Seconda guerra di Morea: differenze tra le versioni

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Allo scopo di ricevere sostegni anche dagli Stati europei, la Repubblica Veneta si appellò al [[Pontefice]] e al [[Sacro Romano Impero]] in vista dell’aspra lotta che l'avrebbe presto opposta agli ottomani. Tuttavia se lo [[Stato della Chiesa]] assicurò un simbolico sostegno immediato con l’invio di 6 galeotte e 4 galere, l’imperatore, reduce dal lungo conflitto di successione spagnolo, esitava a distogliere truppe dal sud Italia dove si temeva una spedizione militare degli iberici volta al recupero delle terre perse, mostrandosi inizialmente indifferente agli eventi che colpivano la città lagunare. Nel corso della guerra, ausili di bastimenti da battaglia, seppur alquanto esigui, pervennero comunque da [[Spagna]], [[Portogallo]], [[Repubblica di Genova]], [[cavalieri di Malta]] e [[Granducato di Toscana]], anche per l’intercessione offerta da Papa [[Clemente XI]].<ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995| pp. 317-318}}.</ref><ref>{{cita|V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti 1996|p. 410}}.</ref>
===La perdita dei domini veneziani nell'Egeo===
La prima azione intrapresa dalla Repubblica Veneta fu quella di inviare l’[[Armata Grossa]] veneziana nei pressi del [[Capo Matapan]] (Peloponneso), allo scopo di fornire protezione ai convogli che vi transitavano da Venezia diretti a [[Napoli di Romania]] (capitale del Peloponneso), mentre il Capitano Generale da Mar Dolfin restò a [[Climinò]] (nell’isola ionica di Santa Maura), in attesa del sopraggiungere delle forze navali alleate e di quelle inviate dalla Dominante. Il naviglio ausiliario arrivò a [[Corfù]] nel giugno 1715, ma dopo un mese di concie solamente l’11 luglio successivo si congiunse ai legni marciani nelle acque di [[Patrasso]]. Tale ritardo spinse il Dolfin, che disponeva di 22 [[vascelli]], 22 galere, 2 [[galeazze]] e 10 [[galeotte]], oltre a 4 galere pontificie, 2 maltesi, 3 toscane e 2 genovesi, ad intraprendere la decisione di non recarsi con le proprie forze nell’Arcipelago a contrastare il naviglio nemico, veleggiando su [[Modone]] con l’intento di fornire ausilio alla siffatta piazza, prossima a subire l’assalto turco.<ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995|pp. 317-318}}.</ref> [[Image:Acrocorinto.jpg|thumb|left|Le imponenti mura erette dai veneziani ad Acrocorinto, lasulla parte alta della città di Corinto]]
L’attacco ai possedimenti della Repubblica Veneta nel Levante, fu pianificato dall'Impero Ottomano per l’estate del 1715. Il Provveditore veneziano in Morea, date le esigue forze disponibili rispetto alla vastità del territorio da difendere (costituito da ben 1600 chilometri di coste frastagliate), deliberò di abbandonare le zone di [[Mistrà]], [[Calamata]], [[Calavvita]], [[Gastuni]], [[Arcadia]], [[Patrasso]], concentrando armati e abitanti nella difesa delle piazze di Napoli di Romania (Nauplia), Corinto, Malvasia, Modone, [[Castel di Morea]], e nelle due fortezze di [[Chielafà]] e [[Zarnata]], poste nel sud del Peloponneso nella penisola della Maina. Le piazzeforti della Morea erano appena state rimodernate dalla Serenissima negli ultimissimi anni di permanenza nel Regno, tuttavia l’avanzata ottomana fu tanto rapida quanto fortunosa. La flotta turca, complessivamente forte di 58 navi a vela tra ottomane, barbaresche ed egiziane, 5 brulotti, 30 galere, 60 galeotte e numerosi bastimenti da trasporto, il 5 giugno sbarcò un numeroso gruppo di