Indro Montanelli: differenze tra le versioni

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Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)|accesso = |editore = Treccani|data = 2011}}</ref> rimase in Svizzera fino alla fine della guerra. Dall'esperienza trascorsa nella prigione di Gallarate e poi in quella di San Vittore trasse ispirazione per il romanzo ''[[Il generale Della Rovere (romanzo)|Il generale Della Rovere]]''<ref>Dal libro [[Roberto Rossellini]] trasse il film-capolavoro ''[[Il generale Della Rovere]]'', che venne premiato con un [[Leone d'oro]] a [[Venezia]].</ref>.
 
=== Dal dopoguerra agli anni Sessantasessanta ===
Quando Montanelli fece ritorno in Italia, il 25 aprile [[1945]], trovò al ''Corriere della Sera'' una situazione molto diversa rispetto a quando l'aveva lasciato<ref name = "reggiani1">{{cita web|autore=Odoardo Reggiani|titolo=''Indro Montanelli (prima parte) - I grandi del giornalismo''|url=http://www.ilcastellano.net/index.php?option=com_content&view=article&id=361&Itemid=30|pubblicazione=''Il Castellano''}}</ref>. Il ''Corriere'' era stato commissariato, per decreto del [[Comitato di Liberazione Nazionale]]. Il nuovo direttore, [[Mario Borsa]], aveva organizzato l'epurazione di vari giornalisti ritenuti colpevoli di connivenza col regime di Salò<ref name="Cap 12">Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista'', cap. 12.</ref>. A indicare i nomi degli epurati fu designato [[Mario Melloni]], il futuro "Fortebraccio", che «siccome era un galantuomo, alle fine non epurò nessuno, o quasi. Io [Montanelli] fui uno dei pochi»<ref name="Cap 12" />. Montanelli dovette ricominciare dal «settimanale popolare» del ''Corriere'', ''[[La Domenica del Corriere]]'' (all'epoca intitolata ''Domenica degli Italiani''), di cui assunse la direzione nello stesso anno. Solo alla fine del [[1946]] poté tornare in via Solferino. Nel frattempo, era stato reintegrato nell'Albo dei giornalisti<ref>{{cita|Lettere|p. 265|Montanelli, 2012}}</ref>.
[[File:Montanelli dopoguerra.jpg|thumb|Montanelli nei primi anni Cinquantacinquanta.]]
Riallacciò i rapporti con l'amico [[Leo Longanesi]], pubblicando alcune opere con la sua nuova casa editrice, la [[Longanesi|Longanesi & C]] (tra cui ''Morire in piedi'', 1949). Nel [[1950]], assieme a [[Giovanni Ansaldo (giornalista)|Giovanni Ansaldo]] e [[Henry Furst]], aiutò Longanesi a fondare il settimanale ''[[Il Borghese]]''. Scrisse anche un articolo per il primo numero, datato 15 marzo 1950<ref>La collaborazione con il periodico proseguì fino al 1956. Si interruppe poiché in quell'anno l'amicizia tra i due s'incrinò.</ref>.
 
Montanelli, oltre che con Longanesi, strinse un'amicizia profonda con un altro personaggio importante nella cultura italiana dell'epoca, [[Dino Buzzati]]<ref>{{cita news|autore=Mario Biondi|wkautore=Mario Biondi (scrittore)|url=http://www.infinitestorie.it/frames.speciali/speciali.asp?ID=124|titolo= ''Montanelli: più che un'amicizia una complicità. Conversazione con Giorgio Soavi''|editore=''infinitestorie.it''|accesso=18 settembre 2012}}</ref>. Il terzo intellettuale con cui Montanelli strinse una forte e duratura amicizia fu [[Giuseppe Prezzolini]], che stimava per l'indipendenza di pensiero<ref>Montanelli conosceva la rivista che Prezzolini aveva fondato nel 1909, ''[[La Voce (rivista)|La Voce]]'', che considerava uno dei migliori prodotti del giornalismo culturale italiano.</ref>.
 
