Processo mediatico: differenze tra le versioni
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'''Processo mediatico''' è un'espressione della [[lingua italiana]] entrata nell'uso giornalistico e sociologico per riferirsi a una patologia della rappresentazione di eventi criminosi da parte dei [[mezzi di comunicazione di massa]] italiani, in particolare da parte di [[televisione in Italia|quelli televisivi]]. In simili casi, sono i mass media ad assumersi il ruolo di mettere in piedi percorso extra-processuale, per [[Circo mediatico|via mediatica]], al fine di individuare un colpevole, attraente dal punto di vista mediatico, che finisce per essere additato alla pubblica riprovazione. Talvolta si usa anche il termine di '''linciaggio mediatico'''.
Questo processo di "invenzione" (o "fabbricazione") del colpevole riesce a essere così convincente e suggestivo da influenzare l'[[opinione pubblica]] anche quando la soluzione del caso ha permesso di accertare i veri responsabili, e di scagionare chi è stato oggetto di accuse mediatiche. Il ruolo principale, nel "processo mediatico", viene svolto dal mezzo televisivo; questo si spiega con il maggior favore accordatogli dagli [[italiani]] rispetto ad altre fonti di informazione.
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== Fenomenologia del processo mediatico ==
Un primo esempio di questa fenomenologia, in Italia, fu il processo contro [[Pietro Valpreda]], accusato e assolto per la [[strage di piaza Fontana]], ma fu dagli anni '90 che si diffuse particolarmente il fenomeno, talvolta con imputati invitati (se in libertà) in televisione a processo in corso.<ref>[http://www.webalice.it/guido.vitiello/valentini%2028-10-2002.htm Giovanni Valentini, ''Quando il processo lo fanno i mass media'']</ref>
Da un punto di vista [[fenomenologia|fenomenologico]], la patologia sottesa al cosiddetto "processo mediatico" si realizza, soprattutto mediante il mezzo televisivo, attraverso la formazione di un generalizzato giudizio di colpevolezza, condiviso da una grande platea di spettatori, per effetto di un «processo celebrato sui mezzi d'informazione»<ref name="L. D'Auria"/>. Questo fenomeno della comunicazione televisiva e del [[giornalismo in Italia|giornalismo italiano]] emerge da una sinergia patologica che si stabilisce tra cittadini-telespettatori e [[mezzi di comunicazione di massa]], soprattutto televisivi<ref name="Almanacco Guanda, 262"/>. È ritenuto emblematico del [[mutamento sociale]] che ha trasfigurato il volto antropologico della società italiana nei circa due decenni a cavallo del cambio di secolo<ref name="Almanacco Guanda, 262">Ranieri Polese, ''Come si cambia: 1989-2006. La metamorfosi italiana'', 2006 (p. 262)</ref>.
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Un altro profilo problematico associato al [[fenomeno sociale]] riguarda la possibilità che il rumore mediatiche e le aspettative delle moltitudini degli spettatori televisivi finiscano per turbare la serenità della [[giuria popolare]] nei vari gradi e condizionarne l'espressione del giudizio<ref name="B. Carfagna, 306">[[Barbara Carfagna]], ''Processo mediatico e processo giuridico'', in Luisella De Cataldo Neuburger (a cura di), ''La prova scientifica nel processo penale'', 2007 (p. 306)</ref>.
Il giudice [[Ferdinando Imposimato]], parlando del caso [[Marta Russo]] (e della condanna di [[Giovanni Scattone]] e [[Salvatore Ferraro (1967)|Salvatore Ferraro]]) e di altri casi, analizzò due diversi atteggiamenti della stampa. In certi casi ci fu un "silenzio della stampa", che ha favorito una certa tolleranza del potere giudiziario verso alcune irregolarità diffuse; in altri casi ci fu molto clamore, spesso di tono colpevolista. Secondo il magistrato la maggioranza dei processi mediatici generano errori giudiziari. In tal modo il giornalista diventa complice: quello che accade e che si scrive nei primi giorni diviene spesso determinante l'opinione pubblica né quella dei giudici popolari, che si rifanno alla prima impressione, adeguandosi alla tesi dell'accusa. A causa del "libero convincimento del giudice", una campagna di stampa colpevolista può avere effetti irreversibili ai fini di un'ingiusta condanna. Nel caso citato, benché la sentenza di condanna per colpa abbia escluso il dolo, la prima ricostruzione (un omicidio effettuato per gioco o per realizzare il "delitto perfetto") rimase legata al caso nella mente di parte dell'opinione pubblica, a causa di una campagna stampa aggressiva e accondiscendente verso le tesi degli investigatori e dei pubblici ministeri, i quali si avvalsero spesso dello strumento della [[querela]] per difendere il loro teorema giudiziario.<ref>[http://www.webalice.it/guido.vitiello/tavolarotonda.htm Tavola rotonda su informazione e giustizia]</ref>
La maggioranza dei processi mediatici con impostazione colpevolista, da parte dei mass media, si è infatti conclusa, a differenza di altri casi giudiziari, con la condanna dei principali imputati. Una delle poche eccezioni è considerato il processo per l'[[omicidio di Meredith Kercher]], in cui due imputati su tre (Raffaele Sollecito e Amanda Knox) vennero assolti dopo un lungo e travagliato iter giudiziario, nonostante l'iniziale impostazione mediatica volta a colpevolizzare i due giovani come esponenti della "gioventù bruciata", e persino ad attaccare in maniera pesante il giudice di secondo grado, che aveva pronunciato la prima sentenza di assoluzione.<ref>[http://www.repubblica.it/cronaca/2015/03/30/news/claudio_pratillo_hellmann_per_avere_assolto_amanda_e_raffaele_venni_linciato_anche_dai_magistrati_-110835508/ ''Claudio Pratillo Hellmann: "Per aver assolto Amanda e Raffaele venni linciato anche dai magistrati"'']</ref><ref>[http://www.amandaknoxcase.com/il-caso-amanda-knox-e-raffaele-sollecito/ ''Il caso Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Il più rilevante errore giudiziario del ventunesimo secolo'']</ref>
== Note ==
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