armati presso [[Tino]], isola veneziana dell’Egeo, la quale, su decisione del governatore [[Bartolomeo Bobbi]] e del comandante [[Bernardo Balbi]] che constatarono il mancato appoggio dei greci, capitolò senza combattere. Il presidio della piazzaforte fu trasportato a Nauplia, dove il Balbi fu giudicato per la propria condotta e condannato alla prigione perpetua, sorte riservata anche a Francesco Bembo, arresosi il 7 luglio presso la seconda e ultima isola dell’Arcipelago rimasta in mano a Venezia, [[Egina]]. Contemporaneamente l’armata di terra ottomana, costituita da oltre 80.000 uomini al comando del Gran Visir, penetrava in Morea dall’istmo di Corinto il 20 giugno, cingendo d’assedio l’omonima piazza 9 giorni più tardi. Nonostante i propositi di resistenza del Provveditore straordinario [[Giacomo Minotto]], il 4 luglio dopo un intenso bombardamento che fece crollare il portone principale, i veneziani si arresero. Analoga fu la sorte a cui andò incontro Napoli di Romania, difesa da 2.000 regolari e 1.000 volontari circa. Seppure la bontà delle fortificazioni fece sperare una lunga resistenza, l’inesperienza degli artiglieri, la scarsità delle forze e la mancanza di minatori contribuirono fortemente alla caduta del sito il 17 luglio dopo 9 giorni di assedio. Particolarmente audace in tale occasione fu l'azione effettuata da parte di un commando turco, il quale, impadronitosi del molo arrivandovi a nuoto e scalando la muraglia, ove non erano presenti difensori, occupati a respingere l’attacco via terra, penetrò indisturbato in città. Alla perdita di Nauplia tenne dietro quella di Castel di Morea l’8 agosto, stretta in blocco dai turchi da solo 4 giorni, di Modone per l’ammutinamento del presidio al Provveditore [[Vincenzo Pasta]], il quale era invece intenzionato a continuare la resistenza, e infine di Malvasia. Quest'ultima, la più munita fortezza veneziana del Peloponneso eretta su uno scoglio in posizione quasi imprendibile a detta degli stessi ottomani, capitolò per volontà del Provveditore Federico Badoer senza che fosse stato sparato un colpo di fucile, comportamento che comportò al patrizio veneto la condanna alla prigionia. Alla fine di agosto dunque l’intera Morea con l’isola di [[Cerigo]] giaceva nuovamente in potere degli ottomani, i quali in pochi mesi avevano dissolto l’impero marittimo creato da [[Francesco Morosini]] dopo lunghi anni di sanguinose lotte.<ref>{{cita|S. Romanin, 1972-1975|vol. VIII, pp. 29-33}}.</ref><ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995|pp. 319-321}}.</ref> [[Image:Palamidi castle - Agios Andreas Bastion.jpg|thumb|right|Le fortificazioni veneziane realizzate tra il 1711 e il 1714 a Palamidi, altura dominante Napoli di Romania]] Il Capitano generale da Mar Daniele Dolfin nel corso dell’offensiva ottomana in Morea sembrò mostrare una scarsa decisione nella propria condotta guerresca, non apportando un sostegno convincente ai siti costieri veneziani attaccati dagli ottomani. La flotta della Porta rifuggiva inoltre da ogni scontro col naviglio della Serenissima. Solamente il 12 agosto l’Armata turca fu avvistata nel golfo di [[Calamata]], tuttavia le imbarcazioni da guerra venete non giunsero al contatto con essa dato l’incorrere di una persistente bonaccia e una folta foschia, ritirandosi infine a Climinò nell’isola di Santa Maura. Proprio questa piazza si rivelava essere il successivo obiettivo ambito dai turchi allo scopo di estromettere l’influenza della Serenissima oltre che dal controllo dell’Egeo pure dal Mar