Montanelli fu amico personale dell'ambasciatrice americana [[Clare Boothe Luce]], di cui tra l'altro apprezzava il deciso anticomunismo, tanto che nel 1954 in una lettera personale si rivolse a lei in questi termini<ref>{{Cita web|autore = |url = http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/12/19/le-tre-lettere.html?ref=search|titolo = ''Le tre lettere''|accesso = |data = 19 dicembre 1998|pubblicazione = la Repubblica}}</ref>:
 
{{citazione|Se alle prossime elezioni un [[Fronte Popolare]] comunque costituito raggiungesse la maggioranza, [[Mario Scelba|Scelba]] cosa farebbe? Consegnerebbe il potere, e sarebbe la fine. (...)[…] Ma debbo aggiungere qualcosa di più: qualunque uomo di governo, oggi, anche non democristiano, si arrenderebbe per totale impossibilità di compiere un colpo di Stato. Gli mancherebbe tutto, per osarlo: la polizia e l’esercito sono inquinati di comunismo; i carabinieri, senza il Re, hanno perso ogni mordente; la magistratura è vile. E in tutto il paese non c'èc’è una forza capace di appoggiare l’azione di un uomo risoluto. Noi dobbiamo creare questa forza. Quale? Non si può sbagliare, guardando la storia del nostro Paese, che è quella di un sopruso imposto da una minoranza di centomila bastonatori. Le maggioranze in Italia non hanno mai contato: sono sempre state al rimorchio di questo pugno di uomini che ha fatto tutto con la violenza: l'unitàl’unità d'Italiad’Italia, le sue guerre e le sue rivoluzioni. Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l'l’ unica nostra fortuna. Bisogna ricercarla individuo per individuo, darle una bandiera, una organizzazione terroristica e segreta… e un capo. (...) [[Alcide de Gasperi|De Gasperi]] nella lotta contro il comunismo non serve più, come non servono più gli altri uomini e partiti dell'attuale regime. Di fronte a questa realtà, mi trovo in questo dilemma: difendere la democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell'Italia: o difendere l'Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della democrazia? La mia scelta è fatta... Suo, sinceramente, Indro Montanelli.<ref>{{Cita web|autore = |url = http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/12/19/le-tre-lettere.html?ref=search|titolo = ''Le tre lettere (pubblicate su La Repubblica)''|accesso = |data = 19 dicembre 1998}}</ref>}}
 
Nel 1998 Montanelli sostenne, a proposito del rapporto con la Luce:
Nel 1998 Montanelli sostenne, a proposito del rapporto con la Luce<ref>{{Cita web|autore = |url = http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/12/19/ma-il-mio-non-era-un-vero.html|titolo = ''Ma il mio non era un vero golpe'' |accesso = 18 febbraio 2015|data = 19 dicembre 1998|pubblicazione = la Repubblica}}</ref>:
{{Citazione|Non volevamo il [[colpo di Stato|golpe]]. Volevamo essere pronti alla resistenza, a una nuova resistenza: se prendono il potere i comunisti, che naturalmente avranno alle spalle le forze armate sovietiche, noi ci battiamo... C'erano già delle formazioni che si erano date alla montagna, per esempio quella di Carlo Andreoni, che conoscevo bene perché era stato mio compagno a San Vittore. E c'era [[Edgardo Sogno|Sogno]] che cominciava ad agitarsi. Però quelli lì volevano il golpe, io no: ecco perché non ero con loro. Finché si poteva difendere la democrazia si difendeva la democrazia, era soltanto nel caso in cui la democrazia venisse seppellita dalle cose... Io non avevo nulla a che fare con i [[Giovanni de Lorenzo|De Lorenzo]] e compagnia bella. E la Luce era perfettamente d'accordo: era lei che mi pregava di mettere tutto per iscritto.<ref>{{Cita web|autore = |url = http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/12/19/ma-il-mio-non-era-un-vero.html|titolo = ''Ma il mio non era un vero golpe'' |accesso = 18 febbraio 2015|data = 19 dicembre 1998}}</ref>}}
 
Fino alla fine del [[1953]] Montanelli fu impegnato come inviato speciale del ''Corriere'', spesso all'estero. Dal [[1954]] iniziò la sua collaborazione stabile con ''[[Il Borghese]]'', in cui firmò gli articoli sotto gli pseudonimi di Adolfo Coltano<ref>Chiaro il riferimento al campo di prigionia in cui, nei mesi successivi alla Liberazione, erano stati rinchiusi numerosi appartenenti alla R.S.I.</ref> e Antonio Siberia e di cui fu una delle tre colonne portanti, assieme a Longanesi e [[Giovanni Ansaldo (giornalista)|Giovanni Ansaldo]]<ref>Raffaele Liucci, ''L'Italia borghese di Longanesi'', Venezia, Marsilio, 2002.</ref>. Nel [[1956]] Longanesi e Montanelli diedero una descrizione opposta della [[Rivolta d'Ungheria]]; i rapporti tra i due si raffreddarono. Montanelli interruppe la collaborazione al ''Borghese''.
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{{vedi anche|Storia d'Italia (Montanelli)}}
 
