Stato assoluto: differenze tra le versioni
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Per '''Stato assoluto''' s'intende uno [[Stato]] definito come "assoluto" (''absolutus'', sciolto da) perché rappresentato dal sovrano, libero da qualsiasi ingerenza o condizionamento che provenga dall'esterno ma limitato all'interno dalla presenza di ceti sociali, quali la borghesia, la nobiltà e il clero, «ai quali è riconosciuto il diritto di consentire all’imposta, attraverso le loro assemblee rappresentative (parlamenti e assemblee di Stati).»<ref>''Dizionario di storia'' Treccani (2011) alla voce "Stato moderno"</ref>.
La formazione è da ricercarsi nel [[XV secolo]], tuttavia esso non va confuso con la sua evoluzione che porta all'[[assolutismo monarchico]], fenomeno politico del [[XVII secolo]] dove lo
== Storia ==
Già alla fine del [[Medioevo]] gli Stati moderni assoluti, come Francia, Inghilterra, Spagna, si caratterizzano per due elementi determinanti: «l'accentramento del potere nelle mani del re e l'unificazione territoriale. Esso è perciò l'opposto dello Stato [[feudo|feudale]]» dove l'autorità del re è poco più che nominale su un territorio nazionale spesso frantumato in zone che sfuggono al potere centrale, dominate dalla [[feudalesimo|feudalità laica ed ecclesiastica]] che agisce da sovrana nei suoi possessi.<ref>Antonio Desideri, ''Storia e storiografia'' - ''La formazione degli Stati assoluti'', Vol.I, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, 1977 p.483 e sgg.</ref><ref>Francesco Landogna, ''Antologia della critica storica''', Parte 1, G. P. Petrini, 1966 p.598 e sgg.</ref>
Questa discontinuità con il passato è soprattutto dovuta alla sostituzione nell'apparato amministrativo e burocratico dello Stato del ceto feudale con una nuova classe di amministratori. Il re ora fa riferimento per l'esercizio del potere sul territorio a questi funzionari che egli sceglie e compensa non più con feudi ma con uno stipendio. Egli può quindi governare facendo affidamento su funzionari che se ribelli ai suoi voleri saranno privati del loro sostentamento monetario.
Un governo quindi molto più tranquillo ed affidabile di quando ci si doveva confrontare con grandi e piccoli feudatari ribelli ai quali era vano ordinare di restituire quei feudi che essi avevano ottenuto in cambio del loro ipotetico "''auxilium et consilium''" come recitava la formula del [[vassallaggio]] feudale.
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[[File:Buechsenschaffter-1568.png|thumb|La bottega dell'armaiolo]]
Essenziale al potere del sovrano sarà la forza delle armi costituita da un esercito permanente di volontari [[mercenario|mercenari]] sempre al servizio, almeno finché riceveranno il "soldo", di chi li paga. Un esercito relativamente più affidabile rispetto al malfido e indisciplinato esercito feudale, difficile da formare e da guidare. Ancora una volta il denaro diventa determinante e si sostituisce ai vecchi valori medioevali di fedeltà e onore dei cavalieri feudali.
{{Quote|Nell’opera di rafforzamento dei loro Regni, i sovrani europei dovettero far fronte alla necessità di organizzare eserciti permanenti, più strutturati rispetto alle vecchie milizie feudali o alle armate mercenarie.<ref>Philippe Contamine, ''La guerra nel Medioevo'' - ''Gli eserciti permanenti'', Cap.IV, Il Mulino editore</ref>}}
Il fattore economico inoltre gioca un ruolo importante, anche perché con il progredire della tecnologia bellica e la comparsa di nuove [[armi da fuoco]] quali [[archibugio|archibugi]] e [[artiglieria|artiglierie]], il ruolo del cavaliere tradizionalmente inteso iniziò a vacillare; infatti al valore si sostituisce la competenza tecnica. L'artiglieria segnerà veramente la fine del potere feudale arroccato nel suo castello nei lunghi assedi medioevali.<ref>Ph. Contamine, ''Op.cit.'' - ''Le artiglierie'', Cap. IV</ref> Un altro formidabile strumento per rompere l'assalto della cavalleria sarà il nuovo addestramento dei soldati all'[[tercio|"ordine svizzero"]]. Una massa compatta di fanti, armati di lunghe lance e moschetti, addestrati a muoversi tutt'insieme, a non scompaginarsi e a presentare una selva di punte e pallottole alle armature dei cavalieri. Il sovrani hanno sempre maggior bisogno di denaro e quindi di pari passo aumenteranno le imposizioni fiscali da ottenere con un sistema tributario più razionale ed efficiente <ref>''Enciclopedia delle scienze sociali Treccani'',1994 di Filippo Cavazzuti e Adriano Di Pietro, ''FISCO E SISTEMI FISCALI'', ''Economia'' di Filippo Cavazzuti
==Lo scontro fiscale tra Chiesa e Stato==
[[File:Bonifatius VIII Grabstatue.JPG|thumb|upright=0.7|Papa Bonifacio VIII]]
È la necessità di denaro per l'ammodernamento dello Stato e per le sue artiglierie che spinge [[Filippo IV di Francia|Filippo IV]] il Bello re di Francia ([[1268]]-[[1314]]), ad una mossa rivoluzionaria. Anche il clero sarà assoggettato al pagamento dei tributi.
Questo equivarrà per il [[papa Bonifacio VIII]](Anagni, [[1230]] - Roma, [[1303]]), ad una blasfema eresia da punire con bolle di rimprovero e scomuniche ("[[Bonifacio VIII|Unam Sanctam]]"). «''Dalla fine dell'Impero romano le immunità finanziarie del clero non avevano mai cessato di aumentare, ed erano da secoli considerate naturali quanto le immunità giudiziarie''»<ref name="ReferenceA"/>.
Il papa teocratico che ancora sogna di poter realizzare l'utopia medioevale di un impero universale cristiano non ha capito la nuova forza dello Stato nazionale assoluto. Sono finiti i tempi dell'umiliazione di [[Matilde di Canossa|Canossa]].Ormai ciò di cui si tratta non è più una disputa religiosa sulla preminenza del potere spirituale o temporale ma la controversia è politica: "la sovranità monarchica, l'esistenza stessa dello Stato, gli interessi più evidenti delle nazioni"<ref name="H. Pirenne, op.cit">H. Pirenne, op.cit.</ref>.
Bonifacio VIII non ha compreso che chi gli si oppone non è solo il re ma un intero popolo. Il re ha con sé la forza dell'opinione pubblica, che egli del resto si è procurato abilmente a mezzo di false bolle pontificie redatte dalla cancelleria reale. E anche questo è un segno dei tempi: Filippo IV, spregiudicato e cinico come il futuro Principe di Machiavelli, esercita la politica per la politica, non lo frenano considerazioni morali e religiose.
Il re quindi, convocherà gli Stati generali che compatti si schiereranno a sostegno del loro sovrano («''Mai sopporteremo che il nostro re si sottometta a delle esigenze così inaudite''»<ref
Il vecchio papa non riuscì a superare un affronto così grave: lui il papa del [[Giubileo|Grande Giubileo]] del [[1300]], il primo nella storia della Chiesa quando pellegrini e principi erano venuti a Roma a rendere omaggio al capo della spiritualità.
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"''Diciamo dunque d'accordo con la verità e l'opinione di Aristotele, nella "Politica", libro III, capitolo VI, che il legislatore o la causa prima ed efficiente della legge è il popolo, o l'intero corpo dei cittadini o la sua "parte prevalente" (pars valentior), mediante la sua elezione o volontà espressa con le parole nell'assemblea generale dei cittadini, che comanda che qualcosa sia fatto o non fatto nei riguardi degli atti civili umani, sotto la minaccia di una pena o punizione temporale''"<ref>M. da Padova, a cura di C. Vasoli, Torino 1960</ref>.
L'autorità dunque di fare le leggi e di farle rispettare, dice chiaramente Marsilio, spetta soltanto al "popolo", sia che la parola voglia indicare la classe dirigente o l'"universalità" dei cittadini.
Altrettanto vale per la Chiesa: il vescovo è tale perché la sua autorità dipende dalla libera scelta dei fedeli e di conseguenza il governo della Chiesa non spetta al Papa ma al Concilio generale dei vescovi che rappresentano la "universalitas" dei fedeli. Per questa tesi, nata in occasione della contesa tra l'imperatore [[Ludovico il Bavaro]] e l'[[Antipapa Giovanni XXIII]], papa avignonese, che gli opponeva nel titolo imperiale Federico d'Austria, Marsilio da Padova fu duramente condannato dalla Chiesa nel [[1326]].
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