Ionio. Appreso che la Porta presto vi avrebbe sbarcata una forza ingente di oltre 30.000 uomini per porre l’assalto alla fortezza, la consulta di guerra veneziana, appurata l’impossibilità ad effettuare ogni seria resistenza in oppugnazione all’avversario, stabilì l’evacuazione dell’isola da parte di difensori e abitanti, unitamente alla demolizione di ogni fortificazione. Nel novembre inoltre, le uniche due fortezze della Repubblica Veneta rimaste a [[Creta]], la [[Suda]] e [[Spinalonga]], dovettero arrendersi dopo oltre 4 mesi di duro assedio da parte del [[Pascià di Candia]], impossibilitate a proseguire la difesa a fronte del mancato pervenimento di rifornimenti e soccorsi adeguati. La campagna bellica del 1715 finì dunque in modo disastroso per la Repubblica, la quale aveva visto il Proprio Stato da Mar dimezzarsi territorialmente nello scacchiere dell’estremo oriente, e accrescere seriamente il pericolo di assalto turco anche alle isole dell’Arcipelago dello Ionio. Solamente in Dalmazia si riuscì a respingere l’attacco ottomano a Sinj, effettuato nondimeno da un quantitativo di truppe non particolarmente elevato dato l’impiego della maggior parte delle forze turche in Morea.<ref>{{cita|S. Romanin, 1972-1975|vol. VIII, pp. 29-33}}.</ref><ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995|pp. 320-322}}.</ref>
Il Capitano generale da Mar Daniele Dolfin nel corso dell’offensiva ottomana in Morea sembrò mostrare una scarsa decisione nella propria condotta guerresca, non apportando un sostegno convincente ai siti costieri veneziani attaccati dagli ottomani. La flotta della Porta rifuggiva inoltre da ogni scontro col naviglio della Serenissima. Solamente il 12 agosto l’Armata turca fu avvistata nel golfo di [[Calamata]], tuttavia le imbarcazioni da guerra venete non giunsero al contatto con essa dato l’incorrere di una persistente bonaccia e una folta foschia, ritirandosi infine a Climinò nell’isola di Santa Maura. Proprio questa piazza si rivelava essere il successivo obiettivo ambito dai turchi allo scopo di estromettere l’influenza della Serenissima oltre che dal controllo dell’Egeo pure dal Mar Ionio. Appreso che la Porta presto vi avrebbe sbarcata una forza ingente di oltre 30.000 uomini per porre l’assalto alla fortezza, la consulta di guerra veneziana, appurata l’impossibilità ad effettuare ogni seria resistenza in oppugnazione all’avversario, stabilì l’evacuazione dell’isola da parte di difensori e abitanti, unitamente alla demolizione di ogni fortificazione. Nel novembre inoltre, le uniche due fortezze della Repubblica Veneta rimaste a [[Creta]], la [[Suda]] e [[Spinalonga]], dovettero arrendersi dopo oltre 4 mesi di duro assedio da parte del [[Pascià di Candia]], impossibilitate a proseguire la difesa a fronte del mancato pervenimento di rifornimenti e soccorsi adeguati. La campagna bellica del 1715 finì dunque in modo disastroso per la Repubblica, la quale aveva visto il Proprio Stato da Mar dimezzarsi territorialmente nello scacchiere dell’estremo oriente, e accrescere seriamente il pericolo di assalto turco anche alle isole dell’Arcipelago dello Ionio. Solamente in Dalmazia si riuscì a respingere l’attacco ottomano a Sinj, effettuato nondimeno da un quantitativo di truppe non particolarmente elevato dato l’impiego della maggior parte delle forze turche in Morea.<ref>{{cita|S. Romanin, 1972-1975|vol. VIII, pp. 29-33}}.</ref><ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995|pp. 320-322}}.</ref>
 
===La lega tra Venezia e il Sacro Romano Impero===