Il primo libro venne intitolato ''[[Storia di Roma (saggio)|Storia di Roma]]'' e fu pubblicato a puntate su ''La Domenica del Corriere'' e poi, nel 1957, raccolto in volume per [[Longanesi]]. Dal 1959 in poi la fortunata serie venne edita dalla [[Rizzoli Editore]]. La serie continuò con la ''[[Storia dei Greci]]'', per poi riprendere con la ''Storia d'Italia'' dal Medioevo ina avantioggi.
 
Quando la parlamentare socialista [[Lina Merlin]] nel [[1956]] propose un disegno di legge che prevedeva l'abolizione della regolamentazione della [[prostituzione]] in Italia e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, in particolare attraverso l'abolizione delle [[case di tolleranza]], Montanelli si batté pervicacemente contro quella che veniva già chiamata – e si sarebbe da allora chiamata – [[Legge Merlin]]. Diede alle stampe un ''[[pamphlet]]'' intitolato ''Addio, Wanda! Rapporto Kinsey sulla situazione italiana'', un libello satirico nel quale scriveva tra l'altro:
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Nello stesso 1956 la sua attività d'inviato aveva portato Montanelli a [[Budapest]], dove fu testimone della [[rivoluzione ungherese del 1956|rivoluzione ungherese]]. La repressione sovietica gli ispirò la trama di un'opera teatrale, ''I sogni muoiono all'alba'' ([[1960]]), da lui portata anche al cinema l'anno successivo insieme a Mario Craveri ed [[Enrico Gras]], con [[Lea Massari]] e [[Renzo Montagnani]] nel ruolo dei giovani protagonisti.
 
Nel 1959 Montanelli fu protagonista della prima intervista rilasciata da un Papapapa ad un quotidiano laico<ref name = "cubeddu">{{cita news|titolo=''La Chiesa che ho conosciuto''|autore=Giovanni Cubeddu|data=luglio/agosto 2000|pubblicazione=''30 giorni nella Chiesa e nel Mondo''}}</ref>, pubblicando il resoconto di un suo incontro con [[Giovanni XXIII]]. Il pontefice, tramite il suo segretario [[Loris Capovilla]], aveva informato Missiroli di voler concedere un'intervista a un giornalista esterno al mondo cattolico. Il direttore del giornale designò perciò Montanelli al posto del vaticanista del Corriere, [[Silvio Negro]]. Superato l'iniziale imbarazzo nel trovarsi di fronte a un mondo a lui non familiare, il giornalista intrattenne una lunga conversazione con il Papa, il quale gli confidò anche alcune sue opinioni private, come la sua scarsa stima per il suo predecessore [[Papa Pio X|Pio X]], canonizzato alcuni anni prima<ref name="Cap 19">Indro Montanelli, ''Soltanto un giornalista'', cap. 19.</ref>. L'incontro con Giovanni XXIII fu pubblicato sulla terza pagina del ''Corriere'', cosa che Montanelli considerò una posizione inadatta per lo storico evento (il giornalista attribuì questa scelta di Missiroli alla sua preoccupazione di non offendere Negro per l'esclusione)<ref name = "cubeddu"/>. D'altra parte, il direttore rimproverò a Montanelli di avere relegato a un accenno la storica decisione dell'indizione del [[Concilio Vaticano II]], una notizia che Giovanni XXIII aveva ufficializzato proprio durante l'incontro: Montanelli, inesperto del linguaggio ecclesiastico, non aveva colto l'importanza dell'annuncio<ref name="Cap 19" />.
 
