Seconda guerra di Morea: differenze tra le versioni

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{{Campagnabox Guerre turco-veneziane}}
 
==Contesto storico==
Alla fine del gennaio 1699 si concludevano con la [[pace di Carlowitz]] i negoziati tra l’[[Impero Ottomano]] e i vittoriosi componenti della Lega costituitasi tra il 1683 e il 1686 in avversione al Turco. Fra di essi vi faceva parte pure la [[Repubblica di Venezia]], la quale dopo 15 anni di ininterrotte campagne belliche, attraverso le imprese del “peloponnesiaco” [[Francesco Morosini]] acquistava nuovi territori nell’ Oltremare. La [[Dalmazia veneta]], i cui confini raggiunsero la cosiddetta linea Grimani (dal nome del commissario veneto che li delimitò), si ingandì notevolmente attraverso l'annessione delle città di [[Knin]], [[Sign]] e [[Ciclut]], al pari dell'[[Albania veneta]], dove venivano annesse [[Castelnuovo]] e [[Risano]]; nel [[mar Jonio]] entrava a far parte della Repubblica di Venezia l’isola di [[Santa Maura]], nell’arcipelago del [[mar Egeo]] l’isola di [[Egina]], ma soprattutto il Regno di [[Morea]] (così era chiamato pomposamente dai veneziani l’odierno Peloponneso), sino all’[[istmo di Corinto]]. Veniva altresì eliminato il tributo annuale di 1.500 ducati che sino ad allora da oltre cent’anni la Serenissima aveva dovuto corrispondere alla Porta per il mantenimento del possesso di [[Zante]] (500 ducati dal 1503, stabiliti a 1.500 nel 1573). Tali conquiste portavano allo [[Stato da mar]] veneziano cospicui territori, anche se il sultano ottomano per mezzo dei propri rappresentanti a Carlowitz fu risoluto a non cedere a Venezia le altre terre poste a nord della Morea cadute pure esse in mano della Repubblica Veneta nel corso del conflitto (tra le quali la piazzaforte di [[Lepanto]]), che avrebbero permesso di arginare e difendere con maggior efficacia una potenziale futura offensiva turca via terra diretta nel Peloponneso.<ref>{{cita|J.J.Norwich 1981|pp. 375-376}}.</ref>
 
==La guerra==
[[Image:Regno di Morea.svg|thumb|left|La Morea e le sue suddivisioni amministrative così come stabilite dal governo di Venezia]]
Non passò molto tempo che l’Impero Ottomano difatti meditò di riprendersi quanto era stato costretto a cedere alla Serenissima pochi anni prima, in primis la Morea, e recuperare quindi il controllo dell’Egeo. La Porta aveva ripreso fiducia in merito alle proprie capacità belliche a seguito dell’esito fortunato della guerra contro la [[Russia]] nel 1711, ed oltretutto Venezia con la proclamazione della neutralità al conflitto dinastico per il trono spagnolo ([[guerra di successione spagnola]]), era rimasta isolata diplomaticamente. Il momento per aprire una ennesima recrudescenza armata con la Repubblica Veneta fu perciò considerato propizio, ed il 9 dicembre del 1714 cogliendo a pretesto la cattura di una nave ottomana e l’asilo politico dato al vladica di [[Montenegro]], il quale sconfitto dalle armate turche si era rifugiato a [[Cattaro] dove i veneziani si erano poi rifiutati di consegnarlo, il [[Gran Visir]] [[Silahdar Damat Ali Pascià]] arrestò il [[Bailo]] veneziano di [[Costantinopoli]] [[Andrea Memmo]] dichiarando guerra alla città lagunare. Già pochi mesi prima il Memmo aveva posto in guardia la Dominante sugli ingenti preparativi militari effettuati dalla Porta, quali il riattamento delle principali fortezze antistanti il [[Levante Veneto]], l’arruolamento di truppe in [[Bosnia]] e in altre province dell’Impero turco, l’intensa attività di costruzione navale incorsa nell’[[Arsenale]] di Costantinopoli. Al precipitare degli eventi, Venezia nominò [[Capitano Generale da Mar]] [[Daniele Dolfin]] e [[Provveditore Generale in Morea]] [[Alessandro Bon]]. Quest’ultimo tuttavia poteva opporre al turco nel Peloponneso solamente poco più di 7.000 uomini regolari e uno scarso quantitativo di milizie locali. In un dispaccio inviato alla Repubblica in quel periodo, lamentò infatti egli di come [[Napoli di Romania]], capitale del Regno di Morea, possedesse solamente 1.269 soldati, e quantunque si aspettasse un rinforzo di oltre 500 teste, la difesa del sito ne richiedeva almeno 3.000. L’apporto dei greci abitanti di Morea nei confronti dei veneziani si rivelò d’altronde piuttosto scarno, soprattutto perché essi sotto la dominazione turca avevano goduto di larghe autonomie, a discapito invece delle misure accentratrici di Venezia, presenti sia dal punto di vista commerciale che da quello religioso (vigeva il divieto di comunicare con il patriarcato di Costantinopoli). Perfino i Mainotti (residenti nella [[Maina]]), da sempre conosciuti come i più zelanti sostenitori della presenza veneziana in Morea, titubavano ad appoggiare la Serenissima per non esporre il proprio paese a saccheggi e devastazioni da parte dei turchi. Per quanto riguarda il naviglio militare in dotazione di San Marco, alla vigilia della seconda guerra di Morea erano dislocati nel riparto del Levante 8 [[navi di linea]], non completamente equipaggiate, come lamentava in una relazione del dicembre 1714 il [[Capitano Straordinario delle navi]], e 11 [[galere]]. Dei rinforzi pervennero dalle [[isole Ionie]], constanti in 2 galere e 2 galeotte provenienti da [[Zante]], 1 galera allestita a spese di [[Cefalonia]] e 620 soldati forniti dai fratelli Logoteti di Zante. Nell’[[Arsenale di Venezia]] nel frattempo venivano varati i vascelli “San Francesco” e “Terrore”, unitamente all’armamento di altri presenti negli scali.<ref>{{cita|V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti 1996|pp. 409-410}}.</ref><ref>{{cita|E. Musatti, 1973|vol. II, p. 86}}.</ref><ref>{{cita|S. Romanin, 1972-1975|vol. VIII, pp. 28-29}}.</ref><ref>{{cita|E. Musatti, 1973|vol. II, p. 86}}.</ref><ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995|pp. 315-317}}.</ref>
Allo scopo di ricevere sostegni anche dagli Stati europei, la Repubblica Veneta si appellò al [[Pontefice]] e al [[Sacro Romano Impero]] in vista dell’aspra lotta che l'avrebbe presto opposta agli ottomani. Tuttavia se lo [[Stato della Chiesa]] assicurò un simbolico sostegno immediato con l’invio di 6 galeotte e 4 galere, l’imperatore, reduce dal lungo conflitto di successione spagnolo, esitava a distogliere truppe dal sud Italia dove si temeva una spedizione militare degli iberici volta al recupero delle terre perse, mostrandosi inizialmente indifferente agli eventi che colpivano la città lagunare. Nel corso della guerra, ausili di bastimenti da battaglia, seppur alquanto esigui, pervennero comunque da [[Spagna]], [[Portogallo]], [[Repubblica di Genova]], [[cavalieri di Malta]] e [[Granducato di Toscana]], anche per l’intercessione offerta da Papa [[Clemente XI]].<ref>{{cita|M. Nani Mocenigo, 1995| pp. 317-318}}.</ref><ref>{{cita|V. Ilari, G. Boeri, C. Paoletti 1996|p. 410}}.</ref>