Nel [[1837]] il Ravizza, prendendo spunto dal ''[[Tacheografo|Tachigrafo]]'' dell'ing. [[Piero Conti|Pietro Conti]] di [[Cilavegna]] ([[1796]] – [[1856]]), una macchina capace di scrivere premendo dei tasti, incominciò a concepire e realizzare il suo ''Cembalo scrivano'', così chiamato perché si basava sul meccanismo del [[pianoforte]]. Dopo alcuni anni, il 14 settembre [[1855]], con l'''Attestato di privativa industriale'' dell'Ufficio Centrale di [[Torino]] (vol. n. 103), ottenne il [[brevetto]] per la sua macchina<ref>{{Cita|Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, ''Dal cembalo scrivano alla scrittura elettronica'', 1985|p. 1887|Dal cembalo scrivano alla scrittura elettronica}}</ref>. Nel brevetto veniva indicata come "cembalo scrivano, ossia macchina da scrivere a tasti" e veniva descritta la "tastiera a 32 tasti quadrati, in due linee sovrapposte, lettere in mezzo e interpunzioni ai lati". A ciascun tasto corrispondeva un [[martelletto]] e l'insieme dei martelletti era disposto in cerchio (prima ''[[cesta delle leve]])''. La macchina presentava, inoltre, il telaio portafoglio mobile, il nastro [[inchiostro|inchiostratore]] (fino a quel momento veniva utilizzato un tampone per inchiostrare i tasti di scrittura), un dispositivo per fissare l'[[interlinea]] e il campanello indicatore di fine riga<ref>{{Cita|Daniele Casalegno, ''Uomini e computer'', 2013|cap. 4|Uomini e computer}}</ref>. Era composta da quasi 600 pezzi in [[legno]] e circa 100 in [[Ottone (lega)|ottone]] e risultava piuttosto pesante e poco maneggevole.
In quel periodo il giornale di [[Genova]], ''[[La Stampa]]'' pubblica un articolo sull'avvocato Giuseppe Ravizza e la sua invenzione, descrivendone il funzionamento e i vantaggia che avrebbe portato: