Lettera VII: differenze tra le versioni

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|serie = [[Lettere (Platone)|Lettere di Platone]]
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La '''''Lettera VII''''', insieme alla ''Lettera VIII'', è oggi considerata dalla stragrande maggioranza degli studiosi l'unica delle [[Lettere (Platone)|tredici lettere]] di [[Platone]] ragionevolmente attribuibile al filosofo ateniese. In essa Platone narra le principali fasi della sua formazione [[Filosofia|filosofica]] e [[politica]], soffermandosi in particolare sul fallimento dei tre tentativi fatti a Siracusa per cercare di riformare la città, ponendovi a capo un re filosofo.
 
== Data di composizione e attribuzione ==
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== Gli intenti politici di Platone in Sicilia ==
I parenti del defunto Dione scrivono a Platone per avere da lui qualche consiglio. Nel rispondere, il filosofo approfitta dell'occasione per ricordare la sua gioventù, il suo iniziale interesse per la [[politica]] e il suo distacco da essa a seguito del fallimento del regime dei [[Trenta Tiranni]] e della [[morte]] di [[Socrate]], da cui la decisione di dedicarsi alla filosofia. Platone ricorda infatti di essere stato invitato dai parenti ad entrare a far parte del governo di [[Atene]] durante la tirannide dei Trenta, verso cui nutriva grandi speranze per il risanamento della ''polis''. Grande però fu la delusione quando il loro governo si dimostrò di gran lunga peggiore dei precedenti, e la delusione si accrebbe ancor di più quando la rinata democrazia, più moderata, finì col condannare a morte Socrate, l'uomo più savio di Atene, che in più di un'occasione si era rifiutato di compiere le nefandezze ordinategli dai Trenta.<ref>''Lettera VII'' 324c-325d.</ref> Amareggiato da tanta corruzione morale, Platone decise allora di dedicarsi alla filosofia (326b). Non per questo però si dimenticò della politica, ma anzi cercò a più riprese di dare concretezza ai suoi progetti, così da non essere ricordato come un semplice «facitore di parole» (328c).
 
[[File:Dionysius_I_of_Syracuse.jpg|thumb|left|[[Dionisio I di Siracusa]] ]]
 
L'occasione per mettere in pratica i suoi progetti gli fu offerta da Dione, il quale gli scrisse per chiedergli di aiutarlo a riformare la città di [[Siracusa]]. Platone narra così dei suoi viaggi in [[Italia meridionale]], a [[Taranto]] da [[Archita]] e soprattutto a Siracusa ospite di Dione, il quale lo presentò al [[tiranno]] [[Dionisio I di Siracusa|Dionisio il Vecchio]], e in seguito al figlio [[Dionisio II di Siracusa|Dionisio il Giovane]]. Tuttavia, dai tre viaggi che fece non ottenne niente, se non di essere tenuto quasi come un prigioniero da Dionisio il Giovane.<ref>''Lettera VII'' 350a-b.</ref>
 
L'intento di Platone e Dione era di istruire l'ancor giovane Dionisio II alla filosofia, in modo da poter istituire un nuovo governo retto da un re filosofo. Tuttavia, i due si dovettero scontrare con le macchinazioni di corte, che miravano a diffondere falsità e calunnie nei loro confronti. Lo stesso Dionisio tenne un comportamento decisamente ambiguo: da un lato affermò di nutrire interesse per la filosofia e amicizia verso Platone, ma al contempo si lasciò influenzare dalle maldicenze di corte e finì con l'[[Esilio|esiliare]] Dione e far allontanare Platone. Le cose poi peggiorarono con il terzo viaggio, quando Dionisio invitò nuovamente Platone a Siracusa e spedì addirittura una [[nave]] a prelevarlo da Atene. Tuttavia, appena giunto in Sicilia la situazione precipitò a causa di alcune sommosse militari. Inoltre, Platone si inimicò il sovrano sostenendo di fronte a lui i diritti di Dione, con il risultato di essere costretto a rimanere, ospite sgradito, a Siracusa, senza poter tornare in patria e per di più rischiando la propria vita. Tornato infine ad Atene grazie all'aiuto dell'amico Archita, Platone maledì la sua scelta di andare a Siracusa e perse i contatti con Dione, il quale, tornato poi in Sicilia, riuscì a detronizzare Dionisio e prendere il potere, ma morì in seguito a una congiura.
 
