perseguibili di ufficio e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell'origine professionale della malattia. La legge italiana disciplina anche il [[risarcimento]] del [[danno biologico]], associabile a situazioni di mobbing. La giurisprudenza dispone più frequentemente e facilmente il risarcimento del [[danno biologico]], ma non del [[danno morale]]; il mobbing deve aver procurato al lavoratore una delle [[malattia|malattie]] documentate in letteratura medica per avere diritto a un'indennità dall'azienda, anche se ci sono tutele contro il [[trasferimento (lavoro)|trasferimento]] ed il [[licenziamento]] dei lavoratori.<ref>Vedasi ad esempio art. 18 dello ''[[Statuto dei Lavoratori]]''.</ref>
La Costituzione italiana (artt. 2-3-4-32-35-36-41-42) tutela la persona in tutte le sue fasi esistenziali, da quella di cittadino a quella di lavoratore. Inoltre, sul datore di lavoro grava l’obbligo contrattuale, derivante dall’art. 2087 c.c., di tutelare la salute e la personalità morale del dipendente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che un’iniziativa diretta alla repressione, non già alla prevenzione dei fatti mobbizzanti non è idonea a costituire adempimento agli obblighi previsti dall’art. 2087 del [[codice civile italiano]].<ref>Sentenza Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - del 25 maggio 2006 n.
Esiste invero una girisprudenza piuttosto ampia in tema; la sentenza del tribunale di [[Pisa]] del 10 gennaio 2002<ref>Trib. Pisa, sezione lavoro (1º grado) - 10 gennaio 2002</ref> ha stabilito la non computabilità nella durata della malattia delle assenze riconducibili alla violazione dell’obbligo aziendale di non aggravamento del compromesso stato di salute del dipendente. Un successiva sentenza della Corte Corte di Cassazione del 21 gennaio 2002 ha richiamato gli articoli del codice civile per i quali è obbligo del datore garantire un contesto lavorativo che non determini inidoneità fisiche e psichiche dei dipendenti, e non aggravi condizioni presenti o sopraggiunte per cause indipendenti dal contesto lavorativo.<ref>Sezione Lavoro, 21 gennaio 2002 n. 572 (udienza 14 giugno 2001) – Pres. Sciarelli – Rel. Mileo)</ref>La Corte in un successivo orientemnento del [[2005]] statuì che quando la situazione [[patologia|patologica]] è indotta dal [[datore di lavoro]] non vi è superamento del periodo di comporto.<ref>La sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 5 marzo 2005 n. 4959 ha stabilito che un periodo di malattia eccedente i limiti previsti nel Contratto Collettivo di riferimento non è giustificato motivo soggettivo di licenziamento, se la malattia o invalidità permanente del lavoratore hanno una causa prevalente nell'attività lavorativa, oppure se, sopraggiunte per cause indipendenti, trovano nell'attività lavorativa una concausa aggravante, e il datore non adibisce il lavoratore ad altre mansioni, purché sussistano in azienda.</ref><ref name="nota">Resta salvo il principio, consolidato in giurisprudenza, della insindacabilità, ossia non modificabilità, delle scelte dell'imprenditore in tema di assetto organizzativo dell'azienda. In altre parole, se non esiste una mansione alternativa, il giudice non può disporre cambiamenti organizzativi o di sede, tali da creare un ruolo in cui il ricorrente possa essere reinserito.</ref>
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