Nel [[1963]], dopo il [[disastro del Vajont]], Montanelli assunse una posizione controversa in merito alle reali cause della tragedia<ref>{{cita web|url=http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/06/tragedia_del_Vajont_caccia_alle_co_0_9812069410.shtml|titolo=''La tragedia del Vajont e la caccia alle streghe''}}</ref> affermando il carattere di catastrofe naturale della stessa<ref>[http://www.tinamerlin.it/Opere/Sulla%20pell_11-3.aspx ''Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont'']</ref>, e tacciando di «sciacallaggio» l'attività di alcuni giornalisti italiani, tra i quali [[Tina Merlin]] dell'''[[l'Unità|Unità]]'', che avevano denunciato i rischi derivanti dalla costruzione della diga per l'incolumità della popolazione; egli non rinnegò mai questa sua opinione negli anni, nonostante le responsabilità accertate dalla magistratura<ref>[http://www.vajont.info/vastano/ilDolore1.html ''La diga è ancora lì. Come il dolore'']</ref>.
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Dichiaratamente [[anticomunismo|anticomunista]], [[anarchismo|anarco]]-[[conservatorismo|conservatore]] (come amava definirsi su suggestione del grande amico Prezzolini), [[liberalismo|liberale]]<ref name=lett/><ref>[http://www.lanuovabq.it/it/articoli-quando-montanelli-fondo-il-giornale-9577.htm ''Quando Montanelli fondò il Giornale'']</ref><ref>[http://www.nicolatranfaglia.com/blog/2009/07/08/montanelli-diario-di-un-anarchico-norghese ''Montanelli: diario di un anarchico borghese'']</ref><ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2001/maggio/07/Liberali_destra_liberali_sinistra_co_0_0105077393.shtml ''Liberali di destra e liberali di sinistra'']</ref> e controcorrente, vedeva nelle sinistre un pericolo incombente<ref>Indro Montanelli, ''Le Nuove stanze'', «Un invito che sarebbe opportuno ripescare.»</ref>, in quanto foraggiate dall'allora superpotenza sovietica<ref>Indro Montanelli, ''Le Stanze'', p. 269.</ref>.
 
Nel [[1968]] Montanelli pubblicò sul ''Corriere'' una serie di inchieste sulle città che aveva maggiormente nel cuore. I servizi riguardarono, tra le altre, [[Firenze]] e [[Venezia]]. Il giornalista dedicò ampio spazio alla Serenissima,<ref>L'inchiesta su Venezia uscì in quattro articoli, il 22, 23, 24 e 26 novembre 1968.</ref>, lanciando l'allarme per la salvaguardia della città. Montanelli rilevò i pericoli che la crescente industrializzazione stava arrecando al delicato ecosistema lagunare. Stabilì un rapporto causa-effetto tra la forte industrializzazione della zona attorno a Porto Marghera e l'inquinamento a Venezia, la città e i suoi monumenti. Infine denunciò il silenzio delle pubbliche autorità, che continuavano ad ignorare i sintomi del degrado della laguna (su tutti l'acqua alta, che proprio in quegli anni iniziava ad essere molto frequente). Impiegò, in quest'opera di impegno civile svincolata da tematiche o colorazioni partitiche, tutta la sua autorevolezza personale<ref>[http://lanostrastoria.corriere.it/2011/01/il-sessantotto-di-montanelli-l.html ''Il Sessantotto di Montanelli, la battaglia per Venezia'']</ref>. L'anno seguente, nel [[1969]], Montanelli registrò tre ''reportage'' televisivi per la [[Rai]], dedicati rispettivamente a [[Portofino]], Firenze e Venezia<ref>Il reportage su Venezia venne trasmesso il 12 novembre 1969.</ref>.
 
=== L'abbandono del ''Corriere'' ===
[[File:Indro Montanelli 1960-70.jpg|thumb|Indro Montanelli (a sinistra) nella sede del ''Corriere della sera''.]]
A partire dalla metà degli anni sessanta, dopo la morte di Mario e Vittorio Crespi e la grave malattia del terzo fratello Aldo, la proprietà del ''Corriere'' fu gestita dalla figlia di quest'ultimo<ref name="archiviostorico.corriere.it" />. Sotto il controllo di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]], il quotidiano operò una netta virata a sinistra. La nuova linea venne varata nel [[1972]], con il licenziamento in tronco del direttore [[Giovanni Spadolini]] e la sua sostituzione con [[Piero Ottone]].
 
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Nel 1978, in seguito al sequestro di [[Aldo Moro]] e all'uccisione della scorta da parte delle [[Brigate Rosse]], ''il Giornale'' si schierò fin dal primo giorno per la linea della fermezza, scrivendo<ref>Indro Montanelli, ''Faccia a faccia'', ''il Giornale nuovo'', 17 marzo 1978.</ref>:
 
{{Citazione|Naturalmente noi facciamo i più fervidi voti perché la sua tragica avventura si concluda nel modo migliore. Ma al cittadino italiano non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo offrire lo spettacolo di uno Stato che contratta il proprio prestigio, la propria autorità, i propri doveri con la criminalità ideologizzata solo quando è in gioco la sopravvivenza di uno dei suoi esponenti. Quanto più alti siano questi esponenti, tanto più è doveroso che essi soggiacciano alla regola comune: coi terroristi non si tratta.|Indro Montanelli, ''Faccia a faccia'', ''il Giornale nuovo'', 17 marzo 1978.}}
 
Durante i 55 giorni Moro non fu mai torturato o minacciato dalle BR, e a tal proposito Montanelli criticò severamente le lettere scritte dal presidente democristiano durante la prigionia, affermando che «tutti a questo mondo hanno diritto alla paura. Ma un uomo di Stato (e lo Stato italiano era Moro) non può cercare d'indurre lo Stato ad una trattativa con dei terroristi che oltre tutto, nel colpo di via Fani, avevano lasciato sul selciato cinque cadaveri fra carabinieri e poliziotti»<ref>Indro Montanelli, ''[http://archiviostorico.corriere.it/1997/marzo/22/Aldo_Moro_della_melassa_ipocrita_co_0_97032213197.shtml Aldo Moro, al di là della melassa ipocrita...]'', ''Corriere della Sera'', 22 marzo 1997.</ref>.
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Altre critiche furono rivolte a Eleonora Chiavarelli, vedova di Aldo Moro diventata accusatrice della DC e della classe politica italiana pochi anni dopo l'omicidio del marito<ref>Indro Montanelli, ''La vedova nera'', ''il Giornale nuovo'', 23 luglio 1982.</ref>:
 
{{Citazione|C'era (...) qualcosa di trionfalistico nel tono con cui questa vedova nera della politica parlava dei politici e neldel perentorio gesto con cui puntava il dito contro tutti. Tutti, eccettuati coloro che le hanno ammazzato il marito. Contro di essi (...) non ha sporto accuse, non ha pronunciato condanne, non li ha nemmeno guardati. Fosse dipeso da lei, il processo ai terroristi sarebbe diventato il processo alla Dc, di cui suo marito era presidente, al governo di cui suo marito era l'artefice e garante, e ai servizi di sicurezza di cui suo marito era stato l'affossatore.|Indro Montanelli, ''La vedova nera'', ''il Giornale nuovo'', 23 luglio 1982.}}
 
Quando venne fuori l'elenco degli appartenenti alla [[P2]], pur criticandone l'attività e le persone che vi avevano aderito, non condivise le accuse golpiste rivolte alla loggia, considerando [[Licio Gelli]] un «golpista da operetta» e affermando<ref>Indro Montanelli, ''Se questo è il gotha'', ''il Giornale nuovo'', 22 maggio 1981.</ref>:
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Tutta la stampa italiana diede grande rilievo all'attentato contro Montanelli. Con due significative eccezioni: il ''[[Corriere della Sera]]'', diretto da [[Piero Ottone]], e ''[[La Stampa]]'', diretta da [[Arrigo Levi]], che arrivarono addirittura a omettere nel titolo di prima pagina il nome di Montanelli, relegandolo al "sommario". Il ''[[Corriere della Sera]]'' titolò: ''Milano […], gambizzato un giornalista''; poi nel suo editoriale, pur esprimendogli una solidarietà senza riserve, avvertì i propri lettori che il collega ferito «...rappresenta e difende posizioni nelle quali non ci riconosciamo». Per colmo, sia [[Arrigo Levi]] che [[Piero Ottone]] faranno poi visita al capezzale di Montanelli, che prenderà nota nei suoi ''Diari'' dell'imbarazzante visita dei due, con il consueto sarcasmo:
{{citazione|La notizia era il mio nome. Abolendolo, hai [Piero Ottone] svuotato la notizia. Ed è strano che lo abbia fatto proprio tu, che della notizia hai sempre predicato la centralità. ([...)] Più tardi sopraggiunge [[Arrigo Levi]], che dopo consulto telefonico con Ottone, aveva a sua volta evitato, nel titolo, il mio nome. Più accorto, non dice nulla, e io nulla gli rimprovero. Ma da quali ometti è rappresentato questo povero giornalismo italiano!}}
 