== La critica della scrittura e le «dottrine non scritte» ==
Oltre ai temi biografici e politici, la ''Lettera VII'' ha attirato l’interesse degli interpreti contemporanei anche per la critica della scrittura in essa contenuta, che può senz’altro essere messa in relazione con ''[[Fedro (dialogo)|Fedro]]'' 274b-276a. In particolare, a destare attenzione è il passo 341c, in cui Platone dice:
 
{{quotecitazione|Questo tuttavia io posso dire di tutti quelli che hanno scritto e scriveranno dicendo di conoscere ciò di cui io mi occupo per averlo sentito esporre o da me o da altri o per averlo scoperto essi stessi, che non capiscon nulla, a mio giudizio, di queste cose. Su di esse non c'è, né vi sarà, alcun mio scritto.|Trad.: A. Maddalena, Roma-Bari 1966}}
 
E ancora, in 344c:
 
{{quotecitazione|Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all'odio e all'ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d'altro genere, se l'autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose più serie, perché queste egli le serba riposte nella parte più bella che ha.|Trad.: A. Maddalena, Roma-Bari 1966}}
 
Platone sembra dire che vi sarebbero delle dottrine della massima importanza, che però non possono essere comunicate per iscritto per via della debolezza intrinseca di questo mezzo, e che devono essere tenute nascoste ai più, perché incapaci di comprenderle. Alla ricostruzione di queste «dottrine non scritte» (''agrapha dogmata'') si sono dedicati, a partire dagli [[anni 1980|anni ottanta del XX secolo]], gli studiosi facenti parte della cosiddetta [[Scuola di Tubinga-Milano]]. Secondo questi interpreti, professori nelle università di Tubinga (Krämer, Gaiser, Szlezák) e [[Università Cattolica del Sacro Cuore|Cattolica di Milano]] (principalmente [[Giovanni Reale]]), vi sarebbe una dottrina segreta che Platone ha preferito comunicare solo oralmente e solo ai propri allievi, alla quale avrebbe fatto riferimento di tanto in tanto nei dialoghi e che è possibile ricostruire attraverso le testimonianze di [[Aristotele]] e pochi altri ([[Sesto Empirico]], [[Alessandro di Afrodisia]], [[Aristosseno]]).<ref>G. Reale, ''Platone. Alla ricerca della sapienza segreta'', Milano 1998, pp. 115-120. Nell'interpretazione della Tubinga-Milano, i testi scritti fungono solo da supporto («soccorso») alla memoria, mentre le «cose di maggior valore» sono trattate oralmente.</ref> Fare luce su queste dottrine significa pervenire al cuore stesso della filosofia platonica, allontanandosi dall'interpretazione tradizionale per fornirne una nuova e rivoluzionaria (quello che questi studiosi chiamano «nuovo paradigma ermeneutico»), in grado di risolvere molti dei problemi interpretativi più dibattuti.<ref>G. Reale, ''Platone'', cit., pp. 321-325.</ref> La nuova immagine di Platone che ne risulta supera il dualismo oggetti sensibili/realtà ideale, mostrando come la stessa dottrina delle idee sia solo una parte di una più ampia e complessa dottrina dei princìpi.<ref>Oltre al mondo sensibile e al mondo delle idee esisterebbe, al di là di quest'ultimo, un superiore piano ontologico (primario) occupato dai princìpi primi (Uno e Diade), da cui discendono le idee; inoltre, particolare risalto viene dato ai concetti matematici e alla loro particolare posizione. Vedi il paragrafo: [[Platone#Le dottrine non scritte|Le dottrine non scritte]].</ref>
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[[Categoria:Opere filosofiche]]
[[Categoria:Opere letterarie del IV secolo a.C.]]
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