Più ironico su ''[[la Repubblica]]'' fu il vignettista [[Giorgio Forattini]], che raffigurò l'allora suo direttore [[Eugenio Scalfari]] nell'atto di puntarsi una pistola contro il piede dopo aver letto la notizia dell'attentato a Montanelli, suggerendo che ne invidiasse la popolarità. Altri quotidiani pubblicarono la notizia in prima pagina<ref>''l<nowiki>'</nowiki>Unità'' aprì col titolo «Montanelli ferito da colpi di pistola in un attentato di «brigatisti rossi» corredato con la fotografia del ferito soccorso dai passanti. Il quotidiano comunista riportava la cronaca dell'evento evidenziando la ferma condanna del partito per un atto definito criminale nell'occhiello del titolo.</ref>.
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=== Direttore della ''Voce'' ===
[[File:Indro Montanelli 1994.jpg|thumb|Indro Montanelli presenta il suo nuovo quotidiano, ''«La Voce''».]]
Non ritenendo di poter accettare la direzione del ''[[Corriere della Sera]]'' (che non avrebbe assunto anche gli altri redattori del ''Giornale'') offertagli da [[Paolo Mieli]] e [[Gianni Agnelli]]<ref name = "nuovestanze"/>, Montanelli decise di fondare una nuova testata, ''[[La Voce (quotidiano)|La Voce]]'', il cui nome fu scelto in omaggio a [[Giuseppe Prezzolini]]<ref name = "tristano">{{cita news|autore=Alberto Alfredo Tristano|titolo=''La Voce di Montanelli''|pubblicazione=''Ragusa News''|data=23 marzo 2009|url=http://www.ragusanews.com/articolo/9546/la-voce-di-montanelli-di-alberto-alfredo-tristano}}</ref>. L'idea iniziale era di farne un settimanale<ref>{{cita libro|titolo=''Senza Voce''|autore=Indro Montanelli|editore=Biblioteca Universale Rizzoli|anno=2005}}</ref>, sul modello del ''[[Il Mondo (rivista)|Mondo]]'' di [[Mario Pannunzio]]: di conseguenza la progettazione della «terza pagina», la sezione culturale, risultò particolarmente curata. A far decidere Montanelli di pubblicare un quotidiano fu il numero di giornalisti alle sue dipendenze: a seguire il loro direttore nel passaggio dal ''Giornale'' alla ''Voce'' vi furono infatti 55 cronisti su 77<ref name = "tristano"/>. Tra questi, [[Beppe Severgnini]], [[Marco Travaglio]] e [[Peter Gomez]]. La nuova impresa tuttavia non ebbe vita lunga non riuscendo ad ottenere nel tempo un sufficiente volume di vendite: nonostante un esordio di 500.000 copie<ref name="Cap 29" /><ref>''Si spegne la voce?'', ''la Repubblica'', 29 marzo 1995.</ref>, le vendite scesero presto sotto le 100.000 unità. L'ultimo numero fu pubblicato mercoledì 12 aprile [[1995]]. Secondo Montanelli, una causa dell'insuccesso fu l'avere sovrastimato il numero di potenziali acquirenti della rivista, pensata per un pubblico di destra liberale, non soddisfatto della svolta populistica impressa da Berlusconi<ref name = "tristano"/>. Un secondo errore fu la grafica troppo anticonvenzionale della pubblicazione, in particolare il fotomontaggio satirico e caricaturale che caratterizzava la prima pagina: la troppa aggressività delle immagini avrebbe contribuito ad allontanare i possibili acquirenti, abituati a uno stile più misurato<ref name="Cap 29" />. In retrospettiva, tuttavia, l'avveniristica impostazione grafica, ideata dall'''art director'' [[Vittorio Corona]], avrebbe influenzato lo stile giornalistico degli anni successivi<ref>{{cita news|titolo=''Addio a Corona Con Montanelli inventò «La Voce»''|data=27 gennaio 2007|pubblicazione=''Corriere della Sera''|url=http://archiviostorico.corriere.it/2007/gennaio/27/Addio_Corona_Con_Montanelli_invento_co_9_070127047.shtml}}</ref>.